Un mondo del lavoro in trasformazione. Appunti di viaggio sulle forme di lavoro senza contratto/3 – Il volontariato e le sue zone d’ombra

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Bollettino ADAPT 23 novembre 2020, n. 43

 

Nel ventaglio dei rapporti di lavoro senza contratto spicca, per importanza sociale, il volontariato.

Questo apporto lavorativo si svolge nell’ottica di una cittadinanza attiva, di condivisione e partecipazione per la comunità. Punti che, per il loro limpido obiettivo di un bene civico e collettivo, hanno reso necessario un intervento normativo (avvenuto, da ultimo, con il D.lgs 117/2017) che ne promuovesse la diffusione e ne favorisse lo sviluppo.

 

Promuovere, a dire il vero, non sembra un obiettivo sufficiente, sono auspicabili infatti ulteriori interventi in più direzioni, volti ad accrescere la coscienza e conoscenza generale in primis e ad ottenere una maggior regolamentazione settoriale in secundis. Una di queste direzioni può essere senza dubbio la contrattazione collettiva, sull’onda di quanto fatto dal Ccnl per i dipendenti delle associazioni ed altre organizzazioni del terzo settore (per il triennio economico e normativo da Marzo 2016 a Marzo 2019), all’art. 43.

 

L’intervento normativo di riferimento è, ad oggi, il D. lgs 117/2017 cd Codice del Terzo settore che, oltre a dettare vincoli e condizioni del volontariato, ci consegna una chiara e semplice definizione di volontario:

“Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le  proprie  capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà” (Art. 17 D. Lgs n. 117/2017).

 

Definire inoltre il terzo settore, data la stretta correlazione con il volontariato, risulta necessario:

Ex art. 1, comma 1 della legge 106/2016, “Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. Non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche. Alle fondazioni bancarie, in quanto enti che concorrono al perseguimento delle finalità della presente legge, non si applicano le disposizioni contenute in essa e nei relativi decreti attuativi”.

 

Vi è da capire, ora, se l’attività di volontariato, de iure, è unicamente possibile nell’ambito del suddetto terzo settore.

La relazione illustrativa del D. Lgs 117/2017 chiarisce che, tramite l’art. 17, vi è la volontà da parte del legislatore delegato di operare un chiaro ed omogeneo inquadramento giuridico del volontario in genere. È però chiarito che il volontario “può esplicare la propria attività nelle molteplici tipologie di enti del Terzo settore, e non soltanto nelle organizzazioni di volontariato”, espressione che sembra escludere attività al di fuori del terzo settore.

Eppure, analizzando attentamente quanto testualmente previsto all’art. 17, risulta chiaro che il legislatore non chiude le porte ad opere di volontariato che si svolgano al di fuori dello stesso. Si elencano i punti che sembrano avvalorare questa tesi:

  • Il periodo “anche per il tramite di un ente del Terzo settore” contenuto al comma 2 art. 17 del D. lgs 117/2017 evidenzia come sia possibile un’opera di volontariato estranea al terzo settore;
  • Il comma 6 dell’articolo in esame recita “Ai fini del presente Codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni”, chiarendo che esiste altro tipo di volontario (e quindi di volontariato), ovvero l’associato coadiuvante, che per espressa previsione non deve però essere soggetto al D. Lgs 117/2017.

Inoltre, volgendo lo sguardo altrove (pur sempre nel “medesimo processo di riforma” [M. Tiraboschi]), nell’ambito della Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, l’art. 13 comma 2 del D. Lgs 112/2017 sottolinea come esista una specifica disciplina per quanto riguarda gli enti religiosi civilmente riconosciuti, ai quali si applicano solo parzialmente, ex art. 1 comma 3, in base al tipo di attività, i dettami della norma di cui sopra. E’ evidente, quindi, come non si possa escludere a prescindere, per gli enti individuati all’art. 1 comma 3 D. Lgs 112/2017 (enti religiosi civilmente riconosciuti), un’attività di volontariato anche al di fuori dei rami di attività di cui all’art. 2 D. Lgs 112/2017, in ragione di “una fattispecie, pertanto, non facile da inquadrare, per questa sua natura ‘ibrida’ che incrocia in modi tendenzialmente diversi solidarietà e fede” (F. Di Prima), su cui la dottrina continua a riflettere.

