Le parole del lavoro: un glossario internazionale/10 – La nozione di parasubordinazione in ottica comparata

La parasubordinazione

 

La parasubordinazione costituisce un costrutto teorico sviluppato dalla dottrina italiana, per designare il lavoro coordinato e continuativo di carattere prevalentemente personale, originariamente individuato nell’art. 409, n. 3 c.p.c., ed in seguito nel lavoro a progetto di cui agli artt. 61 e ss. del d.lgs. 276/2003. Come nella fattispecie della subordinazione, anche in tale caso prevale un’impostazione formalistica, fondata sugli elementi giuridici costitutivi della fattispecie – collaborazione, coordinamento, personalità della prestazione, continuatività -, e non sul dato economico-sostanziale della dipendenza economica del prestatore di lavoro, pur giuridicamente autonomo, dal committente dei lavori.

 

Secondo la tesi largamente prevalente, il lavoro parasubordinato non costituisce un tertium genus tra autonomia e subordinazione, bensì rientra nella categoria del lavoro autonomo in quanto, pur partecipando di taluni requisiti dell’opposta fattispecie, quali la continuatività, il lavoro personale, il coordinamento con l’attività imprenditoriale del committente, esso risulta carente del carattere fondamentale dell’eterodirezione delle prestazioni. Da tali elementi deriva la particolare denominazione, che evoca una prossimità con la subordinazione.

L’approccio giuridico-formale preclude alla dimensione nazionale di ricomprendere nel fenomeno figure che vi rientrerebbero alla stregua di un’analisi socio-economica, quali gli associati in partecipazione ed i soci-lavoratori delle cooperative, atteso che anche tali soggetti sono contraddistinti da uno stato di inferiorità economica rispetto all’altra parte, e quindi anch’essi bisognosi di tutela come i lavoratori subordinati.

 

I problemi fondamentali della figura del prestatore parasubordinato si stimano sotto due profili. Il primo attiene alle tutele normative da attribuire a tali lavoratori, in ragione dello loro stato di dipendenza economica da uno o più committenti. Il secondo afferisce all’elevato rischio di utilizzo fraudolento delle figure contrattuali in argomento, per eludere i vincoli normativi previsti per il lavoro subordinato. Non può trascurarsi di osservare come il citato approccio formalistico alla fattispecie accresca, oltreché un rilevante contenzioso giurisdizionale, la concretizzazione del rischio segnalato.


Il lavoro autonomo economicamente dipendente

 

Nell’attuale contesto comunitario europeo un numero limitato di Stati membri riconosce una categoria assimilabile al lavoro parasubordinato, che in genere si può ricondurre alla formula del “lavoro autonomo economicamente dipendente” (financially dependent self-employed work). Oltre all’Italia, gli esempi principali sono Austria, Germania, Portogallo, Spagna e Regno Unito. In quest’ultimo, il worker si distingue dall’employee (lavoratore subordinato) in quanto esegue il suo lavoro senza essere sottoposto all’autorità di un datore di lavoro. In Austria esistono forme contrattuali specifiche in cui si possono trovare i caratteri del lavoro autonomo economicamente dipendente: ciò vale, ad esempio, per i free service contract. I lavoratori assunti con questo tipo di contratto si distinguono dai lavoratori dipendenti in quanto, pur lavorando prevalentemente per un medesimo committente, con una durata prestabilita, non sono assoggettati al vincolo di subordinazione. In Germania si riscontra il concetto di lavoratore “simil-dipendente” (arbeitnehmerähnliche Person): questa categoria designa i lavoratori che, nel quadro di un contratto commerciale o di prestazione di servizi, eseguono direttamente il lavoro, senza assumere dipendenti, e il cui fatturato è garantito per oltre il 50 % da un solo cliente.

 

L’esempio più recente e completo di definizione del lavoro autonomo economicamente dipendente è dato dalla Spagna. Lo statuto dei lavoratori autonomi, adottato nel 2007(Act No. 20 of 11 July 2007), definisce il lavoratore autonomo economicamente dipendente in base a più criteri: si tratta di una persona che esercita personalmente, direttamente e in modo abituale un’attività economica o professionale a scopo di lucro prevalentemente a vantaggio di una persona fisica o giuridica, denominata cliente, da cui dipende per almeno il 75 % del reddito.

