La legittimazione (necessaria) delle élite*

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Bollettino ADAPT 3 febbraio 2020, n. 5

 

Élite è parola francese che deriva dal femminile sostantivato di élit, antico participio passato di élire ovvero «scegliere». Secondo l’Enciclopedia Treccani per élite si intende «l’insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio».[…] A noi interessa in questa sede l’uso neutro del termine che la stessa Treccani considera come il più frequente in quanto «mero indicatore di uno stato di fatto: occupare le posizioni sovraordinate di una struttura sociale». […]la democrazia ha bisogno di persone competenti ed esperte che si sottopongano, direttamente o indirettamente, alla valutazione del popolo o delle sue istituzioni sulla base di criteri oggettivi di misurazione dei loro risultati. 

 

Recentemente è mancato Gianni De Michelis, protagonista di uno degli atti di governo che meglio possono esemplificare la buona leadership quale risultò anche dal confronto competitivo tra élite di diversa formazione. Agli inizi degli anni ottanta l’Italia conobbe la trappola della contemporaneità di stagnazione e inflazione a due cifre. Le élite di formazione tecnocratica e accademica immaginarono di imbrigliare la spesa pubblica attraverso la fine della funzione calmieratrice di Banca d’Italia nel mercato dei titoli di Stato. La decisione aveva una sua validità teorica ma, calata nel concreto contesto delle elevate dinamiche di spesa promosse dalle politiche consociative degli anni settanta, fu disastrosa. Le élite di formazione democratica, partitica e sindacale ebbero invece il coraggio di un concreto aggiustamento delle aspettative bloccando le indicizzazioni e sostituendole con il gioco d’anticipo dell’inflazione programmata. 

 

Le élite che condussero quella battaglia erano espressione di canali formativi alternativi a quello accademico, non si limitarono a rappresentare (e ampliare) l’insicurezza della crisi economica, seppero scommettere (senza azzardo) sugli umori del popolo e vincere. Le sostenevano una robusta cultura di governo e l’ausilio di figure esperte di loro fiducia. Nella dimensione pubblica, come in quella privata, è evidente la necessità di eleggere o nominare persone dotate di conoscenza, abilità, esperienza se si vuole avere una maggiore probabilità di risultati. origine del problema in italia. 

 

[…]E’ necessario preliminarmente considerare le specifiche anomalie che hanno reso l’Italia una nazione più fragile e più esposta ai pericoli del declino. Si può infatti ritenere che all’origine della delegittimazione delle nostre élite si collochi il passaggio dalla sana, anche dura ma leale, competizione all’interno di esse alla conflittualità esasperata che ha alimentato e incoraggiato la terribile combinazione tra il potere mediatico e quello giudiziario dai primi anni novanta. L’occasione è stata data da quel tornante della storia che fu la fine del comunismo e degli equilibri che aveva concorso a sostenere. Gli sconfitti dalla storia – l’Italia dell’Est che era dentro di noi – pensarono di rovesciare il tavolo e di confondere, anzi sommergere, le loro responsabilità utilizzando una cronaca deformata dalla parzialità della lettura. In luogo di una leale operazione di trasparenza, furono disvelati vizi fino a poco tempo prima largamente accettati e praticati nel nome dell’«ipocrisia democratica» caricandoli solo su alcuni e proteggendo accuratamente altri in modo che nella stessa generazione potessero distinguersi i buoni dai cattivi. E così gli sconfitti tentarono di diventare i vincitori. Lo scontro fu così aspro e devastante che coinvolse tutto il nostro circoscritto grande capitalismo, pubblico e privato, anche se in esso poterono meglio difendersi coloro che detenevano il controllo di mezzi di informazione. L’impresa in quanto tale cominciò a essere considerata luogo potenziale di illeciti profitti. Così come furono interessate dallo tsunami tutte le istituzioni centrali e periferiche e larga parte degli stessi corpi sociali rappresentativi. E tutte le professioni. Si demotivarono le energie migliori, trovarono legittimazione i peggiori. Lo stesso sistema educativo, già indebolito dalle teorie e dalle pratiche degli anni settanta, ne risultò ancor più fragile e iniquo. La distruzione fu all’inizio mirata e guidata ma inevitabilmente, con il tempo, ha travolto anche coloro che l’avevano avviata illudendosi di poter controllare le forze che avevano scatenato. tesi di mario rossi Questa Associazione nacque proprio in quel contesto dal libro manifesto Le regole semplici della libertà responsabile. […]

 

