Riforma P.A.: una mobilitazione 2.0

Alla lettera contenente le proposte di riforma della PA indirizzata a tutti i dipendenti pubblici e inviata dal premier Renzi, i principali sindacati italiani hanno risposto con una mobilitazione in perfetto stile 2.0. La richiesta di partecipazione, infatti, non è rimasta inevasa e ha assunto, per molti aspetti, lo stile caro al primo Ministro di una comunicazione informatica via mail e social network.
  
Un percorso in quattro tappe
 
Il 30 aprile scorso, il premier Renzi e il Ministro Marianna Madia hanno esplicitato le linee programmatiche di riforma della Pubblica Amministrazione che il Governo intende portare avanti. Il documento presentato al termine della seduta del Consiglio dei Ministri non era né un decreto di legge né un disegno di legge, bensì, molto più semplicemente, una lettera. Destinatari principali? I dipendenti pubblici, ma anche tutti coloro – cittadini, organizzazioni, istituzioni – che in qualche modo avessero voluto contribuire a implementare il progetto pensato dall’Esecutivo. Le consultazioni pubbliche si sono chiuse il 30 maggio scorso. In tempo utile per analizzare le quasi 40.000 mail giunte all’indirizzo rivoluzione@governo.it prima del Consiglio dei Ministri del 13 giugno che ha avuto per oggetto proprio la riforma della PA.
 
Coerentemente con il suo stile di governo, il premier ha cercato con questa mossa il contatto diretto con i destinatari della sua azione riformatrice. Se sia stato anche un tentativo per bypassare il confronto con le organizzazioni sindacali o comunque limitarne il peso e la portata non è dato di saperlo. Di certo queste hanno “sfruttato” i 30 giorni di tempo messi a disposizione per la consultazione pubblica per elaborare una controproposta ed evitare di essere poste in una posizione di second’ordine.
 
 
La prima conseguenza dell’attivismo del Presidente del Consiglio dunque è stata quella di ricompattare le diverse sigle sindacali. Cgil, Cisl e Uil hanno deciso infatti di rispondere alle sollecitazioni governative in modo unitario. La mobilitazione ha avuto quattro fasi: l’indizione di assemblee con i lavoratori per elaborare le risposte da dare al Governo, l’elaborazione di un articolato disegno di riforma del pubblico impiego, l’incontro con il Ministro titolare di Palazzo Vidoni e, infine, i primi commenti a caldo alle decisioni prese dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 13 giugno.
 
Una risposta punto per punto
 
Alla missiva del Governo i principali sindacati del pubblico impiego hanno risposto seguendo uno schema consolidato ovvero indicendo una serie di assemblee che si sono svolte il 23 maggio scorso e che, secondo una nota stampa di Cgil, Cisl e Uil, hanno visto la partecipazione numerosa dei lavoratori della PA. L’appuntamento è stata anche l’occasione per presentare una risposta punto su punto alla lettera del Premier Renzi.
 
Il documento assomiglia molto ad una reazione “a caldo” alle “provocazioni” dell’Esecutivo. I toni, infatti, sono in alcuni passaggi piuttosto energici e si alternano timide aperture a chiusure nette nei confronti delle idee prospettate dal Governo. Anche l’articolazione delle risposte non è sempre uguale. Su alcuni temi è forte la percezione dello scontento delle forze sindacali e dei lavoratori che rappresentano, su altri, invece, vi sono delle indicazioni di massima o piuttosto generiche. Seguendo le tre direttrici indicate dall’Esecutivo – rivalutazione delle persone, riorganizzazione e trasparenza – è possibile tracciare un quadro complessivo dei principali temi che stanno maggiormente a cuore ai sindacati.
 
