La contrattazione collettiva in un mondo che cambia: dati e tendenze dal rapporto OCSE Employment Outlook 2017

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Sono molti i cambiamenti che hanno interessato la contrattazione collettiva negli ultimi decenni. A partire dagli anni Ottanta, in seguito a fenomeni quali il declino del settore manifatturiero, l’introduzione di nuove tecnologie e modalità organizzative, la crescita di forme flessibili di lavoro e l’invecchiamento della popolazione, si è assistito ad un progressivo decentramento della contrattazione collettiva, un lento declino nei tassi di partecipazione sindacale e una crescente individualizzazione dei rapporti di lavoro: tendenze queste, che la crisi economica e finanziaria del 2008-09 ha contribuito ad accelerare. Nonostante la letteratura abbia spesso enfatizzato il ruolo degli assetti istituzionali della contrattazione collettiva per spiegare le diverse performance economiche dei Paesi OCSE, le attuali differenze, anche tra Paesi che condividono sistemi di contrattazione simili, sembrerebbero derivare da elementi diversi rispetto al mero grado di centralizzazione o coordinamento del modello, bensì da fattori quali le regole per l’estensione dell’efficacia dei contratti collettivi, l’impiego di clausole derogatorie e il livello di fiducia nel ruolo e funzionamento della contrattazione collettiva nazionale.

 

Nel rapporto Employment Outlook 2017, l’OCSE dedica un intero capitolo alla contrattazione collettiva, nell’intento di fornire una revisione aggiornata ed estesa delle principali caratteristiche e meglio comprenderne il ruolo nell’influenzare il mercato del lavoro. L’analisi si avvale delle informazioni raccolte attraverso questionari somministrati a Ministeri del Lavoro, sindacati e associazioni datoriali, e di un ampio bacino di dati amministrativi.

 

Tassi di partecipazione sindacale e datoriale

 

Negli ultimi anni, si è assistito a un calo della densità sindacale nell’area OCSE, che si attesta oggi, mediamente, attorno al 17%. La situazione appare però piuttosto eterogenea, con l’Europa centro-orientale che presenta un grado di partecipazione sindacale intorno al 10%, e i Paesi dell’area scandinava (dove, in virtù del cosiddetto “sistema Ghent”, le organizzazioni sindacali spesso gestiscono l’erogazione dei sussidi di disoccupazione) con livelli anche superiori al 50%. I dipendenti del pubblico impiego iscritti ad un sindacato costituiscono il 13% del totale, mentre l’industria manifatturiera e il settore dei servizi sociali e alla persona ospitano rispettivamente il 25% e il 35% del numero complessivo dei lavoratori sindacalizzati. Si registra un basso tasso di densità sindacale (intorno al 7%) tra i giovani fino ai 24 anni, mentre maggiore è la sindacalizzazione nei lavoratori tra i 25 e i 54 anni. I lavoratori sindacalizzati hanno generalmente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e vantano competenze professionali di medio-alto livello.

 

Anche per quanto riguarda l’associazionismo datoriale, si registrano variazioni considerevoli tra i Paesi OCSE: il tasso di affiliazione ad associazioni imprenditoriali è basso nell’Est Europa, in Corea e in Turchia, ma elevato in Svezia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, dove si attesta intorno all’80%. Tuttavia, diversamente da quanto accaduto al tasso di densità sindacale, il grado di associazionismo datoriale si è mantenuto pressoché stabile nell’area OCSE: segno del fatto che le organizzazioni imprenditoriali sono state maggiormente in grado di adattare le proprie strutture alle nuove esigenze delle imprese.

 

Copertura, estensione e durata della contrattazione collettiva

 

Il tasso di copertura della contrattazione collettiva è notevolmente diminuito negli ultimi 25 anni, passando dal 45% nel 1985 al 33% nel 2013. Il calo si è registrato soprattutto nei Paesi dell’Europa centro-orientale e dell’area anglosassone, mentre la situazione è rimasta invariata nella maggior parte dei Paesi dell’Europa continentale, e soprattutto laddove è forte la contrattazione collettiva di primo livello. Di particolare rilievo è il fatto che laddove esiste una rappresentanza datoriale che svolge attività negoziale, il tasso di copertura della contrattazione collettiva si rivela particolarmente elevato, poiché gli accordi siglati tendono ad applicarsi a tutti i lavoratori delle imprese associate. Infine, il tasso di copertura della contrattazione collettiva è maggiore in settori come l’edilizia e la manifattura e tra le imprese di medie e grandi dimensioni.

