Rapporto di valutazione degli interventi contro il grave sfruttamento lavorativo in Capitanata. “In Capitanata troppe azioni e isolate”

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Bollettino ADAPT 19 aprile 2021, n. 15

 

Mercoledì 14 aprile è stato presentato il rapporto di ricerca “Valutazione degli interventi contro il grave sfruttamento lavorativo in Capitanata” a cura di Lucio Pisacane e Serena Tagliacozzo dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e sulle Politiche Sociali – CNR redatto nell’ambito del progetto Libera la Terra. Il progetto promosso dalla Regione Puglia si inserisce nei progetti di supporto a processi partecipativi riferiti a problematiche che interessano gli attori del territorio. In particolare, Libera la terra si focalizza sul contrasto al grave sfruttamento lavorativo nel settore agricolo in Capitanata e coinvolge sindacati, associazioni datoriali ed enti del terzo settore. In un territorio in cui il fenomeno dello sfruttamento lavorativo ha assunto progressivamente, specie nei confronti dei lavoratori stranieri, proporzioni drammatiche, il tentativo del processo è far dialogare gli attori locali per arrivare a proposte concrete da indirizzare alla Regione Puglia.

 

La valutazione da una parte offre un indice ragionato di testi e materiali sul tema delle dinamiche del lavoro agricolo e sul fenomeno del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori migranti, dall’altra raccoglie le interviste ai partner progettuali sull’efficacia delle politiche di contrasto a livello nazionale e locale. Come specificato dagli Autori il report è un forward-looking, guarda cioè a come migliorare lo scambio di informazioni e il dialogo tra le parti interessate e utilization-focused, in quanto insiste sull’utilità pratica degli strumenti forniti dalla valutazione, in termini di nuove conoscenze, per i suoi utilizzatori finali. Lo scopo è di presentare un insieme di conoscenze che, adeguatamente strutturate e inserite all’interno di più ampi processi sociali a livello nazionale e globale, possano favorire una riflessione condivisa sul fenomeno dello sfruttamento della manodopera agricola in Capitanata e il disegno di soluzioni radicate nella realtà territoriale di riferimento.

Una delle prime considerazioni che viene condivisa da tutti gli intervistati nel corso delle interviste telefoniche è l’assenza di comunicazione tra gli attori e con le istituzioni e la scarsa capacità della Regione Puglia di coordinare le azioni locali. Il concetto è sintetizzato chiaramente da uno degli intervistati che dice che “La capitanata è terra di grande individualità, c’è un personalismo tutto garganico e proprio della Capitanata”.

 

Di rilievo sono le considerazioni svolte con riferimento al Contratto Provinciale dell’agricoltura e alla trattativa per il rinnovo che si è da poco interrotta a causa dei forti contrasti emersi sul salario. I sindacati infatti vorrebbero eliminare l’area salariale sperimentale riconducibile ad un “sotto salario” – introdotta per incentivare i datori di lavoro ad aumentare le giornate ai lavoratori – dato il mancato raggiungimento dell’obiettivo prefissato, mentre le associazioni datoriali insistono per mantenerla in vigore.

A riguardo emerge dal rapporto “la volontà delle organizzazioni datoriali di avere una manodopera ad un costo molto più basso di analoghe aree agricole intensive del centro e nord Italia” ma “il tentativo dei sindacati di contrattare il prezzo del lavoro in una terra dove poi la realtà smentisce la loro rappresentanza o quanto meno la domanda di lavoro crea una forte competizione al ribasso.

 

Se da una parte quindi le associazioni datoriali ritengono che il mercato non riesca a remunerare le aziende in modo adeguato per poter pagare cifre dignitose ai lavoratori e continuano a ragionare su un salario reale di piazza che si aggira sui 45/48 euro dall’altra i sindacati nel contrattare il costo del lavoro devono fare i conti con il fatto che nella realtà il lavoro viene comunque pagato meno di quanto pattuito dalla contrattazione territoriale.

 

Interessanti anche le posizioni relative alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità e alla L. 199/2016. La rete, istituita presso l’INPS, consente alle imprese agricole che non abbiano riportato condanne penali per violazioni in materia di lavoro o per delitti di cui agli art. 600 e ss. c.p., che non siano state destinatarie di sanzioni amministrative per violazioni in materia di lavoro, che siano in regola con il versamento dei contributi previdenziali e che applichino i contratti collettivi di entrare a far parte di questa rete. Si tratta di fatto di un certificato di legalità utile sia per le imprese acquirenti nella scelta dei propri fornitori che per indirizzare l’attività di vigilanza dell’ispettorato nei confronti di chi non è iscritto alla stessa rete.

Con riferimento alla Rete, a cui sono iscritte solo 375 aziende nella Provincia di Foggia, la posizione degli intervistati è univoca. La rete non funziona, manca una cabina di regia che dovrebbe essere spostata dall’Inps alla Prefettura e si presenta poco appetibile a causa della rigidità dello schema. Un intervistato dice che “in Capitanata le aziende sono state spinte ad aderire per la pressione ricevuta dagli stakeholders esterni che chiedono maggiore trasparenza e rispetto del lavoro impiegato. Chi è già nella legalità perché dovrebbe farsi riconoscere?

A riguardo si rendono quindi necessarie misure per rendere la Rete più fruibile. La premialità della Rete non può consistere nella certificazione di legalità. Come rilevato da Lucio Pisacane durante l’incontro di presentazione “essere legali dovrebbe essere un concetto già insito nella società civile e non dovrebbe costituire una premialità per le aziende”.

