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Bollettino ADAPT 10 maggio 2021, n. 18

 

Gli Istituti Tecnici Superiori sono stati definiti dal premier Draghi come una “priorità per ripartire”. Le ragioni che spiegano questa attenzione sono diverse. I (pochi) studi su di essi si concentrano – comprensibilmente – sugli importanti risultati raggiunti in termini di placement: gli attuali circa 18.000 iscritti alle 109 Fondazioni sparse per tutta Italia trovano un’occupazione più rapidamente anche dei laureati magistrali, con tassi di occupazione a 12 mesi dal titolo mediamente dell’83% e nel 92% dei casi in lavori coerenti con quanto hanno appresso: dato non scontato, data la tradizionale distanza tra sistemi formativi e mondo del lavoro. È quindi facile capire perché l’attenzione del premier si è concentrata sugli ITS, destinatari anche di 1,5 miliardi di risorse europee dal PNRR. Sono note anche le criticità di questo sistema: gli iscritti, se guardiamo agli altri Paesi europei e ai corrispettivi percorsi terziari non accademici, sono ancora pochi, le risorse sono vincolate ad un meccanismo di bandi annuali che limitano la programmazione e la capacità di investimento delle Fondazioni, e manca ancora una legge organica che sappia dare ordine al sistema. Le risorse comunitarie andranno sicuramente ad aggredire questi limiti, anche potenziando le sedi delle Fondazioni mettendo loro a disposizione laboratori all’avanguardia.

 

Uno sguardo diverso sul sistema ITS è fornito da una ricerca realizzata da ADAPT e Confindustria Lombardia, dedicata alle Fondazioni che hanno progettato corsi per la formazione di figure dotate di competenze abilitanti i processi di Industria 4.0. Là dove l’innovazione è più diffusa si è infatti notato che si riducono ulteriormente le distanze tra mondo della formazione e del lavoro: negli ITS coinvolti nella ricerca, sono maggiori le ore di stage in azienda (47% del monte ore totale, contro il 43% della media nazionale e il 30% richiesto dalla normativa), le ore di lezione svolte da professionisti (il 75,2%, contro il 70% della media nazionale e il 50% indicato come minimo dalla normativa) le attività laboratoriali, e l’utilizzo di forme di didattica innovativa come il design thinking. Da uno sguardo d’insieme, sembra quindi che la costruzione di profili innovativi, capaci di governare attivamente i processi di trasformazione tecnologica e organizzativa, richieda anche una maggior ibridazione tra spazi, tempi e metodi della formazione e del lavoro. Parallelamente, queste Fondazioni hanno moltiplicato anche le forme di collaborazione con il sistema delle imprese, sviluppando rapporti che vanno oltre la sola progettazione e realizzazione dei corsi ITS.

 

Queste evidenze lanciano una sfida anche al sistema di relazioni industriali italiano. Guardare solo ai dati relativi al placement rischia di mettere in secondo piano il ruolo degli ITS nella costruzione di reti territoriali e settoriali per la costruzione di professionalità dotate di una grande adattabilità, capaci di portare anche nelle aziende meno strutturate competenze innovative. Le relazioni industriali hanno allora la possibilità di accompagnare questo processo di costruzione, agganciandolo ai sistemi di inquadramento grazie al ricorso all’apprendistato di alta formazione e ricerca, favorendo così ulteriormente le transizioni dei giovani tra formazione e lavoro. Gli ITS, e i loro laboratori in particolare, possono diventare luoghi per la formazione continua dei dipendenti aziendali, il loro upskilling e reskilling. Le reti tra imprese, centri di ricerca, università e ITS possono inoltre innescare processi di ricerca condivisi e declinati a livello territoriale, generando processi di continuo scambio di informazioni e conoscenze tra realtà differenti.

 

Tra le diverse proposte che si possono avanzare per raggiungere questi obiettivi tre sembrano le più urgenti. Innanzitutto incentivare il ricorso all’apprendistato di terzo livello, sia di alta formazione (per conseguire il titolo ITS) sia di ricerca (per sviluppare progettualità condivise tra Fondazioni e aziende anche dopo la conclusione del percorso formativo). Molti contratti collettivi nazionali di lavoro ancora non lo disciplinano ma potrebbe ulteriormente avvicinare questi due mondi. Occorre poi lavorare per la costruzione di intese o patti settoriali o locali per permettere ai dipendenti di frequentare corsi ITS più brevi e incentrati su specifiche competenze come strumento di formazione continua e di riqualificazione. In questo modo si potrebbe mettere una importante infrastruttura formativa già rodata a disposizione di ampie fette di lavoratori con positive conseguenze per loro e per le imprese. In ultimo favorire la costruzione di partnership tra imprese e Fondazioni (e tutti gli enti che le compongono, quindi anche Università e/o centri di ricerca) per lo sviluppo di progetti di ricerca comuni e per la costruzione di osservatori locali per la mappatura e l’anticipazione dei fabbisogni formativi, utili per la programmazione didattica ITS ma anche per l’orientamento dei giovani.

 

Francesco Seghezzi

Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione su transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz

 

*pubblicato anche su Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2021

 

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