Sul primo versante si registra un assenso di massima per quanto riguarda l’abrogazione del trattenimento in servizio, anche se si contesta l’idea che così facendo si possano liberare 10mila posti di lavoro in favore dei giovani. Sul tema della mobilità Cgil Cisl e Uil si dichiarano disponibili a un confronto, previa, però, ricognizione dei fabbisogni e delle professionalità necessarie nel comparto pubblico. Un giudizio particolarmente favorevole viene dato sia all’idea di semplificare e implementare il part-time sia all’applicazione rigorosa dei limiti al cumulo di compensi che possono essere percepiti da un singolo. “Dischetto verde” anche per la possibilità di affidare al lavoratore in esubero mansioni assimilabili alle proprie. Sul turn-over, invece, la richiesta di Cgil, Cisl e Uil è chiara: sblocco degli attuali limiti, assunzione di personale e semplificazione delle norme esistenti. Su un altro tema caldo come quello dei permessi sindacali e la loro riduzione, la risposta alla missiva di Renzi apre ad un confronto anche se tutte e tre le sigle rimarcano sia che l’80% dei lavoratori ha partecipato alle ultime RSU, sia che le regole in essere nel comparto pubblico funzionano, sia, infine, che la rappresentanza non è un privilegio per pochi, bensì un diritto a tutela dei lavoratori. In merito all’istituzione del ruolo unico della dirigenza si registra poi un laconico “déjà vu”. Per i sindacati il vero nodo rimangono le competenze dei dirigenti e la presenza di meccanismi trasparenti di selezione. Toni più accesi si ritrovano attorno al tema della valutazione e retribuzione legata ai risultati. La richiesta dei sindacati è di superare le “storture della riforma Brunetta” e di collegare lo stipendio alla qualità del lavoro e al raggiungimento degli obiettivi. Un appoggio incondizionato viene dato all’idea di rendere più rigoroso il sistema di incompatibilità dei magistrati amministrativi. Sul punto, i sindacati si spingono oltre chiedendo che vengano coinvolti anche i magistrati contabili e ordinari, gli avvocato di Stato, i professori universitari, i diplomatici, i prefetti e le gerarchie militari. Da ultimo, Cgil, Cisl e Uil sposano in toto l’idea di valorizzare il personale pubblico mediante la definizione di una migliore strategia di conciliazione vita-lavoro.
 
Sul secondo grande filone attorno al quale il Governo ha intenzione di far ruotare la propria azione di riforma della PA ovvero una robusta riorganizzazione dell’Amministrazione, le sigle sindacali manifestano una generale apertura di credito. Tuttavia, se si guarda nel dettaglio alcune risposte date alla missiva dell’Esecutivo riemergono possibili distanze. Dal documento presentato da Cgil, Cisl e Uil esce con forza, infatti, la preoccupazione che la riorganizzazione pensata dal premier Renzi coincida con una nuova stagione di privatizzazioni. Di fronte ad un simile scenario l’opposizione dei sindacati è netta. Lo testimonia il ritorno del termine “reinternalizzazione” dei servizi che si rinviene in più passaggi. Le organizzazioni sindacali, quindi, si rendono disponibili a ragionare attorno ad una nuova configurazione dello Stato e del suo perimetro, a patto, però, che questa non determini una erosione del pubblico a vantaggio del privato.
 
 
Il tema sul quale le distanze tra Governo e sindacati sembrano accorciarsi è quello della trasparenza. Che la cultura degli open data sia ormai un valore condiviso, non vi sono dubbi. Tuttavia, nel rispondere all’Esecutivo Cgil, Cisl e Uil rimarcano come, senza un investimento massiccio nella rete digitale, non ci possa essere alcuna dematerializzazione della PA né tantomeno una vera semplificazione in chiave 2.0. Le sigle sindacali non si sottraggono alla richiesta di trasparenza che il premier rivolge direttamente a loro. Cgil, Cisl e Uil, infatti, si dichiarano disponibili a ragionare sull’argomento a patto che il Presidente del Consiglio la smetta di alimentare ambiguità al riguardo. In modo particolare, le tre sigle ricordano al Primo Ministro che i fondi che gestiscono non sono di derivazione pubblica bensì sono il frutto della campagna tesseramenti e iscrizioni di chi decide liberamente di aderire ad una organizzazione sindacale.
 
La chiusura della risposta al premier Renzi da parte di Cgil, Cisl e Uil contiene un monito che è stato la base della mobilitazione in chiave 2.0 durante l’ultima fase della consultazione pubblica. I sindacati, infatti, mostrano come nessuno dei 44 punti messi all’ordine del giorno dal Governo per riformare la PA tocchi il nodo scoperto dei contratti. Per tutte e tre le sigle questo rappresenta un turning point: o si trovano le risorse per sbloccare la contrattazione ferma da cinque anni oppure nessuna riforma è possibile. Da qui la campagna mediatica e l’invito a rispondere al premier sia via mail che via twitter ricordandogli la necessità di riprendere in mano i contratti del comparto pubblico.
 
Una piattaforma per la PA
 
La fase di mobilitazione dei lavoratori da parte dei sindacati si è idealmente chiusa il 30 maggio scorso. Entro tale data, infatti, era necessario inviare le proposte di miglioramento alla linee programmatiche di riforma della PA presentate dal Governo all’indirizzo di posta elettronica predisposto.  A rispondere all’appello di Cgil, Cisl e Uil di usare questo canale per mandare un promemoria al Primo Ministro sul rinnovo contrattuale sono state all’incirca 13.000 persone. Tante sono le mail aventi per oggetto “Renzi rinnova il mio contratto” o “Sblocca il mio contratto” registrate e censite nel rapporto finale sulla consultazione pubblica elaborato dal Ministero ad inizio giugno. La mobilitazione in forma 2.0 pensata dai sindacati ha avuto un discreto successo, calcolando che in totale al Governo sono arrivate quasi 40.000 messaggi.
 
L’azione di Cgil, Cisl e Uil tuttavia non si è fermata qui. L’11 giugno scorso le tre sigle hanno presentato un corposo documento dal titolo “Riforma PA: la nostra proposta”. Il primo elemento da sottolineare è che si tratta di una sorta di piattaforma unitaria lanciata con una campagna mediatica ad hoc e su un portale internet che riunisce insieme tutte e tre le sigle sindacali. Segno, evidente, della necessità di unire le forze per provare a influire, in qualche modo, sulle scelte dell’Esecutivo.
 
Rispetto alla risposta punto su punto alla lettera del Governo, questo secondo documento appare molto più articolato e dai toni meno polemici. Il tentativo pare esser quello di voler costruire una alternativa possibile al modello immaginato dal Primo Ministro. Il documento si struttura attorno a tre elementi chiave: uno scenario di sistema e di prospettiva, l’indicazione delle azioni da perseguire e, infine, la delineazione degli strumenti necessari a raggiungere gli obiettivi.
 
Sul primo aspetto il richiamo dei sindacati è di evitare l’ennesima riforma di facciata o parziale. Il cambiamento in atto richiede la definizione di “orizzonti strategici” validi a lungo termine. Si tratta, in altre parole, di stabilire “quale sanità, quali servizi sociali, quale giustizia, quale valorizzazione dei beni culturali, quale istruzione, quale ricerca, quali politiche del lavoro” si intende sviluppare nei prossimi anni. Solo tratteggiando il welfare del futuro è possibile definire una Pubblica Amministrazione coerente che parte dai contratti di lavoro, ma anche dalla semplificazione, dalla costruzione di una rete di servizi per i cittadini e le imprese, dalla riorganizzazione e dai tagli alla spesa improduttiva. Condizione imprescindibile per ottenere un simile risultato è che la riforma sia fatta con e non contro i lavoratori pubblici.
 
Passando dallo scenario al dettaglio, le azioni immaginate dai sindacati si focalizzano su quattro punti: l’organizzazione, il capitale umano, i controlli e le responsabilità, la dirigenza.
 
Da un punto di vista organizzazione scopo della riforma della PA deve essere il soddisfacimento delle esigenze dei cittadini e delle imprese attraverso un rapporto di vicinanza tra queste e il comparto pubblico. Una Amministrazione “più prossima” permette la tutela dei diritti costituzionali, la legalità e l’equità. Un simile scenario richiede nel concreto: una riorganizzazione delle strutture centrali e periferiche, in modo tale da evitare sovrapposizioni e appesantimenti che rallentano il sistema nel suo complesso; una semplificazione; una spinta all’innovazione attraverso lo sviluppo di un welfare che sappia prevedere e anticipare i bisogni futuri; una mappatura dei processi di esternalizzazione con possibilità di internalizzare i servizi se dovesse risultare essere conveniente.
 
La riorganizzazione passa necessariamente dalle persone. Gli interventi strategici immaginati dai sindacati per la gestione del “capitale umano” del comparto pubblico prevedono: una razionalizzazione e integrazione dei sistemi di inquadramento che permetta una vera mobilità tra Amministrazioni diverse e la definizione di nuovi profili professionali; una valutazione del personale articolata concentrata più che sui risultati del singolo su quelli del gruppo e della struttura, anche attraverso una valorizzazione della contrattazione integrativa; un superamento del blocco alle assunzioni cui si collega una mappatura delle competenze oggi presenti nella PA e una rilevazione dei fabbisogni formativi e di professionalità del prossimo futuro; una flessibilità governata per via contrattuale; una stabilizzazione del personale precario associata alla lotta contro l’abuso dei contratti a termine; un rilancio del telelavoro e del part-time.
 
