Meat-up ffire. Dentro le relazioni industriali: il caso della filiera della carne in Europa

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Bollettino ADAPT 25 maggio 2020, n. 21

 

Si chiama Meat Up Ffire e rappresenta l’acronimo di «Fairness, Freedom and Industrial Relations across Europe: Up and Down the Meat Value Chain»: è un progetto di ricerca – finanziato dalla Commissione Europea, DG Employment and Social Affairs (VS/2018/0014) – che ha coinvolto sociologi, economisti, giuristi, sindacati provenienti da Belgio (Università di Hasselt), Danimarca (Università di Copenaghen; Nnf), Germania (Università di Erlangen), Italia (Università di Urbino Carlo Bo; Ires E.R., Flai-Cgil) e Polonia (Università di Łòdź; Scuola di Economia di Varsavia), con l’obiettivo di indagare le caratteristiche strutturali, l’occupazione, i rapporti di lavoro e le relazioni industriali nella filiera di produzione della carne europea.

 

Si tratta di un obiettivo di un certo interesse, soprattutto ora che l’emergenza pandemica impone una rinnovata attenzione alla questione dell’alimentazione nel quadro delle più generali interazioni tra uomo, animali ed ecosistemi1. Come noto, l’attività agroindustriale moderna, in specie quella di produzione della carne, del tutto essenziale, ad oggi, nell’ambito della filiera agroalimentare, è da qualche tempo sotto i riflettori, perché accusata, da un lato, di contribuire allo sviluppo di infezioni virali e batteriche, sovente trasmissibili anche all’uomo, dall’altro, di favorire il cambiamento climatico, così aggravando i rischi per la biodiversità e la salute umana. Da ultimo, l’ampia diffusione di focolai di contagio da Covid-19 negli impianti di macellazione e lavorazione delle carni – americani, ma anche canadesi, australiani ed europei – pone sotto gli occhi di tutti l’estrema criticità di questa industria, nonostante i cospicui investimenti in termini di automazione e sanificazione degli ambienti di lavoro2 .

 

Meat Up Ffire, i cui studi sono ora raccolti nell’omonimo volume della Collana di Diritto del Lavoro nei sistemi giuridici nazionali, integrati e transnazionali (fondata da Giuseppe Pera. Diretta da Franco Liso, Luca Nogler e Silvana Sciarra) di Franco Angeli open-access, consente di comprendere meglio dette criticità a partire da una ricostruzione, nello specifico, delle dinamiche economiche della filiera suinicola europea e delle condizioni di lavoro di chi vi è occupato. Ne emerge il quadro di un settore in rapido e significativo mutamento, stante l’accentuata competitività internazionale, la digitalizzazione, la diffusione di nuovi modelli di consumo e, last but not least, una rinnovata sensibilità, come si diceva, per gli aspetti ambientali e per il benessere animale.

 

E’, in particolare, proprio la competitività, cui la filiera è sottoposta a livello globale, a dar ragione del progressivo deterioramento dei trattamenti economici e normativi dei lavoratori occupati nel settore, specie all’interno delle catene degli appalti. Meat Up Ffire li ha indagati, ponendo attenzione soprattutto al ruolo delle relazioni industriali, che hanno rappresentato il cuore del progetto, per questo supportato altresì dall’Effat, federazione europea dei lavoratori dell’industria alimentare, dell’agricoltura e del turismo.

 

Nel corso di un biennio, il gruppo di ricerca ha svolto un intenso lavoro, anche operando “sul campo”, con l’analisi di diversi casi-studio, la realizzazione di interviste a rappresentanti del sindacato, associazioni di categoria e del terzo settore, rappresentanti di enti e istituzioni pubbliche, giudici, avvocati, ispettori del lavoro, studiosi e la promozione di un dibattito pubblico sul tema all’interno di apposite policy platforms, costituite da stakeholders locali, in ciascun Paese partner del progetto.

