Clausole di riservatezza e ruolo dei lavoratori nelle imprese: quali impatti per il futuro delle relazioni industriali in Europa

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La riservatezza nelle procedure di informazione e consultazione dei lavoratori non costituisce un tema ricorrente nel dibattito scientifico, spesso trattato solo indirettamente da esperti e studiosi di diritto del lavoro e delle relazioni industriali. Eppure, non soltanto la questione sta acquisendo sempre più rilevanza tra le parti sociali di diversi Stati europei, ma può altresì rappresentare un valido indicatore della qualità dei sistemi nazionali di relazioni industriali: aspetto, quindi, da non sottovalutare soprattutto alla luce delle importanti trasformazioni che attendono il mondo del lavoro.

 

Alla riservatezza delle informazioni nelle relazioni di lavoro, l’istituto di ricerca della confederazione dei sindacati europei, ETUI, ha dedicato un ampio progetto internazionale, iniziato oltre un anno fa e destinato a proseguire nei prossimi mesi. I risultati parziali dell’indagine sono stati presentati e discussi in occasione di un seminario organizzato a Bruxelles lo scorso 30 gennaio. All’evento hanno preso parte circa 50 persone, tra esperti, ricercatori e sindacalisti, provenienti da oltre dieci Paesi europei.

 

Che si tratti di un argomento complesso e di non facile inquadramento lo dimostra in primo luogo la varietà di disposizioni legislative a livello comunitario, nelle quali è possibile rintracciare riferimenti alla riservatezza delle informazioni. Dall’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alle direttive 2002/14/CE e 2009/38/CE, che riguardano rispettivamente l’istituzione di un quadro generale per l’informazione e consultazione dei lavoratori e l’istituzione di un Comitato Aziendale Europeo o di una procedura per l’informazione e consultazione nelle imprese di dimensioni comunitarie. Ma ad intervenire in questo ambito sono altresì il Regolamento n. 139/2004 sulle concentrazioni tra imprese, la Direttiva 2016/943 sulla protezione del know-how e delle informazioni commerciali riservate contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti, e da ultimi il Regolamento 2016/976 sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, e la Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2017 sulla protezione dei c.d. whistleblowers (gli informatori che agiscono nell’interesse pubblico, quando divulgano informazioni riservate di imprese e organismi pubblici). Un quadro frammentato quindi, ulteriormente arricchito ed integrato da un simile assortimento di provvedimenti legislativi e norme contrattuali nei diversi Stati membri.

 

Questa complessità potrebbe forse bastare a spiegare la difficoltà, e in qualche caso, la reticenza a giungere ad una mappatura efficace del concetto di riservatezza nell’articolato normativo nazionale ed europeo. Eppure, un’analisi più approfondita non soltanto del quadro legislativo ma anche della prassi negoziale pare necessaria, considerando la rilevanza che il tema sta acquisendo nelle relazioni industriali in Europa. Sembra montare, infatti, un acceso dibattito internazionale che vede l’alternarsi di posizioni a favore dell’attuale assetto regolatorio e le voci di chi, evidenziando gli abusi e il malfunzionamento della riservatezza nelle relazioni industriali di alcuni Paesi membri, propone un intervento più incisivo delle istituzioni comunitarie.

 