 

Complessivamente, la copertura della contrattazione collettiva si è mantenuta più stabile rispetto alla membership sindacale. Questa differenza è attribuibile, da un lato, alle clausole erga omnes, in forza delle quali gli accordi si applicano anche ai lavoratori che non sono iscritti al sindacato, e dall’altro, alle estensioni attuate da organismi pubblici o dalla giurisprudenza per garantire che le regole pattuite in un contratto collettivo siano esigibili in tutte le imprese di un determinato settore, anche in quelle che non aderiscono ad un’associazione datoriale firmataria. L’estensione dell’efficacia della contrattazione collettiva a tutti i lavoratori garantisce, quindi, condizioni di lavoro omogenee all’interno di uno stesso settore, agevola la diffusione di buone pratiche per quanto riguarda la gestione del personale, la formazione, la salute e la sicurezza sul lavoro, ecc., e diminuisce i costi di transazione connessi alle procedure negoziali, che gravano soprattutto sulle piccole imprese. Di contro, però, se promossa da associazioni datoriali rappresentative solo di una piccola porzione di imprese grandi e produttive, la contrattazione collettiva applicata all’intero settore può favorire la concorrenza sleale nei confronti delle realtà di più piccole dimensioni. Per evitare questo effetto distorto, in molti Paesi OCSE è istituita una soglia di rappresentatività del contratto collettivo e, in particolare, delle associazioni datoriali firmatarie, che devono organizzare un certo numero di imprese al cui interno deve essere impiegata una componente significativa di lavoratori del settore. Alternativamente, come accade in Norvegia, l’estensione dell’efficacia della contrattazione collettiva può essere concessa o revocata a seconda di una valutazione in capo al governo che ha ad oggetto l’“interesse pubblico”.

 

L’indagine OCSE precisa che le percentuali di copertura dei contratti collettivi potrebbero essere sottostimate, soprattutto per via della possibilità in capo alle imprese di alcuni Paesi OCSE (prima fra tutte, la Germania) di applicare (tramite “orientamento” informale) le regole stabilite dal contratto collettivo di riferimento pur non essendo formalmente obbligate a farlo. Dal 2000 al 2013, infatti, mentre la copertura della contrattazione collettiva diminuiva di oltre 10 punti percentuali, la porzione di imprese che si “orientavano” ad applicare le regole stabilite dai contratti collettivi aumentava di oltre il 4%. Tuttavia, questa possibilità implica una maggiore facilità per i datori di lavoro di interrompere l’applicazione dell’accordo in qualsiasi momento o di scegliere di rispettare solo una parte delle disposizioni pattuite. Questi problemi possono essere parzialmente ovviati grazie alla facoltà di “opt-in”, che costituisce una modalità più formale di adesione alle norme del contratto collettivo.

 

Da ultimo, il rapporto OCSE rivela che la durata, l’ultrattività e la retroattività della contrattazione collettiva ne influenzano il tasso di copertura. In alcuni Paesi, infatti, i contratti collettivi non si estinguono fino alla firma di quelli successivi. Questo, se da una parte può garantire una tutela duratura ai lavoratori, dall’altra, può rendere difficoltoso per i datori di lavoro rinegoziare i termini di un accordo in concomitanza di circostanze economiche sfavorevoli e può in generale ridurre la resilienza del mercato del lavoro di fronte agli shock esterni. In Francia e Belgio vengono solitamente stipulati contratti a durata indefinita. In altri Paesi, la durata del contratto collettivo è fissata per legge solitamente a 36 mesi. Per quanto riguarda l’ultrattività e la retroattività della contrattazione collettiva, nella maggior parte dei Paesi OCSE la materia è regolata dalle parti sociali.