 

L’indagine è stata condotta su due livelli, nazionale e comparato, tra di loro complementari, e ha condotto alla messa a punto di una lista finale di raccomandazioni rivolte alle parti sindacali settoriali e agli attori pubblici impegnati nella regolamentazione della filiera.

 

La struttura economica della filiera suinicola in Europa

 

Come è stato illustrato nel volume, la zootecnia a livello globale ha progressivamente perso nel tempo le caratteristiche strutturali tradizionali e ha conosciuto veri e propri processi di industrializzazione. Da ultimo, ha sperimentato una straordinaria trasformazione, con la crescita significativa di nuovi attori sul mercato globale, in particolare della Cina, divenuto il principale produttore, consumatore ed esportatore mondiale di carne. Nello stesso studio viene osservato altresì come a livello europeo questa filiera si sia completamente riorganizzata negli ultimi quindici anni, sicché alcuni Paesi hanno visto il proprio ruolo crescere significativamente, come ad esempio la Spagna, e altri lo hanno visto ridursi, come è il caso della Francia. In generale, una tale riorganizzazione ha indotto la maggior parte dei Paesi europei coinvolti in queste produzioni a specializzarsi.

 

La specializzazione territoriale in una determinata fase produttiva, che sia agricola, zootecnica o industriale comporta sempre l’accrescimento dell’intensificazione dei processi, del numero delle imprese e dei lavoratori coinvolti. In ambito zootecnico, con il fine ultimo di abbattere i costi di produzione, questo ha generato l’industrializzazione del processo di allevamento che ha progressivamente visto ridurre i metodi zootecnici tradizionali a favore dello sviluppo dell’allevamento intensivo.

 

Le relazioni industriali nella filiera suinicola in Europa: una prospettiva comparata

 

Se dal versante economico si passa a quello delle relazioni industriali, due avvertenze sono necessarie per la lettura del libro.

 

Primo, i sistemi di relazioni industriali dei cinque Stati UE coinvolti nel progetto non potrebbero essere più diversi tra loro: i casi nazionali rappresentano, invero, cinque differenti concezioni (ed ancor prima, idee) di come intendere le dinamiche sindacali e la contrattazione collettiva. Se il Belgio è un sistema altamente istituzionalizzato, caratterizzato da elevati tassi di sindacalizzazione (da ambo le parti), contratti collettivi erga omnes e persino il salario minimo legale, la Danimarca è all’opposto un tipico esempio di “pragmatismo nordico”, in cui l’intervento della legge è ridotto al minimo, ma l’esistenza di un sindacalismo robusto e ben radicato garantisce, con la copertura contrattuale, salari elevati e buone condizioni di lavoro. Quando si parla di relazioni industriali, la Germania è per molti versi il modello da cui in Europa si trae l’esempio (basti pensare alle vicende della partecipazione aziendale), ma da alcuni anni vi è per così dire l’impressione che il modello stia iniziando a scricchiolare (lo dimostrano, se ci si allontana dai settori più forti dell’industria, i bassi tassi di sindacalizzazione e di copertura contrattuale). A trent’anni dalla conquista della libertà sindacale (per riprendere il titolo di un famoso libro di Giuliano Mazzoni), se si eccettuano realtà aziendali di maggior spessore, le relazioni industriali polacche tutto possono dirsi tranne che ben radicate – e i contratti di settore praticamente non esistono. La situazione italiana, come noto, è in questi anni più mutevole che mai.

 

Tuttavia, invece di rappresentare un ostacolo, questa diversità “strutturale” tra i Paesi coinvolti ha dato slancio al progetto, al confronto tra i partners ed alle attività di ricerca, il cui aspetto a nostro avviso più interessante è costituito proprio dal come, nei diversi Paesi, gli attori delle relazioni industriali hanno reagito alle sfide poste dal graduale aumento della concorrenza tra le aziende (e tra i lavoratori) del settore: i cinque “capitoli nazionali” offrono a questo proposito analisi approfondite e spunti di riflessione preziosi.