Già la terza rivoluzione tecnologica (informatica) ha alimentato un nuovo «razionalismo» nel contesto di società progressivamente indebolite dal benessere e dal connesso declino demografico. L’illusione di sostituire la vitalità reale, che in passato era stata consentita da intense coorti giovanili, con quella virtuale della finanza «creativa» garantita da algoritmi razionalissimi si è tradotta nell’esplosione della massa monetaria, nella moltiplicazione del debito pubblico e privato che oggi ammonta a ben sette volte la ricchezza globale, nelle prime manifestazioni di instabilità che hanno leso il circolo della fiducia. La finanziarizzazione esasperata ha generato quella «economia incivile» che è parsa rivolgersi contro le persone e le comunità. Eppure ad essa hanno concorso professionalità di competenza ed esperienza riconosciute, tanto nella dimensione pubblica quanto in quella privata. 

 

[…]La quarta rivoluzione tecnologica e il contestuale processo di globalizzazione sregolata hanno infine concorso a dare l’ultima spallata alla credibilità delle élite politiche, tecniche, manageriali. Il ceto politico, ove più ove meno, è parso sempre più imprigionarsi nel presente risultando perciò incapace di analizzare per tempo i cambiamenti così da essere in grado di governarli. E ciò tanto più è accaduto nelle dimensioni sovranazionali. Le vecchie regole del commercio globale sono state disegnate in un tempo di sviluppo progressivo e graduale delle nazioni, quando era ipotizzabile un’analoga, parallela, progressività dell’evoluzione istituzionale e sociale. Il salto tecnologico ora consente incredibili accelerazioni dello sviluppo economico mentre welfare e democrazia rimangono primordiali consentendo una concorrenza sleale. Nuovi players multinazionali, con vocazione monopolistica, intercettano le grandi opportunità indotte dall’intelligenza artificiale e gli Stati appaiono incapaci di rincorrerli con regole e tasse tradizionalmente ancorate ai confini territoriali. Vi è di più: mentre i governi e le istituzioni sovranazionali appaiono incapaci di impedire la polarizzazione del potere economico su queste poche compagnie, nella dimensione interna agli Stati o all’Unione europea si pretendono rigorose regole di mercato e si sanzionano le piccole concentrazioni. 

 

I guadagni di grandi azionisti e top manager superano poi di infinite volte le proporzioni del passato risultando incompresi e conducendo a campagne di pauperismo. Vengono decantate le progressive sorti delle nuove tecnologie ma molti governi risultano incapaci di gestire la transizione professionale di moltitudini di lavoratori perché prigionieri dei vecchi sistemi educativi e formativi e delle relative corporazioni. Si insinua il dubbio di un futuro con meno lavoro e si produce la trappola dell’esclusione permanente grazie a sussidi destinati a diventare costanti. Più ancora delle disuguaglianze assolute pesano gli impoverimenti relativi e soprattutto il blocco dell’ascensore sociale che toglie ogni speranza di riscatto. insicurezza diffusa e bisogno di untori A ciò si deve aggiungere, ultimo ma non ultimo argomento, la disinformazione veloce nella rete. 

 

Da tempo le fonti informali della conoscenza prevalgono su quelle formali come le scuole e le università. Si rincorrono con le forbici della censura le fake news ma non si investe in quell’educazione morale che darebbe alle persone gli strumenti per distinguere il bene dal male. Il risultato è perfino il rifiuto della «oggettività» scientifica, inclusa quella medica e farmacologica, nonostante nel mondo occidentale sia conseguenza di approcci sperimentali prolungati e di un’evidenza trasparentemente certificata. Devono interrogarsi tuttavia tutti coloro che trattano il paziente come un mero grumo di sintomi e non una persona che va considerata nella sua interezza e complessità. Le patologie, anche in questo ambito, non sono mancate e la vecchia regola secondo cui «fa più rumore un albero che cade rispetto a tanta erba che cresce», in un mondo sempre più disgregato, genera sfiducia e rivolta. L’insicurezza è peraltro estesa e riguarda l’incolumità personale, il lavoro, il risparmio, la salute, il clima, la stabilità idrogeologica. 

