Fiat, la vittoria dopo i veleni

Le assunzioni annunciate per Melfi non sono un risultato inaspettato, ma una notizia che attendevo da tempo, dal momento in cui la Fiat, anche su nostra pressione e su nostra garanzia decise circa due anni e mezzo fa di investire un milione di dollari proprio a Melfi per costruire le piccole jeep per il mercato europeo e nordamericano. Un investimento fatto sugli impianti, per adattarli e modernizzarli, creando così le opportunità di nuovi business.
 
Oggi più che mai è opportuno fare un salto indietro con la memoria. Mentre infuriava una pretestuosa polemica antinazionale, la Fiat parlava con quei sindacati che sanno che per ottenere del lavoro ci vogliono degli investimenti, ma se li vuoi devi dare anche tu delle garanzie. Chi investirebbe in un terreno malfermo politicamente, come ordine civile e nelle relazioni industriali? Cisl e Uil diedero questa garanzia di stabilità, richiesero l’investimento e assicurazioni sull’occupazione, e a fronte di questo lavoro l’azienda, mentre tutti facevano polemiche, programmò il futuro che oggi vediamo.
 
Il mea culpa lo devono fare in tanti: una parte consistente dei sindacati, dei governanti, dei media, dei centri di potere italiani. Mentre loro si affannavano a gridare al disastro noi stavamo incubando questa nuova realtà, che non è solo l’assunzione di centinaia di persone ma la certezza di un investimento a più largo respiro che consentisse primariamente la stabilizzazione di tutte le persone – e sono migliaia – che già lavoravano in fabbrica.
 
E non è una cosa scontata. Le aziende non sono come le municipalizzate, dove “paga Pantalone”, ma producono laddove ci sono commesse ed esistono le condizioni per un margine di guadagno. Quando lavoravamo a questo progetto eravamo in contraddizione fortissima con il coro spesso violento che c’è stato per lunghissimo tempo teso a distruggere il confronto all’epoca tra i sindacati responsabili e l’azienda.
 
La Cisl e la Uil si sono comportati come si devono comportare tutti i sindacati dei Paesi civili, sviluppati e industrializzati; cioè richiedono garanzie di condizioni dei lavoratori e salariali, ma sono consapevoli che tutto dipende dagli investimenti che si fanno e dai frutti che possono produrre.
 
Mi dispiace dirlo, ma gran parte della classe dirigente italiana quando pensa all’industria immagina conduzioni da azienda municipalizzata, dove non è dato sapere quanto deve rendere un investimento che in quel caso paga il cittadino, e se c’è un buco di bilancio si aumentano le tasse e si ripiana.
 
Tornando alla Fiat: alla fine di questa storia a Grugliasco ci sono migliaia di persone a lavorare quando per 6 anni erano rimaste a spasso o in cassa integrazione, Torino viene rinnovata, così come Val di Sangro, viene implementata la realtà di Pomigliano, e a Melfi viene riconfermata l’occupazione esistente più altre nuove assunzioni. Mentre tutti dicevano che Marchionne stava smobilitando e si sarebbero persi posti di lavoro, l’unico posto dove l’occupazione resta sostanzialmente integra è la Fiat.
 
Riportiamo a casa la Panda che anni addietro era stata trasferita in Polonia, e per la prima volta un mezzo così prestigioso e appetito dal mercato quale la jeep americana viene fatta costruire nel Bel Paese.
Quello odierno è un risultato così importante che fa giustizia di tante polemiche e di tante ingiurie che taluni di noi hanno subito in questa battaglia che è sindacale ma anche culturale.
 
Qualcuno dovrebbe rispondere di tutti i dubbi e i veleni, e talvolta anche delle violenze che sono state perpetrate contro coloro che si sono assunti la responsabilità di queste scelte.
 
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Fiat, la vittoria dopo i veleni
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