Per un sistema di istruzione e formazione professionale/24 – L’Europa investe sulla formazione professionale per lo sviluppo e la sostenibilità dei territori. Intervista a Chiara Riondino

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Bollettino ADAPT 19 ottobre 2020, n. 38

 

Giovani e occupabilità, competenze e sviluppo economico, innovazione diffusa: queste tematiche sono al centro dell’operato della Commissione Europea, in particolare in questo periodo emergenziale. Le istituzioni comunitarie individuano infatti in questi elementi dei fattori cruciali per una ripresa capace di favorire lo sviluppo, l’inclusione e la sostenibilità del nostro modello economico e sociale. L’istruzione e la formazione professionale rappresentano un punto di caduta comune di queste direttrici, e l’attenzione europea sul tema è infatti alta. Approfondiamo questo specifico punto di vista con Chiara Riondino, Head of Vocational Education and Training, apprenticeships and adult learning della Commissione Europea*.

 

Dal suo punto di vista, quali sono le principali criticità, dovute allo scoppio della pandemia, che hanno influenzato i percorsi VET? Quali, invece, i fattori di resilienza?

 

C. Riondino: Ci sono stati due fattori di impatto, che hanno riguardato anche la formazione più tradizionale. Il primo impatto è connesso alla disponibilità di infrastrutture e di competenze digitali: come è stato possibile notare, questa è stata una criticità che ha riguardato, con intensità diverse, tutti i livelli di istruzione. Il secondo riguarda direttamente i corsi VET: la formazione professionale è stata colpita in maniera più drammatica, dato l’enfasi che ripone sull’esperienza pratica e laboratoriale. Durante il livello più acuto della crisi, anche le esperienze in azienda si sono fermate.

D’altra parte, per citare una massima di Winston Churchill, non bisogna mai sprecare una crisi. È un momento di riforme ambiziose. Da molto tempo ormai si parlava di digitalizzare l’istruzione e la formazione, anche professionale, ma ci sono state tante remore e tanti dubbi – quando ci siamo trovati nel bel mezzo del lockdown le preoccupazioni sono state messe da parte, bisognava agire: è stata adottata la formazione online, con i pur diversi risultati, in termini di efficacia, già ricordati. Nella nostra esperienza, a livello europeo, abbiamo potuto osservare un diverso grado di risposta. Ci sono istituzioni formative che si sono limitate a mettere online lezioni video registrate. Altri invece hanno sfruttato appieno le potenzialità dei nuovi strumenti digitali, sviluppando nuove pedagogie, superando una logica di semplice trasposizione online dei contenuti. Ad esempio, utilizzando strumenti per la realtà virtuale, aumentata, e simulatori.

Abbiamo anche osservato la crescita di un divario, pur davanti alla crisi comune che abbiamo osservato. Le crisi hanno infatti spesso questo effetto di moltiplicatore delle differenze. Abbiamo allora osservato una polarizzazione tra Paesi, che già soffrivano di una scarsa alfabetizzazione digitale e disponevano di una fragile infrastruttura digitale, e Paesi che avevano già investito in questa direzione. Non solo: la polarizzazione è stata osservata anche all’interno degli stessi Paesi, con la riproposizione della diade città/campagna, centri e spazi rurali: i primi nei quali si è osservata una più ampia partecipazione alla didattica a distanza e alla formazione online, i secondi nei quali le difficoltà (di connessione, di utilizzo degli strumenti digitali) è stata più elevata. Questo divario ha poi colpito, in particolare, i gruppi sociali più deboli.

Possiamo affermare che queste forme di apprendimento funzionano, lì dove sono state implementate con un metodo olistico, ripensando cioè anche le metodologie e le pedagogie. Sono strumenti e metodi che possono infatti raggiungere quella parte di popolazione che ha più difficoltà ad aver accesso a determinate forme di formazione. Vengono superate anche (almeno teoricamente) le polarizzazioni ricordate, soprattutto quelle tra centri urbani e rurali. Benefici vi sono anche per persone con mobilità ridotta.

