Qualche considerazione sulla revisione della direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori

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Se il valore di un accordo fosse valutato dal numero di scontento creato, il compromesso raggiunto sulla revisione della direttiva 96/71/CE (in questo Bollettino, ndA) andrebbe apprezzato in termini massimi, avendo nei fatti disatteso le aspettative di tutti: innanzitutto, degli ordinamenti che non avrebbero voluto affatto rivedere la predetta fonte normativa, ritenendone non ancora maturi i tempi e non essendo ancora stati valutati gli effetti della direttiva 2014/67/UE, recepita nei Paesi membri a metà dello scorso anno.

 

Non meno delusi sono risultati coloro che, viceversa, avrebbero spinto per una totale equiparazione tra i lavoratori distaccati e quelli stabilmente operanti, ed in particolare gli operatori francesi del trasporto merci su strada, per i quali il rinvio dell’operatività delle nuove regole alla revisione della disciplina del settore concederebbe troppo spazio al dumping sociale.

 

Eppure, l’impressione che se ne ricava, al di là delle affermazioni di circostanza, non è di un compromesso irresistibile. Benché costituisca un fenomeno piuttosto contenuto a livello quantitativo, il distacco comunitario dei lavoratori ha negli ultimi tempi catalizzato l’attenzione anche dei non esperti, al punto da costituire, prima, oggetto della recente campagna presidenziale francese e, dopo, uno dei punti nevralgici del programma di governo del Presidente Macron, intestatosi la paternità della revisione della direttiva 96/71/CE.

 

Tra le novità più significative del progetto di modifica dell’atto comunitario in parola occorre menzionare la sostituzione del concetto di tariffe minime salariali con quello di retribuzione da corrispondere ai lavoratori distaccati, a prescindere dalla legge applicabile al rapporto di lavoro tra questi ultimi ed i propri datori di lavoro: onerando le imprese distaccanti della corresponsione ai propri dipendenti di quanto la legge e/o la contrattazione collettiva del Paese ospitante il distacco prevede a parità di mansioni, attraverso una comparazione globale fra le rispettive retribuzioni versate, il differenziale competitivo delle imprese straniere basato sul minor costo del lavoro sarebbe destinato a ridursi e, con esso, la loro maggiore convenienza economica.

 

Probabilmente, per quanto lo sforzo risulti apprezzabile, un risultato più efficace sarebbe stato ottenibile riflettendo – o meglio riconsiderando il – sul fondamento giuridico della direttiva 96/71/CE, ancora troppo attratto nell’orbita della libertà di prestazione dei servizi, piuttosto che sulla libertà di movimento delle persone, ed in particolare dei lavoratori.

 

Altresì, la medesima fissazione del termine di dodici mesi di durata del distacco merita apprezzamento per aver sottratto la materia all’incertezza dovuta all’assenza di un limite temporale esplicito dell’istituto comunitario, posto che, finora, la durata di ventiquattro mesi era ricavata dall’art. 12, regolamento n. 883/2004. Ciononostante, la prevista possibilità di prolungare di ulteriori sei mesi la permanenza del lavoratore nel Paese straniero, che dovrà esprimersi sull’istanza motivata del distaccante, potrebbe non eliminare né un certo margine di ambiguità sulle esigenze di proroga manifestate dall’impresa, né la discrezionalità di ciascun ordinamento nel concedere detta dilatazione temporale.

 

Il rischio, quindi, è che la Corte di Giustizia della Comunità Europea sia chiamata a pronunciarsi su eventuali dinieghi dei vari Stati, dovendo valutarne la proporzionalità e congruità rispetto agli obiettivi ed al compromesso di fondo della direttiva 96/71/CE – ovverosia la contemporanea attenzione ai diritti dei lavoratori distaccati ed alla tutela della libera prestazione di servizi –, con la prevedibile formazione di un ulteriore contenzioso di cui l’ordinamento europeo non ha affatto bisogno.

 

Non meno foriere di potenziali contrasti, che andranno risolti dalla predetta Corte di Giustizia, risultano l’interpretazione e la declinazione concreta dell’obbligo di ciascuno Stato ricevente il lavoratore distaccato di pubblicare gli elementi costitutivi della retribuzione cui ha diritto il medesimo prestatore di lavoro, essendo prevedibile l’invocazione, da parte dell’impresa distaccante, della difficoltà di reperire tali informazioni e/o della loro scarsa chiarezza, a fronte dell’addebito di corrispondere minori voci retributive.

 

Del pari, l’esclusione del trasporto merci su strada dalla proposta di revisione della direttiva 96/71/CE per ancorarne l’applicabilità a seguito delle modifiche alla direttiva 2006/22/CE, se può aver chiarito che il distacco comunitario riguarda, malgrado gli adattamenti necessari di futura emanazione, anche la guida su gomma, si espone all’evidente critica di lasciare privo di disciplina un settore in cui gli interessi contrapposti si sono fatti sempre più significativi e bisognosi di certezza normativa.

 

L’estensione delle regole della rivisitata direttiva 96/71/CE a tutti gli ambiti produttivi e non più soltanto alle costruzioni colma un differente regime giuridico, all’attualità non più sostenibile, tuttavia non potendo scongiurare la prevedibile moltiplicazione di controversie riguardanti l’applicazione dell’atto comunitario de quo, in merito al quale non sarà possibile utilizzare l’interpretazione fornitane finora dalla Corte di Giustizia in ragione dell’intervenuta modifica di aspetti significativi della stessa fonte giuridica.

 

Non ultima, la dilatazione dei tempi per il recepimento della nuova versione della direttiva 96/71/CE, consistente nel triennio in luogo del consueto biennio per la sua trasposizione in ciascuno Stato e di un ulteriore anno per la sua entrata in vigore, espone al rischio che l’operatività delle nuove previsioni intervenga in un contesto economico-sociale nel frattempo mutato rispetto alle istanze che hanno portato ad emendare la medesima piattaforma giuridica di riferimento.

 

Se, alle condizioni date, l’accordo raggiunto è stato l’unico percorribile anche per non minare ulteriormente la credibilità dell’Unione Europea ed il senso dell’appartenenza alla medesima, occorre nondimeno sperare che siano proprio le istituzioni comunitarie – e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea per prima – a sciogliere in modo coerente i nodi interpretativi che, inevitabilmente, il testo normativo europeo conterrà.

 

Giovanna Carosielli

Funzionario ispettivo ITL Bologna

@GiovCarosielli

 

(*) Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza

 

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