Il lavoro festivo subordinato

ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 22 marzo 2021, n. 11

 

La normativa in tema di festività infrasettimanali – legge n. 260 del 1949, come modificata dalla legge n. 90 del 1954 – è completa ed autosufficiente nel riconoscere al lavoratore il diritto soggettivo di astenersi dal prestare la propria attività lavorativa in occasione di determinate festività celebrative di ricorrenze civili e religiose” (da ultimo, Cass. 15 luglio 2019, n. 18887).

 

L’ormai noto refrain giurisprudenziale, se osservato dal puto di vista della “tecnica” giuridica applicata, offre non trascurabili spunti di riflessione su principi regolatori generali, potremmo dire “sistemici”, rispetto allo schema negoziale del contratto di lavoro subordinato.

 

Invero, secondo l’orientamento riportato, la conseguenza è che “il predetto diritto non può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di un accordo tra il datore di lavoro e lavoratore o di accordi sindacali stipulati da OO.SS. cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato.”

 

Di qui muovendo, preme innanzitutto evidenziare che le espressioni utilizzate, nel tempo, dalla magistratura – “diritto soggettivo pieno con carattere generale” (Cass., 19 ottobre 2016, n. 21209) oppure “diritto soggettivo perfetto” (Trib. Milano 30 luglio 2020, n. 1217) – unitamente al concetto, dalla medesima espresso, circa la mancata estensione, alle festività infrasettimanali, di quelle eccezioni alla inderogabilità previste da una legge anteriore (legge n. 370 del 134) per il riposo settimanale (Cass. 7 agosto 2015, n. 16592), lasciano davvero pochi dubbi sul fatto che si verte, in specie, di una “norma inderogabile” di legge.

 

Ciò rende di particolare interesse la prima delle “vie” ammesse, dal pensiero giurisdizionale, per fruire della prestazione eterodiretta ossia che il lavoratore vi rinunci, per mezzo di un accordo con il datore. Ora, i più avvertiranno lo “stridore” giuridico prodotto dall’utilizzo, coevo, dei termini “rinuncia”, negozio unilaterale non recettizio che esaurisce i propri effetti estintivi nella sfera del rinunciante (Cass. 18 agosto 2004, n. 16168) e “accordo”, id est un contratto bilaterale ovvero clausole in esso contenute (artt. 1325 e 1341 cc).

 

Delle due, l’una.

 

In particolare, nel tentativo di “risolvere” il disinvolto lessico utilizzato in giurisprudenza, se la “norma inderogabile” di legge, per un verso, definisce il regolamento degli interessi pro futuro assolutamente intangibile (A. Perulli, La “soggettivazione regolativa” nel diritto del lavoro, WP CSDLE “Massimo D’Antona” n. 365/2018, p. 33), rendendo nulli gli “accordi” da essa difformi (artt. 1418 e 1419 c.c.), dall’altro, ammette invece, seppur condizionatamente (art. 2113 c.c.), la “rinuncia”, prevedendone la mera invalidità e, comunque, un consolidamento degli effetti trascorso il termine per l’impugnazione (C. Cester, Inderogabilità delle norme e disponibilità dei diritti, atti del XIII Congresso Nazionale AIDLASS, dattiloscritto, p. 16).

 

Peraltro, propendere per lo “strumento” della “rinuncia” del prestatore, non pare neppure contrastare con il limite dei c.d. “diritti futuri”, evidentemente non rinunciabili (ex multis, Cass. 12 agosto 2016, n. 17098), essendo che la qualificazione – obiter dictum – di alcune pronunce (ancora Trib. Milano 30 luglio 2020, n. 1217) del diritto ad astensione dalla prestazione in luogo di una posizione soggettiva attiva già acquisita dal singolo lavoratore, sembra proprio ricondurlo a quella serie di diritti, legati al rapporto di lavoro eterodiretto, i quali, ancorché non si sia presentata occasione per appalesarli, cionondimeno sono pienamente attuali e, dunque, sin da subito nella disponibilità dello stesso (Cass. 18 agosto 2000, n. 10963).

 

In sostanza, il diritto al riposo festivo infrasettimanale, andrebbe ricondotto alla categoria della “inderogabilità”, ma non anche a quella della “indisponibilità” (P. Tullini, Inderogabilità delle norme e disponibilità dei diritti, atti del XIII Congresso Nazionale AIDLASS, dattiloscritto).

 

In aggiunta, alla luce del ragionamento percorso, quella che appare come la corretta tecnica giuridica ai fini di gestione della fattispecie, sembra rappresentare anche un giusto punto di equilibrio nel contesto di una relazione, geneticamente, squilibrata, essendo, in tale guisa, la “rinuncia” in corso di rapporto, sempre revocabile (rectius invalidabile).

 

Questo assunto ci conduce, infine, a vagliare, con perplessità, la seconda delle ipotesi regolative ammesse ossia mediante accordi sindacali stipulati dalle organizzazioni sindacali cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato.

 

Invero, la “soluzione” proposta, configurandosi, de facto, alla stregua di un contratto concluso per il tramite di soggetto munito del potere di rappresentanza (art. 1387 c.c.), non potrebbe che patire le medesime conseguenze, analogamente all’accordo concluso senza mediazione, del confronto con la “norma inderogabile” di legge.

 

Nel medesimo solco, una simile prospettazione confliggerebbe anche con la “regolazione” di principio che, da sempre e in modo prevalente, la magistratura opera per gestire il rapporto fra “legge” e “contratto collettivo” ossia la inequivocabile preminenza del diritto positivo rispetto all’ordinamento sindacale, peraltro mai costituzionalmente attuato (art. 39 Cost.).

 

Anche perché, nel caso di specie, l’autonomia contrattuale di “diritto comune” nemmeno svolgerebbe quelle funzioni (“derogatoria”, “integrativa” o “suppletiva”) talvolta previste dalla legge, ma, piuttosto, si posizionerebbe, a danno del lavoratore, in aperto contrasto con essa.

 

In conclusione, questa seconda opzione sembra rientrare, a pieno titolo, fra quelle “teorie” giurisprudenziali (si veda la qualificazione degli usi aziendali a “fonti sociali” e dunque la loro rivedibilità mediante successivo accordo collettivo; oppure la sancita, e mai civilisticamente spiegata, efficacia erga omnes dei contratti collettivi aziendali) al servizio di una visione necessariamente dinamica dell’applicazione dei vari trattamenti, più attenta alla prassi che alla sostenibilità sistematica delle soluzioni (ancora C. Cester, cit., p. 11).

 

Federico Avanzi

ADAPT Professional Fellow

 

Il lavoro festivo subordinato