 

Rispetto alla L. 199/2016 (Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo) invece viene denunciata la scarsa applicazione nel territorio dato che lo Stato è meno forte e presente, anche se è di poche settimane fa l’operazione principi e caporali della procura di Foggia che ha portato al sequestro preventivo di 8 aziende agricole.

A tal riguardo sono emerse posizioni univoche sulla totale sproporzione tra le violazioni e le pene e sul controllo giudiziario delle aziende e una visione critica del ruolo del commissario. “Il controllo giudiziario è ancora oggi inefficace e lascia nel rischio i lavoratori, che poi dovrebbero essere in ultima istanza i soggetti da tutelare”. Durante il dibattito l’Avv. Dario Belluccio ha evidenziato che i commissari non hanno contezza delle dinamiche agricole territoriali specie con riferimento ai lavoratori stranieri.

 

Ed è proprio con riferimento ai lavoratori stranieri che emergono tutte le criticità del sistema. Se da una parte nell’ambito del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo è stato messo in campo il progetto SU.PRE.ME che interviene su alloggi, trasporto, contrasto al lavoro irregolare sembra che siano ancora lontani risultati soddisfacenti. Nonostante il progetto SU.PRE.ME sia stato definito da uno degli intervistati “un grande progetto che si sta perdendo in mille rivoli” nasce da lì l’esperienza di Casa Sankara che accoglie oggi 400 lavoratori stranieri offrendo non solo una soluzione alloggiativa ai tanti lavoratori che prima abitavano nei ghetti ma anche, grazie ad una rete di relazioni con gli attori territoriali, iniziative di rilievo per gli ospiti della struttura con interventi importanti anche sul tema del lavoro regolare. Tra questi merita una menzione la gestione di 14 ettari di terreno che produce pomodoro affidata ai ragazzi della struttura nell’ambito dell’associazione Ghetto Out Casa Sankara. Il pomodoro di Casa Sankara commercializzato con il nome di “Riaccolto. La terra della liberà” oltre ad essere il risultato di una storia di riscatto dei ragazzi usciti dal ghetto, mostra come sia possibile la realizzazione di filiere etiche che rispettano la dignità dei lavoratori.

Tutti gli intervistati nell’ambito del progetto pur riconoscendo l’importanza territoriale della struttura, hanno però evidenziato che Casa Sankara dovrebbe essere una struttura di passaggio ma ad oggi i ragazzi stranieri non riescono a trovare case in affitto quando decidono di intraprendere un percorso di autonomia.

 

Servirebbe allora uno sforzo dalle istituzioni e un investimento straordinario per una programmazione che punti all’inserimento dei lavoratori stranieri nel tessuto sociale della Capitanata. Se infatti la Puglia vive un grave spopolamento delle aree interne sono ancora troppo pochi i progetti di integrazione nelle comunità nonostante la Regione fin dal 2006 abbia adottato leggi a riguardo rimaste senza applicazione concreta.

 

Rispetto agli stessi temi è stato ascoltato anche un gruppo di lavoratori presenti a Casa Sankara al fine di far emergere il loro punto di vista sulla loro condizione lavorativa.

Sono state poste delle questioni generali per comprendere il livello di conoscenza dei loro diritti ossia come si instaura un rapporto di lavoro, diritti ed obblighi delle parti e conoscenza della contrattazione provinciale. Sebbene sia chiara la conoscenza dell’instaurazione del rapporto di lavoro mediante contratto regolarmente sottoscritto e registrato, non sono chiari i diritti e gli obblighi delle parti (es. malattia, infortunio, origine del diritto alla disoccupazione). Rispetto al fenomeno del caporalato e al reato di intermediazione illecita di manodopera invece c’è molta consapevolezza tra i lavoratori. Tutti i ragazzi sono già beneficiari di un intervento nell’ambito di SU.PRE.ME risiedendo presso Casa Sankara ed essendo beneficiari del progetto. Rispetto al ruolo del sindacato a tutela dei diritti del lavoratore la percezione generale evidenziata è stata quella di un sindacato erogatore di servizi. Non c’è quindi piena consapevolezza della funzione di tutela dei diritti dei lavoratori.

 

La difficolta delle dinamiche che riguardano i lavoratori agricoli stranieri in Capitanata, l’assenza di un coordinamento forte da parte della Regione Puglia e delle istituzioni tutte, la mancanza di finanziamenti straordinari per realizzare opere straordinarie, la difficoltà dei sindacati e del terzo settore a sopperire alle carenze istituzionali, lo scarso interesse della società civile a queste tematiche contribuiscono al permanere di questa situazione. Occorrerebbe guardare ai fallimenti delle iniziative intraprese fino ad oggi per valutare le azioni da compiere nei prossimi anni.

Quello che è certo è che ad avere la peggio da tutto ciò sono proprio i lavoratori che andrebbero tutelati. Si auspica quindi che gli spunti offerti dalla valutazione possano costituire la base di partenza per comuni riflessioni tra le parti sociali e il mondo del terzo settore per giungere a proposte concrete e risolutive da indirizzare alle istituzioni che dovrebbero coordinare tutto il lavoro svolto quotidianamente dagli attori territoriali.

 

Francesca Di Credico

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@dicredicofra

 

Rapporto di valutazione degli interventi contro il grave sfruttamento lavorativo in Capitanata. “In Capitanata troppe azioni e isolate”