 

Decentramento, deroghe e coordinamento della contrattazione collettiva

 

Una tendenza riscontrabile in diversi sistemi nazionali di contrattazione collettiva è quella al decentramento, iniziata intorno agli anni Ottanta per consentire maggiore flessibilità alle imprese e un migliore allineamento con i livelli di produttività. Esistono due vie principali al decentramento: la prima consiste in una sostanziale sostituzione dei contratti nazionali e settoriali con accordi aziendali (si parla, in questo caso di “decentramento disorganizzato”); la seconda prevede un processo di coordinamento e articolazione delle funzioni tra i diversi livelli negoziali (ci si riferisce al “decentramento organizzato”). Anche in questo secondo caso, il decentramento può essere però organizzato con modalità diverse: nei Paesi scandinavi e in Olanda, ad esempio, i contratti collettivi nazionali e di settore fissano alcuni standard di riferimento per poi lasciare ampio margine negoziale agli attori di secondo livello; in Germania la contrattazione di primo livello definisce le condizioni in base alle quali sono ammesse deroghe da parte dei contratti decentrati (tramite le cosiddette clausole di “opt-out”); in altri Paesi ancora, il decentramento non ha portato a un vero e proprio trasferimento di poteri alla contrattazione di secondo livello, al contrario il primo livello contrattuale è rimasto dominante, lasciando alla contrattazione decentrata la mera possibilità di migliorare (sulla base del principio del favor) gli standard definiti a livello nazionale o di settore. Complessivamente, il rapporto OCSE evidenzia come la contrattazione di primo livello sia rilevante nella maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale, mentre in Canada, Cile, Giappone, Corea, Messico, Turchia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Stati Uniti e in molti Paesi dell’Europa orientale, la contrattazione si svolga a livello di impresa.

 

Come si accennava in precedenza, le clausole di deroga sono state spesso introdotte come modalità di “decentramento organizzato” della contrattazione. In particolare, esse sono annoverate tra i principali strumenti di adattamento del sistema contrattuale, soprattutto in quei Paesi dove esiste una rigida gerarchia tra i livelli negoziali e sono ricorrenti le estensioni per via amministrativa. Le clausole di deroga possono essere intese come una sorta di “valvola di salvezza” proprio perché permettono aggiustamenti agli accordi centralizzati rispetto alle dinamiche locali. In Germania si è fatto largo uso di queste clausole sin dagli anni Novanta, come strumento temporaneo di risposta a specifiche esigenze economiche. In Spagna, invece, sono state introdotte nel 2012 ma fino al 2015 solo il 5% delle aziende ne aveva fatto uso: indice del fatto che spesso le imprese hanno bisogno di tempo per comprenderne la funzionalità e le modalità di impiego.

 

Il coordinamento costituisce un ulteriore pilastro dei sistemi di contrattazione collettiva. Non a caso, molti studi ne hanno rimarcato il ruolo fondamentale nel consentire alle economie nazionali di adattarsi agli shock esterni. Il coordinamento può essere sia verticale (quando riguarda livelli diversi di contrattazione) che orizzontale (quando riguarda unità appartenenti allo stesso livello). Per quanto riguarda la materia delle retribuzioni, il coordinamento assume forme diverse nell’area OCSE. In alcuni Paesi, come il Belgio, il coordinamento è assicurato da controlli rigidi da parte delle istituzioni governative, attraverso regole per l’indicizzazione dei salari e gli aumenti retributivi. Altrove, come in Francia, l’elevato salario minimo stabilito centralmente riduce il margine di negoziazione dei livelli inferiori. Nei Paesi scandinavi e in Austria, Germania e Olanda, vige un sistema di pattern bargaining, in base al quale un settore, molto spesso quello manifatturiero, fissa dei target minimi e gli altri si conformano. In Giappone vale lo stesso principio ma applicato a livello aziendale. In Italia, Spagna, Portogallo e Slovenia, il coordinamento avviene sulla base di linee guida stabilite a livello inter- o intra-associativo. Le associazioni di rappresentanza a livello centrale stabiliscono, quindi, alcune regole che devono essere rispettate quando si contratta a livello decentrato. Infine, non si riscontra coordinamento nei Paesi dell’Est Europa.

 

Esigibilità della contrattazione collettiva

 

Il coordinamento e la centralizzazione, però, senza un effettivo rispetto e una reale esigibilità della contrattazione collettiva si rivelano inefficaci.

