Per una storia della Contrattazione Collettiva in Italia/25 – Le tendenze della contrattazione collettiva in materia di lavoro autonomo

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Bollettino ADAPT 6 aprile 2021, n. 13

 

Cercare di delineare tendenze e sviluppi della contrattazione collettiva e della rappresentanza in materia di lavoro autonomo è operazione assai controversa e complicata. Ad oggi l’infrastruttura edificata dai principali sistemi di rappresentanza del lavoro e d’impresa ha avuto come baricentro i mercati del lavoro subordinato. Ė proprio la contrattazione collettiva, per questioni strutturali attinenti al diritto della produzione e al conflitto tra capitale e lavoro, ad aver sviluppato nel corso del tempo un assetto regolatorio e un sistema di allocazione del lavoro basato ed incentrato sulle logiche della subordinazione.

 

La razionalità sottesa a questa impostazione è stata quella di bilanciare il rapporto asimmetrico tra le parti che vede, da un lato il datore di lavoro, e dall’altro il singolo lavoratore sprovvisto della forza contrattuale necessaria per negoziare un trattamento (non solo economico) accettabile. La contrattazione collettiva ha teso ad identificarsi come strumento regolativo dei rapporti di lavoro che hanno come idealtipo di riferimento l’operaio della grande industria di massa. La profonda trasformazione del lavoro e la disarticolazione degli assetti di mercato e della produzione hanno portato ad una crisi del paradigma di riferimento: la subordinazione. Il diritto del lavoro e la regolazione per via dell’autonomia collettiva stanno via via allargando il proprio campo di applicazione: le sfere, gli ambiti regolativi e gli strumenti adottati sono sempre più ampi ed articolati.

 

L’azione collettiva e l’interesse collettivo trovano pertanto un terreno florido in tutto il campo afferente all’area non subordinata. Il nesso, un tempo inscindibile, tra rappresentanza e contrattazione collettiva va assumendo nuove configurazioni in aree di frontiera e specifici mercati del lavoro come quelli del lavoro autonomo. Il legislatore, tramite l’art. 2 comma 2 d.lgs. 81/2015, ha deciso di affidare alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare in modo alternativo le collaborazioni in settori che presentano particolari esigenze produttive ed organizzative.

 

Osservatorio privilegiato, per cercare di delineare un quadro di sistema delle tendenze del lavoro autonomo in materia di contrattazione collettiva, è rappresentato dall’analisi dei diversi Rapporti ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia, progetto nato dieci anni fa che ha dato luce a sette edizioni annuali, sino a giungere all’ultimo Rapporto 2020 presentato nelle scorse settimane in occasione del Convegno annuale in ricordo del Professor Marco Biagi.

 

In particolare il Rapporto del 2017 contiene una parte monografica dedicata al raccordo tra legge e contrattazione collettiva alla luce dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 81/2015 in forza del quale non si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato “alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. Dall’analisi di molteplici contratti emerge come gli accordi ex. art.2 comma 2 coprono diversi settori tra cui enti di ricerca, aziende operanti nel campo della cultura, call center, recupero crediti, scuole ed università non statali, radio e televisioni private. Il rapporto mette in evidenza come le fonti analizzate coprano settori nei quali prima del Job Act era ricorrente l’uso di tipologie contrattuali flessibili, in particolare il contratto a progetto disciplinato dagli articoli 61 ss. d.lgs. n. 276/2003.

 

La maggior parte di questi accordi collettivi nazionali, oltre ad individuare l’area merceologica entro la quale è data facoltà di utilizzo della tipologia contrattuale flessibile, dispone un elenco delle figure professionali alle quali è possibile applicare il rapporto di collaborazione seppur in modo generico. Solo un’esigua parte degli accordi definisce con analiticità e precisione le figure professionali che potranno beneficiare della flessibilità offerta dalla tipologia contrattuale della collaborazione. Per quanto riguarda la formazione del collaboratore invece questa è prevista in pochissimi accordi e non sfocia mai in direttive specifiche sul come svolgere la prestazione per esorcizzare ed escludere alla radice tipologie subordinate del rapporto.

