La lunga vicenda del calcolo della rappresentatività. Dal 2014 ad oggi

Forse definirla ‘’telenovela’’ e’ poco rispettoso. Ma certo la vicenda che ruota attorno all’accordo sulla Rappresentanza, firmato ormai oltre tre anni fa da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e ancora non attuato, della serialita’ televisiva ha, quanto meno, la lunga durata. Per di piu’ costellata da innumerevoli e sempre piu’ imprevedibili ostacoli. Ultimo dei quali e’ collegato, in qualche modo, al Referendum costituzionale del 4 dicembre scorso: quello che doveva, tra l’altro, abolire il Cnel, che invece e’, come noto, sopravissuto, sia pure nella dimensione di walking dead.  Il che ci riporta, appunto, al clima da telenovela.

Ma andiamo con ordine.

Tutto inizia il 31 maggio 2013, con la firma di un accordo tra sindacati e Confindustria definito, forse con qualche enfasi, ‘’storico’’. L’accordo prevede, tra l’altro, che si dia per la prima volta conto di “chi rappresenta chi”: procedendo, dunque, alla raccolta di dati certificati sulla rappresentanza delle varie parti sociali, in primis i sindacati Cgil, Cisl e Uil. Nei mesi successivi si insedia quindi una commissione, composta da rappresentanti delle tre confederazioni e della Confindustria, con il compito di definire un regolamento attuativo che darà corpo e sostanza all’intesa.

A gennaio 2014 vede la luce il Testo Unico sulla Rappresentanza, firmato da tutte le parti sociali. Il TU indica le regole base: la certificazione della rappresentatività avverrà attraverso la ponderazione tra il dato associativo (numero degli iscritti a ciascun sindacato) e il dato elettorale (voti per l’elezione delle Rsu). Il tutto richiederà la collaborazione dell’Inps, per quanto riguarda la rilevazione degli iscritti  a ogni singola area contrattuale, mentre per quanto attiene la rilevazione dei voti delle Rsu spetterà  alle Direzioni Territoriali del Lavoro. Al Cnel, infine, il compito di procedere alla certificazione dei dati.

Fatte le regole, la macchina potrebbe finalmente partire. Ma arrivano i primi problemi. Uno a caso: l’Autorità per la Privacy  paventa il rischio che attraverso la raccolta dei dati si vada a una sorta di ‘’schedatura’’ dei lavoratori: e quindi, lunghi ragionamenti per dissipare ogni dubbio. Inoltre, la Confindustria fa resistenza, non sollecitando le aziende aderenti a inviare i dati in loro possesso all’Inps. I sindacati, per la verità, avevano proposto di mettere nel Testo Unico un obbligo per le aziende a inserire il dato relativo all’iscrizione al sindacato del singolo lavoratore nel modulo Inps, ma la risposta e’ stata che “non si potevano costringere”. Dunque, nessun obbligo e nessuna sanzione per chi i dati non li fornisce. E si sa che la buona volonta’ non basta. Infatti, i numeri arrivano col contagocce…

 

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