I primi segnali di inefficienze provengono dalle testimonianze dei coordinatori dei Comitati Aziendali Europei, raccolte dalla confederazione dei sindacati europei, ETUC, nel rapporto “European works councils assessments and requirements di maggio 2016. Nel documento, i rappresentanti dei lavoratori delle imprese transnazionali lamentano un impiego eccessivo da parte manageriale delle clausole di riservatezza, e il conseguente inasprirsi di un conflitto interno alla compagine sindacale tra rappresentanti, detentori delle informazioni, e rappresentati, tenuti all’oscuro delle intenzioni aziendali. D’altro canto, non manca chi nei Comitati Aziendali Europei rivela di aver accesso alle informazioni tramite i media, non potendo contare sulla loro condivisione da parte del management, che al contrario, in ragione di una presunta necessità di riservatezza, comunica le decisioni una volta che queste sono già state prese. Spostandoci dalla dimensione comunitaria a quella nazionale, simili questioni sono sollevate dai rappresentanti dei lavoratori di Francia e Regno Unito, che osservano come l’obbligo di riservatezza possa compromettere un corretto flusso di informazioni dai vertici alla base. In Francia, il rischio è reso possibile dal fatto che il c.d. obbligo di discrezione è applicabile a un insieme molto ampio di informazioni: tutte quelle presentate come riservate dal datore di lavoro. Diversamente, nel Regno Unito, dove pure la riservatezza dovrebbe rispettare il requisito della ragionevolezza, gli abusi sembrano ricorrenti e i sistemi di conciliazione e ricomposizione delle controversie sembrano non funzionare. Tra i casi trattati nel corso del seminario di Bruxelles spicca quello della Slovenia, approfondito grazie ad un’indagine condotta da Valentina Franca dell’Università di Primorska su 12 delle 19 più grandi società di capitali slovene che vantano una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione. Lo studio si propone di indagare la riservatezza dal particolare punto di vista dei datori di lavoro. Ne emerge un quadro singolare e indicativo della qualità delle relazioni industriali nel Paese. La maggior parte dei datori di lavoro in Slovenia tende ad identificare le informazioni come riservate per il timore che i rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione le diffondano all’esterno (in particolare, sui media) o ai componenti dei comitati aziendali. Fresco, infatti, è il ricordo di passate esperienze che hanno visto i membri dei comitati aziendali, benché vincolati da un obbligo di riservatezza, trasmettere le informazioni alla base o a terzi. Il risultato è che oggi, sono molti a temere che l’uso eccessivo della riservatezza e le remore alla condivisione di informazioni da parte manageriale possano compromettere il carattere collettivo dei processi negoziali e decisionali a livello aziendale. Una situazione, quella appena descritta, che pare presentare punti in comune con la realtà di diverse imprese italiane, dove mancando una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione, i datori di lavoro si rapportano direttamente con la RSU o le RSA (laddove presenti) e il timore di una fuoriuscita di informazioni, ancorché etichettate come riservate, spinge la direzione aziendale a posticipare le procedure di informazione e consultazione ai momenti più prossimi alla fase di implementazione delle decisioni, riducendo evidentemente il grado di democrazia dei processi decisionali. Immaginando una linea che colleghi da sinistra a destra l’ideal tipo del perfetto funzionamento della riservatezza con il modello più inefficiente, Germania e Svezia troverebbero indubbiamente posto in prossimità del primo punto di questo segmento. In Germania, infatti, non solo l’articolo 79 della legge sull’ordinamento aziendale (Betriebsverfassungsgesetz – BetrVG) interviene in maniera chiara sulla riservatezza, limitandone l’impiego all’ambito di “segreti commerciali e aziendali oggettivi e legittimi” (la legittimità è interpretata come un’ulteriore garanzia del corretto utilizzo della riservatezza, poiché ne giustificherebbe l’impiego non soltanto in funzione di imperativi economici ma anche in ragione del rispetto di principi morali), ma risulterebbe particolarmente diffusa tra gli operatori anche la convinzione che tale articolo costituisca una tutela per il datore di lavoro come imprenditore sul mercato e che quindi, la riservatezza non possa essere in alcun modo concepita né impiegata a sostegno del datore di lavoro come controparte dei rappresentanti dei lavoratori nelle procedure di negoziazione. In Svezia, invece, dove i tassi di densità sindacale e copertura contrattuale raggiungono valori molto elevati, la legge pare limitarsi a fornire un quadro generale di riferimento, mentre la contrattazione collettiva gioca il ruolo principale nella ricomposizione degli interessi contrapposti e nella risoluzione dei conflitti anche in merito alla riservatezza delle informazioni: la durata di applicazione delle clausole di riservatezza e i contenuti delle informazioni identificabili come riservate dal management sono entrambi argomenti di negoziazione nelle imprese (fanno eccezione le realtà del settore pubblico, per le quali la materia è disciplinata per legge).