La formazione professionale ha miliardi di sfaccettature: ciò che va bene per gli studenti che si formano per lavorare nel salone estetico non va bene per i meccanici. Ogni settore deve sviluppare un proprio metodo di implementazione di questa formazione olistica e integrata, sfruttando tecnologie innovative come i simulatori e la realtà virtuale, al fine di ricreare – per quanto possibile – il cimento pratico e concreto. È vero che molte realtà avranno difficoltà a sostenere questi investimenti iniziali, ma con il tempo i costi si riducono, specialmente se l’investimento è diffuso a livello di sistema, aumentando allo stesso tempo il pool di potenziali iscritti, data la maggior facilità di accesso.

 

Che ruolo immagina per la formazione professionale nella ripresa, oltre questo periodo emergenziale? E quale legame tra formazione iniziale professionale, e continua?

 

C. Riondino: A mio parere, uno dei grandi potenziali della istruzione e formazione professionale è supportare la crescita socioeconomica e la transizione digitale e verde. Almeno dal nostro punto di vista, queste ultime sono le tendenze che guideranno la ripresa e la crescita nel futuro. La prima è ormai chiaramente riconosciuta nella sua importanza e centralità, la seconda ancora non adeguatamente valorizzata. Sta succedendo oggi quello che succedeva 20 anni fa per il digitale: è invece fondamentale raggiungere un vantaggio competitivo, come Europa, investendo in tecnologie non inquinanti e sostenibili.

È quindi cruciale sviluppare competenze anche di medio e alto livello legate alla just transition. Secondo noi è necessario sviluppare anche maggior sinergie nell’ambito dei contenuti tra formazione iniziale e continua, a partire da un ripensamento modulare della formazione professionale: corsi brevi, per micro-qualifiche, caratterizzate da una grande permeabilità tra percorsi di istruzione e di formazione professionale. È il contenuto della Raccomandazione che è ora all’esame del Consiglio Europeo, e che sarà adottata entro il 30 novembre (per approfondire, vedi G. Machì, Per un sistema di istruzione e formazione professionale/12 – Le nuove tecnologie per il futuro della IeFP secondo il Consiglio Europeo, Bollettino ADAPT 20 luglio 2020)

 

Secondo lei, a seguito della pandemia, sarà necessario costruire nuove figure professionali emergenti dalla trasformazione dei metodi, luoghi e contenuti del lavoro, oppure i profili attualmente formati grazie ai percorsi di formazione professionale dovranno semplicemente prevedere l’introduzione di alcune, nuove, competenze?

 

C. Riondino: Secondo noi entrambe le cose saranno necessarie. Nuove professioni emergeranno, ma difficilmente si creeranno dal vuoto, o dall’oggi al domani. Quello che noi vediamo è che la richiesta di mestieri, per così dire, tradizionali è ancora molto alta: resteranno, quindi, ma in parte cambieranno. Un esempio forse un po’ forte è quello dei “meccatronici”, esito della combinazione di due mestieri già esistenti, i meccanici e gli elettronici. Anche in questo caso, possiamo comprendere il valore di una formazione modulare: non è necessario reinventare nuovi contenuti o nuovi percorsi professionale, ma ragionare a partire dai corsi di formazione già esistenti, dai curricula formativi. Ad esempio, prendendo una parte dal curriculum dell’elettricista e una dell’operaio specializzato nella copertura dei tetti possiamo formare l’installatore di pannelli solari, una professione green e, in questo senso, innovativa.