 

Particolare è il caso dell’accordo collettivo delle Tagesmutter prospettato nel Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva del 2017 ove viene previsto che gli enti gestori si impegnano a sostenere “la formazione d’ingresso […] per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione” e la formazione continua pari a 30 ore accreditata dall’Associazione Professionale Tagesmutter Domus. La particolarità risiede nel fatto che l’accordo oltre ad essere stato sottoscritto da associazioni di rappresentanza sindacale quali Felsa-Cisl è stato anche sottoscritto anche dall’Associazione Professionale Tagesmutter Domus costituita ai sensi della legge 4/2013 in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi.

 

I diversi accordi analizzati mostrano una tendenza alla qualificazione della natura del rapporto di collaborazione regolato dalle parti sociali, per definirne meglio la fisionomia rispetto alle caratteristiche del lavoro subordinato e del lavoro autonomo. Alcuni optano per una qualificazione autonoma del rapporto di collaborazione disciplinato dall’accordo collettivo; altri invece qualificano la collaborazione come etero-organizzata ai sensi dell’art. 409 c.p.c.; altri ancora non definiscono espressamente la natura del rapporto che disciplinano, salvo magari escludere espressamente la natura subordinata dei rapporti di collaborazione. Gli ulteriori ambiti regolati dalla contrattazione sono la forma e il contenuto del contratto di collaborazione, l’attività di coordinamento, l’obbligo di riservatezza e la clausola di esclusività, gli strumenti del collaboratore, il luogo e le modalità di esecuzione della prestazione, la durata, il recesso, i compensi e i diritti sindacali.

 

Ulteriori forme di lavoro autonomo che la contrattazione collettiva intercetta sono contenute nel Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia del 2018. Il rapporto mostra come, nonostante la produzione contrattuale analizzata nel corso dei diversi anni mostri segnali di vitalità, viene riscontrata una tendenza a riprodurre schemi del passato con riferimento alle collaborazioni in particolari settori che presentano esigenze produttive peculiari. La mancanza di sincronia tra l’iniziativa del legislatore e la contrattazione collettiva nel caso degli accordi economici collettivi, sembrerebbero dare la stura a ad una giuridificazione per via eteronoma delle forme di tutela del lavoro autonomo generando così una fuga dalle regole definite collettivamente.

 

Il rapporto del 2018 mostra come l’autonomia collettiva sia intervenuta per regolare specifiche fattispecie di lavoro autonomo con diverse modalità. La prima fra esse è rappresentata dagli accordi economici collettivi per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale fra le aziende mandanti ed i rispettivi agenti e rappresentanti di commercio. In questi casi il rapporto di lavoro autonomo è caratterizzato da asimmetria contrattuale tra committente e agente tant’è che l’AEC opera alla stregua di una vera e propria forma di contrattazione collettiva per riallineare il disequilibrio. La contrattazione è intervenuta integrando la disciplina legale introducendo in favore dell’agente diverse indennità di risoluzione del rapporto di lavoro, indennità premiali, assicurazioni in caso di malattia o infortunio tramite Fondazione Enasarco.

 

Altre fonti individuate dal Rapporto sono le convenzioni tra l’INPS e le organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che regolano il rapporto tra l’istituto di previdenza e i medici di medicina fiscale per lo svolgimento degli accertamenti medico-legali sui lavoratori dipendenti pubblici e privati assenti per malattia.

Altri due casi degni di nota sono rappresentati dal Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa Sanpaolo, sottoscritto dall’azienda e dalle delegazioni di Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Sinfub, Ugl-Credito, Uilca e Unisin il 1° febbraio 2017 dove l’intesa prevede la possibilità di costituire un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale e di un parallelo, contestuale e distinto, contratto di lavoro autonomo per il personale già in possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento di attività di consulente finanziario. Lo schema del c.d. ibrido bancario è volta a consentire lo svolgimento di un servizio più orientato alle diversificate esigenze della clientela e a cogliere nuove opportunità di business.