 

Non esistono relativamente all’esigibilità contrattuale, indicatori comparabili all’interno dell’area OCSE, poiché molto dipende dal funzionamento della contrattazione collettiva, dalle sue evoluzioni storiche e dalla fiducia riposta nelle e tra le parti sociali. Tuttavia, uno strumento impiegato per favorire l’esigibilità contrattuale è costituito dalle clausole di tregua, che impediscono alle associazioni sindacali firmatarie di un accordo e ai loro iscritti di scioperare sulle materie già disciplinate dall’accordo stesso. Sono utilizzate soprattutto nei Paesi del Nord Europa, mentre non vengono impiegate in Belgio e Francia, poiché viste come limitanti il diritto di sciopero. In Italia e Spagna, invece, le clausole di tregua sono abbastanza comuni ma dato che il diritto di sciopero si configura come un diritto individuale e il contratto collettivo è vincolante per le sole parti firmatarie, i singoli lavoratori sono comunque titolati a scioperare. Altri strumenti di controllo del conflitto sono le procedure di mediazione o arbitrato, presenti sia a livello settoriale che aziendale nella metà dei Paesi OCSE.

 

Infine, il rapporto evidenzia come l’efficacia della contrattazione collettiva dipenda in misura considerevole da relazioni industriali di tipo cooperativo, che a loro volta influenzano positivamente il grado di fiducia nei corpi intermedi. La qualità delle relazioni industriali e la fiducia nelle e tra le parti sociali può essere promossa in vari modi, ad esempio tramite meccanismi di informazione e consultazione delle rappresentanze dei lavoratori, il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti nei processi decisionali e l’istituzione di organi predisposti alla mediazione e risoluzione delle controversie.

 

La rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale

 

Diversi sono gli organismi di rappresentanza che esistono, e spesso coesistono, nei luoghi di lavoro dei Paesi OCSE: i rappresentanti sindacali territoriali, i consigli di fabbrica, i rappresentanti dei lavoratori e i responsabili per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In Francia, nelle aziende con più di 50 dipendenti è possibile trovare tutte e quattro le forme di rappresentanza; in altri Paesi, tra cui Austria, Germania, Lussemburgo e Olanda, esistono solamente i consigli di fabbrica (su cui, però, i sindacati possono esercitare una certa influenza); in Canada, Stati Uniti, Svezia e Turchia, i sindacati sono l’unico organo di rappresentanza. Infine, in alcuni Paesi, tra cui Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Ungheria, i lavoratori sono rappresentati anche all’interno dei consigli di amministrazione delle aziende. Questo tipo di rappresentanza tende a rafforzare la voice dei lavoratori e il loro potere contrattuale e a favorire relazioni cooperative, permettendo ai lavoratori di partecipare alle scelte strategiche delle imprese.

 

Conclusioni

 

Come si è visto, la contrattazione collettiva nell’area OCSE presenta caratteri di eterogeneità e complessità, che richiedono una analisi che vada oltre i tradizionali indicatori macroeconomici per approfondire meglio i diversi elementi e le diverse pratiche negoziali.

 

Complessivamente, nei prossimi anni la sfida principale per la contrattazione collettiva sarà quella di mantenersi rilevante pur in un contesto del lavoro mutevole. Gli ultimi decenni hanno infatti dimostrato come l’alternativa alla contrattazione collettiva non sia la contrattazione individuale bensì l’assenza di contrattazione o la regolamentazione statale. Sono pochi i lavoratori effettivamente in grado di negoziare con il proprio datore di lavoro. Ma le conseguenze di una perdita di rilevanza della contrattazione collettiva, soprattutto in termini di crescenti disuguaglianze e costi di transazione, devono ancora essere approfonditamente stimate.

 

È bene però considerare che l’efficacia della contrattazione collettiva non dipende dal solo tasso di copertura, bensì dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti e di trovare il giusto equilibrio tra esigenze di flessibilità e inclusività. Da un lato, infatti, sistemi centralizzati mostrano una notevole inclusività (che si traduce in alta copertura contrattuale), benché carenti in termini di flessibilità; dall’altro, sistemi fortemente decentrati mostrano elevata flessibilità, ma accompagnata da una bassa inclusività. Entrambi i modelli presentano quindi pregi e difetti. Ecco che allora l’analisi OCSE suggerisce ai sistemi nazionali di puntare su una migliore articolazione tra livelli negoziali, una maggiore qualità dei contenuti della contrattazione, la previsione di estensioni amministrative nonché di clausole derogatorie, e un alto livello di autonomia degli agenti negoziali. Solo attraverso l’impegno su fronti e pratiche così diversificati sarà possibile contribuire effettivamente alla promozione di un mercato del lavoro che sia al contempo flessibile e inclusivo.

 

Ilaria Armaroli

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@ilaria_armaroli

 

Costanza Maria Forli

Laureanda magistrale in sociologia e ricerca sociale

Università di Firenze

 

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