Diario sudamericano sull’alternanza formativa: tra buone prassi e vincoli culturali

ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 8 aprile 2019, n. 14

 

Si è tenuto a Lima (Perù), lo scorso 1 e 2 aprile, il convegno “Más jóvenes en las empresas: integrar trabajo y formación como vía para mejorar la empleabilidad juvenil y la productividad de las empresas (“Più giovani nelle imprese: integrare lavoro e formazione come strumento per migliorare l’occupabilità dei giovani e la produttività delle imprese”), promosso e organizzato dal programma EUROsociAL e dalla fondazione EULAC, con il supporto del Ministero del Lavoro peruviano. La due giorni è stata l’occasione per presentare il testo ¿Cómo generar empleabilidad para la juventud? (“Come promuovere l’occupabilità dei giovani”), che raccoglie tredici esperienze di successo nell’ambito della formazione duale, realizzate in Sud America ed Europa, selezionate tra le quasi cento ricevute da EUROsociAL e dalla fondazione EULAC.

 

Il contesto sudamericano e quello europeo presentano alcuni elementi di somiglianza. In entrambi i continenti il tasso di disoccupazione e inattività giovanile è mediamente ancora molto alto: nel 2017 la disoccupazione giovanile europea era del 16,8%, con picchi del 43,6% in Grecia, del 38,6% in Spagna e del 34,7% in Italia, e all’opposto, del 6,8% in Germania, mentre in Sud America nello stesso anno la media era del 18,8%, con al vertice alto il Brasile con un tasso di disoccupazione giovanile del 29,2% e a quello basso il Guatemala con un tasso del 5,1%. Nei paesi del Sud America è invece mediamente più alto il tasso dei NEET (Not (engaged) in education, employment or training). Un’altra problematica che accomuna i due continenti è lo skills mismatch: la differenza tra le competenze possedute dai lavoratori e quelle effettivamente richieste dal sistema produttivo, così come lo skills shortage: l’irreperibilità sul mercato del lavoro di determinate figure professionali. Si tratta di problematiche complesse, che si sviluppano e toccano più dimensioni: quella sociale (l’esclusione sociale e la povertà dei giovani), economica (la produttività delle imprese e lo sviluppo comune), formativa (la distanza tra sistemi formativi e mondo produttivo).

 

Per affrontare questi problemi molti Paesi, anche raccogliendo l’invito di organismi internazionali e comunitari, hanno scelto di potenziare e migliorare i propri percorsi di formazione professionale e apprendistato, individuati come strumenti utili per contrastare, da una parte, la disoccupazione e l’inattività giovanile e, dall’altra, fornire alle imprese giovani con le competenze effettivamente richieste dal mondo del lavoro. E proprio di esperienze “duali” d’eccellenza tratta la pubblicazione sopra richiamata, con l’obiettivo di individuare elementi e caratteristiche possibilmente replicabili anche in altri contesti. Allo stesso tempo, il convegno si è strutturato in modo tale da permettere il dibattito e il confronto tra i partecipanti, provenienti specialmente da Paesi sudamericani, così da permettere la diffusione di buone pratiche e l’individuazione di criteri “di qualità” utili alla progettazione di percorsi formativi duali realmente efficaci. I partecipanti, poco più di un centinaio, erano soprattutto educatori o progettisti / gestori di percorso di formazione o reinserimento professionale. Di seguito alcune considerazioni emerse in esito a questa due giorni di lavoro e dibattito.

 

Non esiste un modello astratto e ideale di alternanza formativa. Non esiste, cioè, la possibilità di replicare esperienze di successo senza prima confrontarsi con le effettive esigenze del proprio contesto, sociale ed economico. Ogni modello deve quindi “concretizzarsi” e affrontare le specifiche problematiche locali: ad esempio, progettare percorsi d’inserimento aziendale in alternanza per giovani che necessitano prima di tutto di percorsi d’inserimento sociale può essere non solo inutile, ma anche dannoso. Se prima sono state ricordate le somiglianze tra Sud America e Europa, è opportuno anche ricordare le differenze: nel continente sudamericano il lavoro nero e senza contratto è molto più diffuso che in Europa, così come più frequenti sono i casi di esclusione sociale, causati da situazioni di povertà, fragilità, o di illegalità. D’altro canto, in Europa è più forte la tendenza alla svalutazione del lavoro manuale e, conseguentemente, dei percorsi formativi duali, spesso intesi come soluzione di ripiego per i giovani che, per i più disparati motivi, non proseguono gli studi a livello universitario. Le tredici esperienze raccolte hanno quindi come caratteristica comune la capacità di intercettare dei bisogni effettivamente presenti nel loro territorio, di essere una risposta concreta ad un’esigenza. È il caso, ad esempio, dell’inserimento lavorativo per i giovani detenuti in Argentina, o del programma realizzato dalla Fondazione Bankia in Spagna: nel primo, si è voluto affrontare il problema della crescente esclusione dei giovani in carcere, che durante il periodo di reclusione rischiano di non svolgere un vero percorso di riabilitazione e reinserimento nella società: in questo senso, il lavoro e la formazione, opportunatamente coniugati, possono concretamente migliorare la loro occupabilità; nel secondo, invece, si è partiti dal riconoscere la mancanza di determinante figure professionali e di specifiche competenze nel settore bancario, scegliendo quindi di promuovere percorsi di alternanza formativa così da permettere una più efficace formazione dei giovani, realizzata a diretto contatto e attraverso l’esperienza lavorativa.

