Il nuovo contratto a termine (della ragionevolezza)

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Bollettino ADAPT 22 maggio 2023, n. 19
 
Il decreto lavoro 2023, pur dedicando gran parte del testo alla riforma del reddito di cittadinanza, era molto atteso da imprese, associazioni datoriali e professionisti che assistono le imprese medesime, in funzione della preannunciata riforma della disciplina inerente il lavoro a termine. Ogni Governo che si è succeduto nel tempo, tra i primi atti emanati si è preoccupato di intervenire sulla predetta disciplina, ritenendo ognuno di cogliere nel segno nel senso del coniugare esigenze sociali, fabbisogno delle imprese, aspettative ed occasioni occupazionali della platea occupabile. Non distinguendosi da tale tradizione, anche il Governo in carica non ha perso occasione per intervenire alla prima opportunità legislativa per dare la sua visione del lavoro a tempo determinato. La contestazione più evidente sviluppatasi negli anni è stata quella di voler prediligere (ovviamente) il rapporto a tempo indeterminato, ritendo il rapporto a termine il primo scalino verso la precarietà. Ma intendiamoci: se dovessimo disegnare una scaletta di rapporti di lavoro possibili, dopo il rapporto subordinato a tempo indeterminato e dopo il lavoro a termine, troviamo solo co.co co, partite iva, collaborazioni occasionali e lavoro nero. Per cui val la pena evidenziare che il lavoro a termine – nelle sue alternatività legislative – può essere considerato il confine ultimo tra il rapporto di lavoro garantito e tutelato dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva a qualsiasi livello, e la totale precarietà.
 
Come dicevamo, il nuovo decreto lavoro 2023, riforma in sostanza la parte normativa del lavoro a termine relativa alla individuazione delle ragioni giustificatrici che ne comprovano la legittimità. È appena il caso di evidenziare che qualsiasi ragione giustificatrice (dal causalone originariamente previsto dalla legge 230/62) protrattosi con incessanti modifiche fino al cd. “decreto Dignità” (12 luglio 2018, n. 87 convertito dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96) doveva essere sempre concreta, comprovabile, dimostrabile. L’insussistenza di tali condizioni ove franate in corso di vigilanza o di giudizio, ha sempre comportato il disconoscimento della legittimità della apposizione dl termine con la conseguenza della trasformazione del rapporto di lavoro a termine scrutinato, in rapporto a tempo indeterminato sin dalla sua origine.
 
Una prima introduzione della riforma in oggetto, riguarda l’attesa apertura alla contrattazione collettiva recata dall’art. 19 del decreto, nel qual si legge:

“Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51”.
 
Il riferimento all’art. 51 del dlgs 81/2015 attiene alla natura contratti collettivi ritenuti idonei al recepimento della novella individuati tra quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
 
Viene dato quindi intelligentemente mandato alla contrattazione collettiva di settore ma anche alla contrattazione collettiva aziendale di stabilire quali possano essere le reali condizioni per l’apposizione del termine al rapporto di lavoro: una opzione di “sartoria” che mira alla individuazione di ragioni giustificatrici specifiche e non più generaliste inerenti alle peculiarità del settore di contrattazione (contrattazione collettiva) fino alla ipotesi di contrattazione aziendale permeabile alla concreta , quotidiana, periodica, attività produttiva.
 
Alla contrattazione di vario livello, viene dato tuttavia un termine, recato nella lettera b) della medesima disposizione:

b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
 
Una prima parte della disposizione “avvisa” la contrattazione collettiva di vario livello che l’opzione- finestra” per la quale sarà possibile individuare le ragioni giustificatrici specifiche utili alla apposizione del termine nel rapporto di lavoro si estingue al 30.4.2024, prendendo atto di una sorta di complessità, lentezza e burocratizzazione della contrattazione collettiva che – allo stato – invece di agire tempestivamente per recepire condizioni di maggior favore per aziende e lavoratori – spesso occupa tempi ormai inaccettabili. Scaduto tale termine ed in presenza di inoperatività della contrattazione collettiva – tanto generalista quanto aziendale, si dà spazio alla apposizione di ragioni giustificatrici,” per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti “.
 
A tal proposito, va fatta una doverosa osservazione: quali sono le “parti” attori del contratto a termine in assenza di qualsivoglia disciplina contrattuale? Senza dubbio datore di lavoro e lavoratore. Ma davvero si ritiene che una esigenza di natura tecnica, organizzativa o produttiva dell’azienda possa essere individuata anche dalla “parte” lavoratore? Ma davvero si ritiene che la “parte” lavoratore abbia la capacità di esprimere un potere contrattuale all’atto della stipula del contratto di lavoro per la quale potrebbe obiettare la ragione giustificatrice proposta dal datore di lavoro? Ma davvero si ritiene che il lavoratore chiamato ad un rapporto a termine che forse per la prima volta mette piede in azienda possa sindacare sulla esigenza aziendale di un rapporto di lavoro temporaneo?
 
Nella storia del rapporto di lavoro a termine – comunque periodicamente rimaneggiato – la scelta della ragione giustificatrice è stata sempre onere del datore di lavoro. Tant’è che la responsabilità legale e giuridica di tale scelta è sempre stata ascrittta al datore di lavoro che ne rispondeva innanzi agli organi di vigilanza, agli organi di conciliazione e alle aule di giustizia.
 
Fino a ieri, quando un lavoratore sottoscriveva un contratto a termine, per fatti concludenti accettava sostanzialmente le ragioni e le condizioni individuate dal datore di lavoro, senza che ciò comportasse in alcun modo la preventiva individuazione delle parti.
 
Duole cogliere in questo passaggio, il fazioso coinvolgimento della volontà del lavoratore in una scelta che in nessun modo può essere a sé ascrivibile.
 
È qui opportuno un solo parallelo: in tema di videosorveglianza sui luoghi di lavoro (che è un aspetto accessorio dello svolgimento del rapporto di lavoro) è preventivamente necessario il preventivo accordo con le RSA/RSU se non l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. E stiamo parlando di un tema accessorio. Per l’instaurazione di un rapporto di lavoro a termine (e stiamo parlando di sostanza del rapporto) pare sia ora opportuno solo l’individuazione delle parti, attribuendo al lavoratore un inesistente potere contrattuale.
 
Duole riscontrare che questo decreto è stato scritto sicuramente da mani tecniche ed esperte della materia.
 
Ma si tratta di un decreto. Da correggere. Necessariamente.
 
Renzo La Costa

Ispettore del lavoro – ITL BARI*
 
*Opinioni e valutazioni dell’autore hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

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