 

La seconda avvertenza riassume uno dei motivi principali dell’operazione svolta dal gruppo di ricerca. Nelle società economiche contemporanee è sempre più difficile che le caratteristiche “maggiori” o, se si preferisce, “portanti” dei sistemi nazionali di relazioni industriali si ritrovino, sia pure con adattamenti, in tutto l’arco dei settori produttivi3 : detto diversamente, lo “sgretolamento” – di cui tanto si discute nella letteratura specializzata – che alcuni sistemi di relazioni industriali stanno sperimentando da quindici o venti anni a questa parte si osserva di più in alcune categorie e di meno (o in alcuni casi per nulla) in altre. Da questo punto di vista, benché sia tutto sommato ancora poco “battuto” dagli studi di relazioni industriali (ed ancora meno da quelli di diritto del lavoro), il settore della carne si è rivelato un osservatorio privilegiato, per comprendere le trasformazioni che stanno interessando le relazioni industriali in lungo e in largo nel continente europeo.

 

Vi si ritrova ad esempio il topos della “crisi” del contratto di settore: come in Germania, dove la conclusione di un contratto per l’industria della carne da tempo non è più neanche nell’agenda delle parti sociali, o in Italia, dato che il contratto collettivo “naturale” (quello dell’industria alimentare) è spesso soppiantato da quello della logistica o del multiservizi. Le relazioni industriali nell’industria della carne offrono riscontri interessanti anche su come si sta evolvendo il conflitto collettivo: a questo proposito il caso danese è emblematico, se si pensa che una delle categorie più militanti e combattive (Nnf) ha praticamente smesso di scioperare, da quando il principale player del settore ha iniziato a smantellare gli stabilimenti per trasferirli all’estero, ed ha addirittura preso in considerazione l’ipotesi (poi scartata) di sciogliersi come sindacato per confluire in quello dei meccanici. Oppure, pensando ai fenomeni di dumping contrattuale, è significativo che nel sistema belga – puntualmente disciplinato per legge – i sindacati stipulanti abbiano accettato, con il rinnovo del contratto di settore, una diminuzione dei salari minimi d’ingresso sulle posizioni professionali più basse, per “sfuggire” alla concorrenza di altri contratti di settore (tra cui quello della logistica) che consentono economie più vantaggiose ai datori di lavoro.

 

Le domande aperte sono molte e vanno dall’opportunità di intervenire per legge a livello nazionale (salario minimo? Legge sugli appalti?) oppure affidandosi al legislatore europeo (ma come?), ma con la consapevolezza che debbano essere innanzitutto le parti sociali a farsi carico dei problemi del settore.

 

Raccomandazioni finali

 

Meat Up Ffire si conclude, come anticipato, con una serie di raccomandazioni, che rappresentano il risultato di un percorso di partecipazione all’interno della partnership di progetto e di un confronto con il sindacato europeo e nazionale del settore agroalimentare. Le principali raccomandazioni a livello europeo sono le seguenti:

