Telelavoro e prospettiva di genere: i dati dell’ultimo rapporto OECD

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Bollettino ADAPT 13 marzo 2023, n. 10
 
Il rapporto “Teleworking trough the gender looking glass: facts and gaps” dell’OECD misura gli effetti del telelavoro sull’equilibrio lavoro – vita privata, sulla retribuzione e sull’avanzamento di carriera, in un’ottica di genere.

Da marzo 2020, a seguito della pandemia di COVID-19, concetti come “telelavoro”, “lavoro a distanza”, “lavoro da casa” o “lavoro ibrido” sono diventati progressivamente diffusi. Nei media pubblici questi termini sono usati spesso e in modo intercambiabile.
 
L’ILO propone di distinguere tra questi concetti esaminando come si relazionano alle nozioni di “luogo di lavoro predefinito” e “luogo fisico in cui il lavoro viene effettivamente svolto”. Seguendo questa logica, il lavoro a distanza è un lavoro svolto in un luogo fisico diverso dal luogo di lavoro predefinito. Il telelavoro è una sottocategoria di questo concetto più ampio, che utilizza “la tecnologia dell’informazione e della comunicazione (TIC) e/o i telefoni” per svolgere il lavoro a distanza.
 
L’archivio non esaustivo ma completo di fonti con dati sull’uso del telelavoro nei paesi OCSE e in via di adesione, mostra che solo un numero limitato di fonti raccoglie regolarmente dati sul lavoro a distanza o sul telelavoro con una prospettiva longitudinale pre-pandemia e solo un piccolo sottoinsieme di questi consente la disaggregazione di genere.
 
I risultati degli studi sono comunque allineati: mostrano un divario importante tra l’impiego in occupazioni che avrebbero potuto svolgersi in telelavoro e l’effettivo ricorso al telelavoro prima della pandemia per tutti i dipendenti, e che questo divario era molto più ampio per le donne che per gli uomini. Nell’Unione europea, il divario tra il potenziale telelavoro e l’effettivo lavoro da casa è stato molto più ampio per le donne: il 10% degli uomini e l’11% delle donne ha lavorato da casa (occasionalmente o abitualmente) nel 2018, mentre il 30% degli uomini e il 45% delle donne avrebbe potuto tecnicamente telelavorare.
 
Le tendenze misurate nell’EU-LFS e nell’indagine americana sull’uso del tempo sono coerenti con le tendenze che emergono dai dati ad alta frequenza raccolti durante la pandemia. In media, nei 10 paesi OCSE per i quali sono disponibili dati, il 39% degli uomini ha lavorato da casa a marzo 2020, contro il 42 % di donne.
 
Nonostante il suo potenziale per ridurre i conflitti vita-lavoro in generale – che in alcuni casi si concretizza – il telelavoro non può semplicemente cancellare le disuguaglianze di genere preesistenti nella divisione del lavoro domestico (di cui le donne si fanno carico per la parte maggiore). In molti contesti già disuguali, il telelavoro, insieme ad altre misure di flessibilità favorevoli alla famiglia, tende ad essere utilizzato principalmente dalle madri come un modo per conciliare lavoro e impegni familiari, mentre i padri potrebbero utilizzarlo per altri motivi, come l’aumento della produttività. In tal senso, è probabile che l’effetto del telelavoro sulle disparità di genere nell’equilibrio tra lavoro e vita privata e nella soddisfazione sul lavoro dipenda dalle norme di genere contestuali prevalenti (Chung e van der Lippe, Flexible Working, Work–Life Balance, and Gender Equality: Introduction”, Social Indicators Research, Vol. 151/2, pp. 365-381, 2020).
 
I risultati esistenti indicano anche che il telelavoro potrebbe produrre risultati migliori in termini di riduzione delle disuguaglianze di genere nell’equilibrio tra lavoro e vita privata se combinato con altre politiche favorevoli alla famiglia come l’assistenza all’infanzia e agli anziani o orari flessibili, e/o con misure che promuovono norme e valori più equi, ad esempio politiche a sostegno di un uso più equo del congedo parentale tra madri e padri .
 