 

Rispondere a queste specifiche esigenze, sociali, economiche e formative, è possibile solo grazie a percorsi partecipati di dialogo tra sistemi formativi, imprese, parti sociali, enti pubblici e governativi. Anche questa caratteristica accomuna le esperienze sudamericana con quelle europee, pur con le dovute differenze, dovute anche al fatto che mentre in Europa la formazione duale ha una storia e una tradizione, in molti Paesi, secolare, in Sud America invece spesso rappresenta una novità e necessita quindi di un maggior appoggio da parte delle realtà pubbliche o internazionali, come nel caso dell’ILO, con il conseguente rischio però di dipendere, sotto il profilo finanziario, dal sostegno governativo. Il progetto peruviano SENATI (Servicio Nacional de Adiestramiento en Trabajo Industrial), grazie all’attivo coinvolgimento di associazioni datoriali, realtà formative e governative da anni promuove percorsi d’apprendistato di successo, diffondendosi capillarmente nelle diverse regione peruviane. Un altro esempio è quello della formazione duale in Colombia, il cui potenziamento è stato reso possibile dalla stipula del Pacto Nacional para la Reforma Educativa en la República Dominicana (2014-2030), sottoscritto dal Governo, dalle realtà sindacali e sociali. Questo dialogo ha due scopi: la costruzione di percorsi equilibrati nel rispondere alle esigenze, in termini di competenze e capacità espresse dalle imprese, e allo stesso tempo autenticamente formativi; così come la promozione e la diffusione di una vera e propria “cultura” dell’alternanza formativa. Soprattutto nei paesi sudamericani, dove la tradizione “duale” è assente, è infatti opportuno che l’attore pubblico si faccia promotore di questi percorsi, attraverso il diretto coinvolgimento degli stakeholder locali.

 

Questi due punti non toccano ancora, però, ciò che costituisce il “cuore” dell’alternanza formativa: non basta infatti rispondere ad esigenze effettivamente presenti grazie al dialogo e alla costruzione comune di percorsi duali, se non si comprende che l’alternanza è prima di tutto un metodo pedagogico, nel quale alla formazione in aula non viene semplicemente accostata l’esperienza pratica, ma dove le due si coniugano nel favorire un modello formativo integrale. Allo stesso tempo, è un errore ridurre, strumentalmente, la formazione in alternanza a esigenze di stampo puramente economico, così come altrettanto riduttivo è pensarla come semplice percorso di reinserimento sociale. A tema è prima di tutto l’integralità della formazione, vero elemento di occupabilità: per raggiungere questo obiettivo, certamente è necessario prendere in considerazione i due precedenti punti, ma al centro va tenuta la persona del giovane. In questo senso, la formazione integrale non ha come obiettivo l’imparare “un mestiere”, quanto piuttosto l’imparare a imparare, favorendo così processi di crescita continui nel tempo (come avviene nella Scuola di Alta Formazione di ADAPT, uno dei 13 casi di eccellenza selezionati nella pubblicazione). Una riduzione strumentale dell’alternanza formativa non fa altro che alimentare i pregiudizi sopra richiamati, per i quali essa si limita ad essere addestramento pratico. Inoltre, così ridotta non raggiunge gli obiettivi economici e sociali che pur tuttavia sembrerebbero essere alla base di questa stessa riduzione, in quanto le trasformazioni del mondo del lavoro, e le inevitabili transizioni che ad esse si accompagnano, chiedono oggi giovani dotati non tanto di un rigido insieme di competenze tecniche e specialistiche, quanto piuttosto di un metodo per apprendere e “leggere” la realtà nella quale vivono. Il metodo dell’alternanza formativa trova poi concreta declinazione in diversi strumenti, che siano percorsi di formazione professionale più school-based (come nel caso della Escuela Taller Municipal di La Paz, in Bolivia) o attraverso il contratto d’apprendistato (come nel caso della Red Pro Aprendiz brasiliana), a partire dalle diverse caratteristiche, sociali ed economiche, nelle quali prende forma.

 

Come sopra ricordato, molti Paesi sudamericani stanno sviluppando in questi anni percorsi di alternanza formativa. Il convegno di Lima è stato un momento utile affinché, grazie anche agli insegnamenti delle tredici esperienze raccolte, non si riduca la formazione duale ad addestramento professionale, favorendo così la diffusione di tutti quei pregiudizi diffusi in Europa, e particolarmente in Italia, per i quali la commistione tra formazione e lavoro non è altro che una svalutazione della prima e un’inutile appendice del secondo, scelta “di ripiego” per giovani che, per i più disparati motivi, non accedono ad una formazione tradizionale ed accademica. Il convegno e i tredici casi di eccellenza raccolti evidenziano come sia fondamentale, oggi più che mai, lavorare per favorire l’effettiva integrazione tra sistemi formativi e mondo delle imprese, non solo e non tanto per rispondere alle esigenze degli uni o degli altri, ma per formare giovani capaci di essere protagonisti della grande trasformazione del lavoro in atto.

 

Matteo Colombo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@colombo_mat

 

Diario sudamericano sull’alternanza formativa: tra buone prassi e vincoli culturali
Tagged on: