Apprendisti tra i banchi di scuola

Si consolida anche in Italia l’idea di un apprendimento scolastico nei luoghi di lavoro. Dopo quasi un anno di attesa, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha annunciato ieri la firma del decreto interministeriale (coinvolti anche il Ministero dell’economia e quello del lavoro) necessario per attivare la sperimentazione dell’apprendistato per gli iscritti agli ultimi due anni dell’istruzione tecnica e professionale.
 
Culturalmente si tratta dello stesso “apprendistato-scuola” regolato dall’articolo 3 del Testo Unico dell’Apprendistato, ovvero un percorso formativo per studenti ancora in diritto-dovere strutturato attorno a solide esperienze di alternanza scuola-lavoro.
L’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale regolato dall’articolo 3 è però rivolto in via esclusiva ai soli studenti dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale triennale o quadriennale, di competenza regionale e non statale.
 
Si tratta di una canale assai interessante e in espansione. Altra cosa è, invece, l’istruzione tecnica e professionale quinquennale, di esclusiva competenza del Ministero dell’istruzione, ricompresa, invece, nell’articolo 5 dedicato all’apprendistato di alta formazione e di ricerca.
 
La diversa collocazione ha due conseguenze. La prima, prettamente culturale, è la ripetuta e odiosa gerarchizzazione dei percorsi di scuola secondaria: il Testo Unico, nascendo dalla mediazione tra Stato, Regioni e sindacati ha replicato i pregiudizi diffusi nel Paese, per cui l’istruzione tecnica è cosa diversa e di maggiore valore di quella professionale.
La seconda è che l’apprendistato per gli studenti liceali o di scuola tecnica non è possibile prima dei 18 anni, poiché questa è la soglia minima per stipulare un contratto di alta formazione e ricerca.
 
Essendo molti di più gli iscritti alle scuole tecniche che quelli alla formazione professionale (foss’anche perché questa opzione non è praticabile in metà delle regioni italiane, serenamente disapplicanti la legge Moratti del 2003) era nella natura delle cose che qualche azienda abituata ad assumere ragionieri e periti prima o poi chiedesse lumi sul perché le fosse vietato anticipare l’avvio del rapporto di lavoro quantomeno all’ultimo biennio.
 
Questa domanda ha “spiazzato” i ministeri competenti, che hanno deciso di intervenire sul Testo Unico per superare la restrizione. Purtroppo non si è avuta la forza (né la volontà) di modificare l’articolo 3, già scritto a questo scopo, affidandogli la regolazione dell’apprendistato in ogni ordine di scuola.
 
Si è proceduto invece prevedendo la sperimentazione di una vera e propria deroga all’età di ingresso all’articolo 5. A questo fine nel percorso di conversione in legge del decreto Scuola dell’ex Ministro Carozza è stato aggiunto un articolo che bisognava del decreto interministeriale citato in apertura per essere operativo.
Quell’articolo non esplicitò sufficientemente il superamento dei limiti imposti dal Testo Unico e per questo, dopo un lungo e sterile periodo di concertazione ministeriale (quanto di più lontano servisse a rassicurare le imprese che avevano chiesto la modifica normativa e che già hanno firmato accordi sindacali in materia di apprendistato per diciassettenni) è stato necessario un nuovo intervento del Legislatore, contenuto nel recente decreto Poletti, per sbloccare l’impasse.
 
Dal prossimo anno scolastico inizierà finalmente la sperimentazione e, indipendentemente da ogni valutazione giuslavoristica, c’è da augurarsi abbia successo. Per affermare l’importanza per il giovane, l’impresa e l’intero sistema economico dell’apprendistato a scuola non servono più solo battaglie culturali e dottrinali, ma la testimonianza di esperienze reali.
 

Emmanuele Massagli

Presidente di ADAPT

@EMassagli

 
* Il presente articolo è pubblicato anche in La Nuvola del Lavoro, 6 giugno 2014
 

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