Gli studi mettono in evidenza che le madri altamente istruite sono stigmatizzate quando lavorano da casa perché il tempo “faccia a faccia” è ancora utilizzato come indicatore cruciale della produttività. Al contrario, il divario di genere è ridotto tra le madri con laurea triennale (che gli autori attribuiscono all’effetto dell’aumento della produttività del telelavoro e all’assenza di stigma per le donne in questo gruppo).
 
Gli studi rilevano anche che il telelavoro può di fatto essere associato a un aumento salariale; tuttavia, di questo aumento salariale sembra abbiano finora beneficiato gli uomini in modo più sistematico rispetto alle donne. Lo stigma di genere, le norme sociali e la cultura manageriale delle imprese potrebbero essere importanti fattori esplicativi dietro questo effetto diseguale del telelavoro per genere. Le prove disponibili su come il telelavoro influenzi l’avanzamento di carriera degli uomini e delle donne sono le più scarse fino ad oggi. Ci sono alcune prove che il telelavoro può aiutare l’avanzamento di carriera delle donne. Ciò è particolarmente vero dopo il parto: utilizzando i dati per il Regno Unito, Chung e van der Host, (Women’s employment patterns after childbirth and the perceived access to and use of flexitime and teleworking”, Human Relations, Vol. 71/1,pp. 47-72, 2018) trovano prove suggestive in base alle quali  il telelavoro aiuta le donne a rimanere nel mondo del lavoro dopo la nascita del loro primo figlio. Le madri con accesso al telelavoro sembrano meno propense a ridurre le loro ore. Secondo Chung, ciò potrebbe contribuire a colmare un divario nella carriera, poiché il telelavoro è meno stigmatizzato rispetto al part-time e quindi è molto meno probabile che porti a esiti di carriera negativi.
 
Tuttavia i telelavoratori in generale, e le donne che lavorano in telelavoro in particolare, temono effettivamente che il loro telelavoro rappresenti una minaccia per la loro progressione di carriera e le loro opportunità di formazione. Tomei (A Curse or a Blessing for Gender Equality and Work-Life Balance?”, Intereconomics, Vol. 56/5, pp. 260-264, 2021) infatti discute la cultura del presentismo che penalizzava l’avanzamento di carriera delle donne prima della pandemia, e sostiene che, sebbene il presupposto che i lavoratori “non in vista” siano meno performanti sia stato parzialmente messo in discussione dall’esperienza della crisi COVID-19, rimane piuttosto radicato nella pratica. Lo studio qualitativo di Richardson e McKenna,  (Reordering Spatial and Social Relations: A Case Study of Professional and Managerial Flexworkers”, British Journal of Management, Vol. 25/4,pp. 724-736, 2013), sui dipendenti canadesi mostra che i dipendenti non fisicamente presenti in ufficio sperimentano un maggiore controllo di gestione, suggerendo l’esistenza di problemi di fiducia tra lavoratori e management che potrebbero avere ripercussioni sull’avanzamento di carriera dei telelavoratori – sebbene lo studio  non segnali una differenza di genere al riguardo.
 
L’analisi sul campo condotta da Leslie e altri mostra che l’effetto del telelavoro sull’avanzamento di carriera dipenderà probabilmente dalla percezione dei manager circa la motivazione alla base dell’adozione del telelavoro, che tende ad essere di genere, con il telelavoro interpretato come un segnale di alto impegno tra gli uomini e di scarso impegno tra le donne. Ciò è coerente con la conclusione di Chung e van der Host (nello studio citato sopra) secondo cui il telelavoro potrebbe aiutare gli uomini ad aumentare la loro intensità lavorativa e promuovere il loro avanzamento di carriera, mentre potrebbe aiutare le donne ad alleviare i conflitti tra lavoro e vita privata, senza effetti positivi sulla loro carriera.
 
Gli studiosi sono portati a sostenere che diverse misure aggiuntive dovrebbero essere implementate insieme al telelavoro per evitare potenziali costi di carriera per le donne, tra cui la formazione manageriale, in particolare sulla valutazione in base al risultato e sui limiti e le distorsioni della valutazione delle prestazioni.
 
Paola de Vita

ADAPT Professional Fellow

Telelavoro e prospettiva di genere: i dati dell’ultimo rapporto OECD
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