La rigidità di alcuni profili professionali può essere una debolezza, come ha evidenziato anche un report dell’ILO riguardante i diplomati dei percorsi di istruzione e formazione professionale. Chi usciva (ed esce) dalla formazione professionale ha già un mestiere in mano, mentre con l’istruzione generale anche terziaria c’è ancora bisogno, al termine del percorso, di sviluppare competenze per l’inserimento al lavoro. Questo elemento tipico della formazione professionale, spesso riconosciuto come elemento caratterizzante e positivo, può anche essere un elemento di debolezza: è più difficile gestire le transizioni occupazionali. Questa è una cosa che deve essere affrontata: come cioè esser sicuri che chi frequenta i percorsi di formazione professionale possa acquisire anche quelle competenze trasversali e generali che gli possano consentire una maggior flessibilità e adattabilità e un più semplice rientro nel mondo della formazione per continuare ad apprendere.

 

La formazione professionale fa dell’esperienza concreta, in laboratorio o sul luogo di lavoro, uno dei suoi elementi chiave. L’apprendistato, spesso, è ancor più basato su di un alto numero di ore passate di formazione e lavoro svolte in azienda. La pandemia ha favorito il lavoro da remoto: andranno quindi ripensate gli spazi di apprendimento? I percorsi di formazione professionale possono esser realizzati da remoto?

 

C. Riondino: Il nostro auspicio è ovviamente quello di tornare ad una sorta di normalità, sconfiggendo il virus e smorzando l’ondata pandemica. Di certo, non è possibile rimpiazzare la vera esperienza di lavoro, anche per la formazione delle stesse competenze trasversali. I nuovi strumenti sviluppati e adottati durante gli scorsi mesi dovranno essere integrati alla didattica tradizionale, ma non potranno sostituire completamente la viva esperienza, l’apprendimento sul lavoro. Si deve raggiungere un’equilibro tra vecchi e nuovi metodi, ognuno riconosciuto nel suo valore. Ad esempio, l’utilizzo delle tecnologie permette scambi di mobilità internazionale ed europea organizzati in modo nuovo: mentre in precedenza potevano essere complessi per costi o per l’età degli studenti coinvolti, costruendo un’esperienza ibrida con moduli di apprendimento svolti in azienda e moduli online potremmo creare delle alternative valide a lunghi periodi all’estero. Infatti, i periodi in azienda potrebbero essere concentrati all’inizio e alla fine del programma di mobilità pianificato,, e nel periodo intermedio gli studenti svolgono un’esperienza simulata o comunque mediata dalle nuove tecnologie. Anche se l’esperienza virtuale non potrà mai sostituire l’esperienza internazionale, secondo lo stesso principio che abbiamo ricordato per l’esperienza pratica, può comunque offrire opportunità per la riduzione di costi, il superamento di ostacoli alla mobilità e il raggiungimento di una platea di studenti potenzialmente ben più ampia.

 

Perché scegliere i percorsi VET, oggi e (soprattutto) domani? Quali relazioni sviluppare e cambiare con l’istruzione generale, la formazione terziaria, le aziende?

 

C. Riondino: Abbiamo combattuto e combattiamo lo stigma culturale. Dal 2016 abbiamo lanciato una campagna di comunicazione molto forte per chiarire che l’istruzione e formazione professionale non è una seconda scelta. Emblematica di questa attenzione è la European Vocational Skills Week, che si basa sullo slogan: “scopri il tuo talento”. A livello europeo, comunque, questo stigma culturale è presente solo in alcuni Paesi, non in tutti.

Secondo noi la formazione professionale deve attrarre valorizzando talento e inclinazioni delle persone. Il primo obiettivo è riconoscere che ci sono giovani più felici di apprendere e lavorare mettendo in pratica ciò che ascoltano e tramite il coinvolgimento sul luogo di lavoro. In Italia, poi, la disoccupazione di persone con diplomi universitari e master è purtroppo comunque elevato, e a volte si è costretti ad accettare un lavoro non in linea con le proprie qualifiche. Va quindi spiegato ai giovani che possono fare ciò per cui provano interesse e seguire le loro passioni, senza pensare che ce ne siano di “migliori” o “peggiori”.