 

Da questa veloce panoramica sull’applicazione dell’obbligo di riservatezza nelle procedure di informazione e consultazione dei lavoratori in Europa, che il seminario dell’ETUI ha avuto il merito di far emergere, è possibile riconoscere come nonostante esista un insieme di regole a livello comunitario che disciplinano la materia, le risposte e le opinioni degli operatori delle relazioni industriali siano differenti da Paese a Paese. D’altro canto, anche laddove sono rinvenibili somiglianze negli approcci delle parti sociali alla questione, tali consonanze sono difficilmente ascrivibili ad una cornice legislativa e contrattuale simile tra i diversi contesti nazionali. Al contrario, ogni Paese analizzato si caratterizza per una sua specificità dal punto di vista delle regole delle relazioni industriali. Pare allora ragionevole, l’opinione di chi, come Robbert van het Kaar dell’Università di Amsterdam, intervenuto alla sessione pomeridiana del seminario, evidenzia l’incidenza degli aspetti culturali e valoriali, e in particolare, del grado di fiducia nei rapporti sociali, sull’applicazione dell’obbligo di riservatezza. Da questo punto di vista, risulterebbe ridimensionata anche la necessità, sostenuta a gran voce da alcuni funzionari dei sindacati europei, di rivedere la normativa comunitaria in senso più stringente per confinare la riservatezza a un numero molto circoscritto di questioni. A dubitare dell’efficacia di questo approccio è anche chi, come Aline Hoffmann dell’ETUI (con un passato nel sindacato tedesco, IG Metall), sottolinea la difficoltà di imporre regole generali su un aspetto, quello della riservatezza delle informazioni, che dipende in misura considerevole da variabili specifiche (anche temporali) a livello aziendale.

 

Al di là delle discussioni tecniche sui livelli (comunitario o nazionale) e strumenti (legge o contrattazione) di intervento per una migliore applicazione della riservatezza, riflettere su questo tema non pare un mero esercizio intellettuale ma acquisisce immediata rilevanza pratica soprattutto se posto in relazione alla qualità e al grado di partecipazione delle relazioni industriali, di cui proprio l’efficacia delle clausole di riservatezza, come si evince dalle precedenti considerazioni, può costituire un valido indicatore. Tali riflessioni si rivelano ancor più importanti se inquadrati all’interno del dibattito sul futuro del lavoro. In concomitanza con una rapida evoluzione tecnologica e digitale, che fa delle informazioni e della capacità di raccoglierle e analizzarle un fattore cruciale per la competitività delle imprese e per lo sviluppo dei territori, è facile comprendere il potere sotteso a chi detiene e utilizza le informazioni ed è altresì intuibile come proprio su questo terreno le relazioni industriali saranno chiamate a giocare una partita importante per il loro futuro. La sostenibilità di qualsiasi modello di sviluppo dipenderà, infatti, non soltanto dalla capacità di ricavare dati e informazioni dai processi produttivi e organizzativi interni all’impresa, ma anche dall’intelligenza di condividerle con chi, come i lavoratori e i loro rappresentanti, dovrebbero essere in grado di arricchirle e valorizzarle, mettendole al servizio non soltanto dell’efficienza produttiva ma anche del benessere delle persone e dell’intera società. Un passaggio quest’ultimo, che pare indispensabile per superare definitivamente le rigidità del modello fordista di produzione e organizzazione, ma che necessita di un profondo rinnovamento nelle relazioni industriali, dove anche la questione della riservatezza possa essere trattata non più con timore e diffidenza, ma con responsabilità e fiducia.

 

Ilaria Armaroli

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@ilaria_armaroli

 

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Clausole di riservatezza e ruolo dei lavoratori nelle imprese: quali impatti per il futuro delle relazioni industriali in Europa