 

Infine il rapporto del 2018 mostra casi di estensione del welfare bilaterale ai lavoratori autonomi nella prospettiva di una concezione universalistica delle tutele. A fare da apripista in questo ambito è stato il CCNL studi professionali sottoscritto da Confprofessioni, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil il 17 aprile 2015, che ha esteso taluni strumenti di welfare, già in vigore per i lavoratori dipendenti, ai praticanti e ai collaboratori con partita IVA. I professionisti che versano i contributi alla bilateralità del settore in forza delle disposizioni del CCNL sono, loro stessi, beneficiari di prestazioni di assistenza, mediante una apposita gestione autonoma e separata, sulla base di coperture attivate automaticamente, senza il pagamento di somme ulteriori. Sempre il Rapporto del 2018 sottolinea di fatto come proprio nell’ambito della bilateralità e dei relativi strumenti le organizzazioni del lavoro autonomo potrebbero trovare un terreno fertile per coltivare importanti spazi di rappresentanza.

 

Dalle tendenze sin qui mostrate grazie ai diversi rapporti ADAPT emergono segni di vitalità per la contrattazione collettiva in cerca del superamento dei tradizionali steccati imposti dal paradigma della subordinazione. Il superamento delle tutele lavoristiche incentrate rigidamente su questa logica è stato oggetto di consistenti interventi da parte del legislatore dapprima con la legge n. 81/2017, poi con l’istituzione dell’equo compenso tramite l’art 19-quaterdecies del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito con legge 4 dicembre 2017, n.172 ed infine con l’introduzione dell’ISCRO, una prima forma di ammortizzatore sociale per coloro che esercitano per professione abituale attività di lavoro autonomo, tramite Legge di bilancio per il 2021(legge 30 dicembre 2020, n 178, commi 386-400).

 

Provando a leggere le tendenze dal lato delle tutele e della regolamentazione dei rapporti di lavoro si assiste contestualmente a due fenomeni. Si assiste da un lato alla crescente autonomia dei classici lavoratori subordinati derivante da diversi processi di professionalizzazione (si pensi al fatto che il lavoro agile supera l’idea dell’unità aristotelica di tempo e luogo dello spazio, con la contraddizione però di rimanere incardinato nel paradigma del lavoro dipendente come stabilito dall’art 18 dello Statuto del lavoro autonomo). Dall’altro lato si assiste invece all’estensione di alcuni strumenti propri della subordinazione al lavoro autonomo (le tendenze del legislatore su Statuto del lavoro autonomo, equo compenso ed ISCRO sembrerebbero andare in questa direzione). Le logiche di tutela così perseguite sembrerebbero uscire dalle tradizionali dinamiche sindacal-conflittuali e di relazioni industriali per entrare nell’orbita di stampo pubblicistico tramite giuridificazione per via eteronoma delle tutele del lavoro autonomo o tramite rimedi civilistici.

 

Ciononostante sembrerebbero essere presenti, seppur in via embrionale e ancora in fase di sviluppo, nuove istanze e modalità di ricomposizione della rappresentanza che esulano dai tradizionali ambiti e che, di fronte al fenomeno della crescente professionalizzazione, attraggono sempre maggiori schiere di lavoratori. Le trasformazioni alla base di questo processo impongono un ripensamento del nesso rappresentanza-interesse collettivo-contrattazione collettiva. Si scorge infatti un cambiamento nelle logiche di azione e nei tradizionali strumenti del fare sindacato e rappresentanza che vanno al di là della ormai desueta divisione tra subordinati ed autonomi (A.Supiot, Lavoro autonomo e lavoro subordinato, Diritto delle relazioni industriali, 2, 2000, pp. 217-239) e che cercano di costruire i presupposti di sviluppo, tutela, sicurezza, libertà dalla persona indipendentemente dallo status giuridico con cui una della attività umane per eccellenza, il lavoro, venga compiuta.

 

Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

 

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