La responsabilità di chi progetta questi percorsi è di evitare di costruire vicoli ciechi. Se ai ragazzi viene proposto un percorso con un unico sbocco lavorativo, se ne limitano potenzialità e scelte. Ma se viene offerto un percorso con diverse competenze, con la certezza che concluso il livello secondario superiore si possa proseguire con quello terziario, grazie ad un sistema di passerelle e di permeabilità tra sistemi, si moltiplicano così le scelte potenziali.

Il rapporto con le aziende è ovviamente fondamentale, da tempo lavoriamo nella direzione di favorire i partenariati, sia nelle politiche attive che in quelle dell’istruzione. Sono importanti anche le parti sociali, le Regioni, per favorire che ci sia un legame con il territorio, creando un circolo virtuoso capace di generare, in base alle specializzazioni regionali, economica, democrazia, inclusione. L’esempio concreto di quanto sto descrivendo sono i Centri di Eccellenza Professionale (Centres of Vocational Excellence, CoVEs), che riuniscono istituzioni formative, aziende, territori. In alcuni Paesi, come la Germania, investire in queste realtà è quasi scontato perché se ne riconosce l’utilità per l’azienda stessa. In un Paese in cui questo sistema di istruzione e formazione professionale è diffuso si è certi che l’investimento sarà fruttuoso: si passa da un modello competitivo anche infraterritoriale, all’idea di un investimento collettivo a beneficio di tutti. Meno aziende investono, invece, e maggior sarà la reticenza, soprattutto di quelle più piccole a farsi coinvolgere in queste attività. In sintesi, è necessario collaborare, a tutti i livelli, per catalizzare investimenti, favorire un’ampia partecipazione, superare limiti culturali ed economici, generando quella massa critica che è davvero capace di far sì che la formazione professionale possa inserirsi nelle catene del valore territoriali, favorendo sviluppo, inclusività e quindi la sostenibilità locale.

 

Quale ruolo possono giocare le istituzioni europee nella promozione della formazione professionale e dell’apprendistato? Quali strumenti possono mettere in gioco, quali sono a suo parere le azioni più urgenti da mettere in campo?

 

C. Riondino: Il ruolo dell’Europa spesso non è così presente nei singoli Paesi, dato anche che le competenze riguardanti la formazione professionale sono spesso regionali. Allo stesso tempo, è davvero importante imparare anche da altri, se si vuole raggiungere un livello qualitativo più elevato.

Come già ricordato, da parte nostra abbiamo messo in campo una raccomandazione che stabilirà principi che ci auguriamo saranno tradotti dal livello europeo a quello nazionale e regionale. Contestualmente, grazie alla rinnovata European Alliance for Apprenticeships (EAfA), lavoriamo per supportare i Paesi che intendono promuovere l’apprendistato: il modello, anche in questo caso, è lo stesso ricordato per i CoVEs: collaborazione, partecipazione, catalizzazione investimenti, massa critica.

C’è però una novità: 670 miliardi tra prestiti ed erogazioni dirette che l’Europa ha messo a disposizione degli investimenti per le riforme degli Stati, i quali però devono richiederli, presentando piani di investimento e riforma all’interno del Recovery Fund. L’auspicio è che si approfitti di questi investimenti per indirizzarli verso le competenze delle persone, e in particolare nell’istruzione e formazione professionale. Così, anche davanti ad una nuova crisi, saremo pronti con economie più forti e con lavoratori in possesso delle necessarie competenze per adattarsi, per portare innovazione e non essere sempre in rincorsa ma guidar e progettare la ripresa, soprattutto nell’orizzonte della transizionale verde e digitale.

 

Matteo Colombo

ADAPT Junior Fellow

@colombo_mat

 

*Le opinioni riportate in questa intervista sono espresse a titolo personale e non riflettono necessariamente le posizioni della Commissione Europea

 

Per un sistema di istruzione e formazione professionale/24 – L’Europa investe sulla formazione professionale per lo sviluppo e la sostenibilità dei territori. Intervista a Chiara Riondino