Sul tema dei controlli e delle responsabilità i sindacati denunciano come si sia tornati un po’ alla volta ad una verifica meramente formale ed ex-ante, senza una attenta valutazione dei risultati realmente conseguiti dalle Amministrazione. Per evitare un simile formalismo la proposta di Cgil, Cisl e Uil prevede che diventi obbligatorio definire gli obiettivi entro il 31 gennaio di ogni anno e di sanzionare gli organi di indirizzo politico in caso di sforamento di spesa e assenza di programmazione.
 
L’ultimo tassello alla voce “capitale umano” riguarda la dirigenza pubblica. Qui le richieste dei sindacati vanno nella direzione di una ridefinizione delle regole che siano al contempo agili ed esigibili. Il passaggio non deve essere, però, solo normativo e contrattuale. Al dirigente pubblico si chiede, infatti, di divenire sempre più un manager responsabile. Nel concreto le principali soluzioni indicate da Cgil, Cisl e Uil sono: il passaggio al ruolo unico; una maggiore flessibilità all’interno degli uffici e tra gli uffici; una valutazione che guardi al risultato complessivo dell’azione amministrativa; la presenza di indicatori di risultato focalizzati non solo sui parametri economici; un ridimensionamento degli uffici dirigenziali.
 
Se queste sono le linee programmatiche generali per la riforma della PA, gli strumenti per raggiungere gli obiettivi sono piuttosto articolati. Su tutti risalta il rilancio della contrattazione. È questo il vero grimaldello che può permettere una nuova stagione del comparto pubblico e la definizione di un sistema amministrativo al passo coi tempi e con le nuove esigenze nel frattempo sorte. Per Cgil, Cisl e Uil a livello nazionale il contratto deve servire a definire gli assetti normativi ed economici, mentre a livello integrativo la sua funzione diviene organizzativa e sociale.
 
 
Distanze incolmabili?
 
Tanto l’azione di mobilitazione quanto la predisposizione di una piattaforma condivisa per la riforma della Pubblica Amministrazione non sembrano aver contribuito ad avviare un vero dialogo con il Governo. Lo testimonia la freddezza dell’incontro con il Ministro Madia ad inizio mese di giugno così come i primi commenti a caldo dopo il Consiglio dei Ministri che ha deliberato la riforma della PA. Il comunicato stampa al termine del meeting a Palazzo Vidoni infatti parla di delusioni per ragioni di merito e metodo. A sua volta le prime agenzie al termine della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure varate il 13 giugno risultano assai critiche per una rivoluzione annunciata, ma, nei fatti tradita.
 
Eppure leggendo i documenti circolati in questi due mesi di consultazione pubblica le distanze tra le posizioni del Governo e quelle dei sindacati non paiono essere così incolmabili. Tra la proposta del Primo Ministro e alcune delle idee di Cgil, Cisl e Uil c’è sintonia.
 
 
A fermare il dialogo sembrano essere due condizioni ritenute imprescindibili dall’una e dall’altra parte. L’Esecutivo fugge a qualsiasi forma di confronto che possa in qualche modo far ricordare anche solo lontanamente i riti concertativi di un tempo. Dall’altro lato, il sindacato non sembra essere disposto ad un vero dialogo fino a quando non viene posto all’ordine del giorno il tema dello sblocco dei salari dei pubblici dipendenti, ormai fermi da troppi anni.
 
Il paradosso così è che un cambiamento condiviso della Pubblica Amministrazione è potenzialmente possibile. Tuttavia, per ora, è destinato a rimanere sulla carta per via della diffidenza reciproca che caratterizza i rapporti tra Governo e sindacati. Il rischio è quello di mancare l’ennesima occasione. L’Esecutivo potrà, infatti, far passare la nuova riforma della PA in Parlamento, ma questo non significa che essa prenda realmente forma, come insegna il recente caso della decreto Brunetta. Dall’altra parte, il prevedibile ostruzionismo della parte sindacale, non farà altro che alimentare la distanza dei cittadini dalle istituzioni pubbliche.
 
Sarebbe necessario, quindi, un passo indietro dei due contendenti e una valutazione puntuale delle rispettive proposte per prendere in considerazione almeno i punti di contatto che esistono e lavorare su quelli.
 
Umberto Buratti 
Assegnista di ricerca Università di Bergamo
ADAPT Senior Research Fellow
@U_Buratti
 
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Questo articolo è pubblicato anche in Guida al pubblico impiego – Il Sole 24 Ore, giugno 2014.

Riforma P.A.: una mobilitazione 2.0
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