  • Rafforzamento della cooperazione sindacale transnazionale – considerata l’elevata interconnessione dei rapporti di filiera tra i singoli Paesi europei diventa prioritario costruire una cooperazione transnazionale tra le organizzazioni sindacali potenziando gli strumenti già esistenti (quali il Comitato di Coordinamento europeo nel settore della carne presso l’Effat), favorire accordi di cooperazione bilaterali o trilaterali tra Paesi Europei e favorire il dialogo anche con le Federazioni Sindacali Globali (International Union Federations, Iuf);
  • Fare leva sugli strumenti di relazioni industriali europei – dato il posizionamento strategico di multinazionali (Tönnies Group, Danish Crown) lungo la catena del valore, è quanto mai urgente valorizzare i Comitati Aziendali Europei (Cae) e gli Accordi Transnazionali di Gruppo (Tca) e disseminarne il più possibile i contenuti (tradotti in diverse lingue). Allo stesso tempo, si dovrebbe emendare la Direttiva sui lavoratori distaccati estendendo il principio di responsabilità solidale anche nel settore della carne;
  • Relazioni industriali più attente alle condizioni di lavoro – avendo la ricerca rilevato la correlazione tra intensificazione del carico di lavoro e innalzamento dei disturbi muscoloscheletrici, soprattutto nella trasformazione/macellazione della carne, le parti sociali sono chiamate a portare il tema della salute e sicurezza al centro del confronto contrattuale;
  • Salari equi e dignitosi per contrastare le pratiche di dumping sociale e contrattuale – il progetto sostiene la proposta della Ces (Confederazione Europea dei Sindacati) di introdurre un benchmark europeo a cui i salari minimi nazionali dovrebbero tendere (il 60% della retribuzione mediana);
  • Limitare l’uso dell’appalto e subappalto – introdurre o ripristinare la “parità di trattamento” tra lavoratori diretti e indiretti, prevedere misure fiscali che sappiano disincentivare l’abuso di pratiche di appalto e subappalto (es. Reverse Charge), prevedere misure di responsabilità solidale del committente attraverso strumenti di hard e soft law (es: Marchio Etico), favorire l’internalizzazione dei profili ad oggi esternalizzati all’interno del perimetro del CCNL Industria Alimentare;
  • Relazioni industriali più inclusive – favorire tutte quelle forme di contrattazione (es. di filiera, di sito, di distretto) e di rappresentanza dei lavoratori che sappiano mettere insieme lavoratori diretti e indiretti;
  • Relazioni industriali più attente ai lavoratori migranti – considerata l’alta presenza di lavoratori migranti lungo la filiera e come su di essi si scarichino sovente le pratiche di dumping sociale e contrattuale, particolare enfasi dovrebbe essere riservata a tutte quelle forme di integrazione fuori e dentro i luoghi di lavoro (sull’esempio tedesco di Fair Mobilität)e a tutte quelle pratiche di relazioni industriali e forme di democrazia sindacale che aprano alla partecipazione e inclusione dei lavoratori migranti;
  • Networking sui temi della transizione ecologica e tecnologica – considerata la centralità dei temi ambientali e tecnologici nella filiera della carne e per aumentare i momenti di informazione e formazione al proprio interno e tra i propri rappresentati, diventa sempre più importante per le parti sociali costruire dei rapporti di dialogo con il mondo dell’associazionismo e Ong che si occupano di sostenibilità ambientale, diritti umani, consumo consapevole e animal welfare.

Stefania Battistelli
Assegnista di ricerca nell’Università degli Studi di Verona
 
Piera Campanella
Professoressa Ordinaria nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
 
Giulio Centamore
Assegnista di ricerca Alma Mater Studiorum Università di Bologna
 
Davide Dazzi
Ricercatore Ires Emilia-Romagna
 
Daniela Freddi
Ricercatrice Ires Emilia-Romagna
 

1 D. Freddi, Un’occasione per ripensare la filiera alimentare, in Collettiva, 18 maggio 2020.

2 E. Livini, T. Mastrobuoni, Allarme mattatoi: “Alto il rischio contagi, sono i nuovi focolai, in la Repubblica, 11 maggio 2020, E. Honig, T. Genoways, ‘The workers are being sacrificed’: As case mounted, meatpacker JBS kept people on crowded factory floors, 1 maggio, 2020, H. Young, ‘Exploitative conditions’: Germany to reform meat industry after spate of Covid-19 cases, in The Guardian, 22 maggio 2020.

3 B. Bechter, B. Brandl, G. Meardi, Sectors or countries? Typologies and levels of analysis in comparative industrial relations, in European Journal of Industrial Relations, 2012, 3, 185 ss.

 

 

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