 

Mai come ora è quindi necessario che si formino, attraverso una pluralità di canali, nuove o rinnovate élite capaci di parlare al cuore e alla ragione delle persone. Attraverso fatti coraggiosi e perciò convincenti. […] Per queste ragioni, gli Amici di Marco Biagi hanno ritenuto di celebrare il venticinquesimo anniversario della fondazione dell’Associazione con una riflessione collettiva sui modi con cui riconciliare il popolo e le «sue» élite. Operazione non impossibile soprattutto se queste si generano dal suo seno e non per riproduzione chiusa e autoreferenziale. Il che significa realizzare innanzitutto un modello di selezione e accesso ai percorsi formativi fondato sulla parità delle opportunità di partenza, sulla libertà delle scelte educative rispetto a una pluralità di percorsi e di strutture, su un profondo rinnovamento dei metodi e dei contenuti pedagogici. Un mercato del lavoro incessantemente transizionale e, più in generale, le complessità della vita chiedono a ciascuna persona di «saper essere» prima ancora che di «saper fare». Ciò implica modalità di apprendimento che conducano tutti, in base alle vocazioni, all’acquisizione di competenze superiori e a una formazione integrale qualunque sia la posizione sociale di partenza. La consapevolezza della necessità di spezzare le catene dell’autoreferenzialità e della difesa corporativa dell’esistente induce ad auspicare un sistema fortemente competitivo, favorito dal superamento del valore legale del titolo di studio e da uno Stato regolatore che valuta tutti i soggetti dell’offerta educativa affinché corrispondano a standard qualitativi. D’altronde, la necessità di una continua evoluzione delle conoscenze e delle abilità implica modalità di certificazione delle effettive competenze acquisite che siano largamente riconosciute. autonomia professionale e responsabilità Le nuove tecnologie, pur imprevedibili nella loro velocissima evoluzione, aumentano la capacità delle persone e sollecitano modelli di produzione a carattere orizzontale. Potremmo dire, più in generale, che la morte del fordismo significa la fine dei rapporti puramente gerarchici. In ogni attività economica, ciascun collaboratore è richiesto di intraprendenza e creatività in relazione diretta, o quasi, con leadership riconosciute sulla base dei risultati. La loro stessa remunerazione sarà compresa solo se ragionevole e trasparentemente collegata a indicatori non solo di breve ma anche di lungo termine, in un contesto ove tutti hanno una parte significativa del salario connessa ad alcuni di quei parametri.

 

Anche nella dimensione pubblica si impone l’introduzione di modelli gestionali analoghi che si accompagnano necessariamente con l’adozione sistemica della contabilità economica patrimoniale analitica per centri di costo, riconciliata con quella finanziaria. Così come le amministrazioni pubbliche sono chiamate a conciliare le esigenze di imparzialità con il perseguimento di risultati indicati (anche in termini quantitativi) dalle funzioni politiche. Se è vero che anche nell’impresa si affermano sempre più procedure funzionali alla trasparenza e all’efficienza, nell’area pubblica le funzioni dirigenziali non possono essere costrette entro gli schemi rigidi del procedimento. Solo margini adeguati di discrezionalità della decisione possono consentire il perseguimento di obiettivi. In qualunque ambito, soprattutto le figure più competenti ed esperte devono agire secondo un’ottimale combinazione di autonomia e di responsabilità. Ogni attività, incluse le funzioni politiche di governo, le autorità indipendenti, il potere giudiziario, devono poter essere sottoposte a valutazione secondo criteri oggettivi favoriti anche dalle tecnologie. La responsabilità civile e quella contabile devono diventare effettive per tutti, senza alcuna esclusione di casta, ma allo stesso tempo devono essere prevedibili perché orientate da criteri certi e certamente applicati. «indigenous innovation» e senso del futuro L’Italia, secondo il premio Nobel Edmund Phelps, ha conosciuto una straordinaria indigenous innovation fino al 1993. Essa è stata fonte di significativi tassi di crescita fino a quella data, mentre nell’epoca successiva i livelli di sviluppo sono stati modesti o nulli. Con il Giappone condividiamo stagnazione e demografia debole. Ma come il Giappone possiamo fare di necessità virtù e così reagire al declino demografico riscoprendo l’innovazione e la produttività attraverso la rimozione dei fattori che le hanno inibite. Il risveglio dell’attitudine al pensiero lungo, della propensione al rischio nell’impresa e nel risparmio, dell’efficienza pubblica si potrà generare solo da una politica fortemente orientata dall’antropologia positiva. Il riequilibrio tra i poteri costituzionali, una giustizia giusta e certa, la semplificazione della regolazione degli investimenti, la rivoluzione educativa, le relazioni di lavoro in prossimità, la legittimazione di élite plurali e ancorate al senso comune del popolo sono gli strumenti del possibile ritorno, in modi riveduti e corretti, agli anni migliori della vita della Repubblica, quando uscimmo dalla povertà e dalla sconfitta sentendoci vitali e uniti da un destino comune.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

*pubblicato anche su Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2020

La legittimazione (necessaria) delle élite*