 

Sul piano funzionale, bisogna puntualizzare che l’obiettivo perseguito in questi diversi paesi non è quello di trasformare i lavoratori autonomi economicamente dipendenti in lavoratori subordinati, quanto piuttosto di conferire loro uno statuto protettivo. Si noti, in proposito, che nel Libro verde del 2006 sulla modernizzazione del diritto del lavoro, la Commissione europea osservava che il concetto di “lavoro autonomo economicamente dipendente” dovrebbe essere chiaramente distinto dall’utilizzazione, deliberatamente falsa, della qualificazione di lavoro autonomo. Da questo punto di vista, può affermarsi che mentre il primo fenomeno va disciplinato, il secondo va semplicemente represso. Va osservato, in merito, come il d.lgs. 276/2003, nell’istituire la figura del lavoro a progetto, oltre ad aver configurato uno statuto protettivo per il prestatore, abbia nel contempo perseguito un’evidente finalità antifraudolenta nella misura in cui ha vietato le collaborazioni atipiche, pena la loro “metamorfosi” in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Il problema centrale della categoria del lavoro autonomo economicamente dipendente riguarda la fissazione di criteri attendibili che consentano di identificare la dipendenza economica. Si è già detto che nel nostro paese, la questione è trattata con il tradizionale metodo giuridico-formale per fattispecie. Si possono adottare criteri relativi alla persona del lavoratore stesso: in particolare, il lavoratore autonomo economicamente dipendente può essere definito come colui che esegue personalmente e direttamente la prestazione richiesta, senza ricorrere all’impiego di lavoratori subordinati -è quanto avviene, ad esempio, in Spagna ed in Italia-. Altri criteri, che possono essere utilizzati congiuntamente ai precedenti, si rapportano allo stato di dipendenza economica in sé. Essi possono riferirsi alla quota del fatturato proveniente da un unico cliente, oppure alla durata del rapporto tra il lavoratore e il cliente – quanto maggiore sarà la durata, tanto maggiore la dipendenza economica nei confronti del cliente – Quest’ultimo criterio viene utilizzato in Italia per riconoscere l’esistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Nel nostro Paese, si ritiene, invero, che la dipendenza economica del lavoratore ricorra quando la sua organizzazione produttiva dipende dall’attività del cliente. In altre parole, il lavoratore non ha la possibilità di accedere liberamente al mercato in quanto la sua organizzazione produttiva è rivolta verso la soddisfazione dei bisogni di un unico cliente (monocommittenza).

 

In generale, nei vari paesi che disciplinano la fattispecie in esame lo stato di dipendenza economica dà origine ad uno statuto protettivo “intermedio”, non riconosciuto ai lavoratori autonomi “puri”, ma di grado inferiore a quello garantito ai lavoratori subordinati. L’entità della protezione accordata al lavoratore autonomo economicamente dipendente varia significativamente a seconda dei paesi. In Italia, ciò avviene per i lavoratori assunti con contratto di collaborazione a progetto, che in caso di gravidanza, malattia, infortunio sul lavoro e pensione beneficiano di garanzie molto vicine a quelle accordate ai lavoratori dipendenti. Nel Regno Unito i workers beneficiano di protezione in materia di salario minimo, ore di lavoro e ferie. In Spagna, il Paese probabilmente più avanzato in tema di tutele, lo statuto del 2007 riconosce al lavoratore autonomo economicamente dipendente una serie di diritti. Si pensi al diritto al riposo ed alle ferie, ma anche diritti relativi alla cessazione del contratto tra lavoratore e committente: è significativo, in particolare, l’obbligo per il cliente di motivare la risoluzione del contratto, la cui inosservanza determina l’insorgenza del diritto del lavoratore a un indennizzo.

 

In definitiva, si può notare come l’approccio degli altri ordinamenti europei – soprattutto Spagna e Germania – sia di stampo sostanzialistico, vincolato a criteri di tipo economico, quali ad es. il fatturato o il reddito del prestatore, e si differenzi dal nostro ordinamento, rimasto tuttora ancorato a dati giuridico-formali, che causano le criticità segnalate.

 

Le istituzioni europee hanno da tempo preso coscienza del problema delle tutele del lavoro autonomo economicamente dipendente: dalla Raccomandazione del Consiglio del 18 febbraio 2003 al Parere del Consiglio economico e sociale del 29 aprile 2010, sino alla recente risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014, gli organismi comunitari hanno invitato gli Stati membri a riconoscere a tali prestatori, a prescindere dal rispettivo status giuridico-formale, un grado minimo di protezione sociale.

 

Carmine Santoro

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@carminesantoro

 

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