La rappresentanza sociale deve essere rilanciata

La recente vicenda referendaria e il suo esito finale hanno inaspettatamente rivelato che gira fra noi una grande voglia di partecipazione politica. Basta ricordare l’alta percentuale dei votanti e soprattutto la implicita richiesta di attenzione da parte di alcuni mondi (quello giovanile come quello meridionale) che si sentono fuori dalla dialettica sociopolitica e dai conseguenti meccanismi decisionali.

Ma ora che il referendum è alle spalle, dove si può incanalare tale grande tensione partecipativa, per non ricadere nella banale ma rancorosa quotidianità? Gioverà ricordare in proposito che la partecipazione sociopolitica non si fa con le emozioni elettorali una tantum, ma con un costante impegno di rappresentanza degli interessi collettivi all’interno del confronto politico e decisionale. Ma giova anche riscontrare che in materia bisogna superare una crisi seria, visto che i diversi soggetti di rappresentanza hanno di recente subito un deciso processo di disintermediazione (in nome e per conto del rilancio del primato della politica) rispetto al quale essi non hanno «tenuto botta», restando silenti o addirittura schierati nelle crescenti spinte al decisionismo.

Bisognerà probabilmente ripartire da zero sia per la rappresentanza politica (centrale e periferica), sia e soprattutto per le varie sedi della rappresentanza sociale, che devono essere le prime a muoversi, andando a capire quali nuovi interessi stiano maturando nella società, quali vecchie identità collettive possano prendersi carico di tali interessi, quale nuova logica di azione collettiva possa e debba occupare lo spazio oggi vuoto della mediazione. È un percorso obbligato, se si vuole fare rappresentanza complessa e quindi nuova partecipazione sui temi oggi di maggiore peso…

 

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