Il problema non è di poco conto: la vita quotidiana ci insegna che l’opera di volontariato è assai diffusa e si può realizzare, de facto, in diverse sfaccettature, tra cui spiccano il volontariato individuale in senso stretto e il volontariato tramite enti che non appartengono al terzo settore (peraltro, appare chiaro come l’ascrizione-iscrizione al terzo settore sia una scelta, dettata da una ragione agevolativa per godere dei vantaggi assicurati dal processo di riforma).

 

Inoltre, a ben vedere, risulta ipotizzabile l’apporto di volontariato nell’ambito di una impresa con fini di lucro, sulla base delle sole caratteristiche del volontario individuate dall’art. 17 D. Lgs 117/2017. Si ipotizzi, infatti, una squadra sportiva con fini di lucro e l’ipotetico caso in cui un genitore decida di provvedere in via personale, volontariamente, spontaneamente e gratuitamente, al trasferimento dei giovani atleti per il sostenimento di una competizione (in considerazione dell’importanza dello sport per i giovani in un’ottica di bene comune).

 

Per i tanti motivi fino ad ora elencati, si può ben ipotizzare un rapporto di volontariato non solo di fatto, ma anche de iure, al di fuori dell’ambito del terzo settore.

Dubbi permangono sull’individuazione dei soggetti a cui devono essere applicate le regole dettate dall’art. 17 del D. Lgs 117/2017.

Nello specifico la norma stabilisce che:

  • Per i soli volontari non occasionali, che il loro nominativo sia iscritto in un apposito registro;
  • Il volontario deve essere assicurato dall’ente contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato;
  • Il volontario deve essere assicurato dall’ente per la responsabilità civile presso terzi;
  • Il volontario non può essere retribuito per la sua attività, ma l’ente può rimborsare soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate (non in maniera forfetaria ma a piè di lista) per l’attività prestata, peraltro, entro dei limiti massimi prestabiliti e alle condizioni preventivamente stabilite tramite delibera dell’organo sociale o regolamento specifico (I limiti individuati dalla legge sono 10 € giornalieri e 150 € mensili con esclusione delle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi ex comma 4 art 17, D. Lgs 117/2017);
  • Con il volontario, nella sua concezione più ampia (Nota direttoriale n. 2088 Min. Lav.), presso lo stesso ente, non può essere instaurato un rapporto di lavoro subordinato o autonomo e/o altro rapporto di lavoro retribuito.

Senza ombra di dubbio i volontari che rientrano nell’alveo del terzo settore, non esplicitamente esclusi dal D. Lgs 117/2017 (volontari del servizio civile universale e al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo), o soggetti a specifiche disposizioni (si veda l’art. 13 comma 2 del D. Lgs 112/2017), devono essere assoggettati a tutte le prescrizioni della normativa di riferimento.

Per il volontariato che vive al di fuori del terzo settore si ritiene che si debba procedere per analogia, e quindi assoggettare lo stesso, ad esclusione dei casi di volontariato altrove disciplinati, ai dettami dell’art. 17 D. Lgs 117/2017. Apparrebbe infatti contraddittorio ipotizzare una prospettiva in cui solo gli enti del terzo settore debbano, per il rapporto di volontariato, in ragione della loro scelta agevolativa di iscrizione al terzo settore, rispettare un maggior rigore normativo, ovvero quello previsto all’art. 17 D. Lgs 117/2017.

 

È chiaro che un procedimento di questo genere -l’analogia- lascia trasparire una libertà troppo ampia per gli enti/imprese che potrebbero decidere se applicare, o meno, o di applicare integralmente, o anche solo parzialmente, il D. Lgs 117/2017 per il lavoro del volontario.

Appare evidente, quindi, come la norma sembri incompleta ai fini della regolamentazione in toto del volontariato. È auspicabile un ulteriore intervento normativo ancor più incisivo e preciso, poiché ad oggi grandi dubbi permangono sui corretti limiti della disciplina.

In fin dei conti “l’opera umana più bella è di essere utile al prossimo” (Sofocle), ma pur sempre nell’abbraccio caldo di un diritto certo, che non permetta abusi.

 

Marco Tuscano

Consulente del lavoro

@MarcoTuscano

 

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