Il contratto di ricollocazione: prospettive operative

Il decreto legislativo attuativo della legge 183/2014 sulle “tutele crescenti” istituzionalizza la proposta del Senatore Ichino riguardante il “contratto di ricollocazione”.
Si tratta di un sistema sperimentale (finanziato con soli 40 milioni di euro, sicchè riguarderà, con un voucher medio ipotetico di 1500 euro poco più di 26000 lavoratori) di accordo asseritamente pubblico privato.
In realtà, il sistema previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo appare piuttosto un sistema di finanziamento pubblico alle agenzie per il lavoro private, estremamente suggestionato dalla chimera del “compenso a risultato”, cioè dal riconoscimento alle agenzie della possibilità di fare proprio il voucher di ricollocazione nominalmente spettante al lavoratore, se reinserito in un’attività lavorativa.
L’articolo 11 prevede che presso l’Inps si istituisca un “Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria”, finanziato con la dotazione finanziaria del Fondo delle politiche per il lavoro operante presso il Ministero del lavoro, ai sensi dell’articolo 1, comma 215, della legge 147/2013. Il finanziamento per il 2015 sarà di 18 milioni, più altri 32 derivanti dal contributo previsto dall’articolo 31, comma 2, della legge 92/2012 e di 20 milioni per il 2016.
 
L’Inps farà da gestore ed erogatore materiale delle risorse finanziarie. Ma, i soggetti attuatori saranno altri: i centri per l’impiego e le agenzie per il lavoro.
Sul piano soggettivo, il contratto di ricollocazione era stato ideato come istituto di politica attiva, finalizzato ad aiutare i lavoratori disoccupati.
La circostanza che la sperimentazione avvenga nell’ambito della disciplina dei licenziamenti, fa sì che detta sperimentazione riguardi non qualsiasi lavoratore disoccupato, bensì solo “il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223”.
Il lavoratore che si trovi in queste condizioni soggettive acquisisce il diritto effettuare il primo passo: ricevere dal centro per l’impiego territorialmente competente un “voucher”, il diritto, cioè, a ricevere servizi di ricerca attiva di lavoro per la ricollocazione corrispondenti alla somma rapprsentata nel voucher o “dote individuale”. Tale importo, sarà commisurato alla definizione del “profilo personale di occupabilità”: dunque, inversamente proporzionale alla difficoltà di ricollocazione.
 
Si può presupporre, allora, che i centri per l’impiego dovranno verificare non solo i requisiti soggettivi ai fini del rilascio del voucher, ma anche determinare il profilo di occupabilità, per stabilire il valore della dote.
Ammesso al beneficio, il lavoratore potrà “spendere” il voucher presso un’agenzia per il lavoro pubblica o privata accreditata, secondo quanto dal decreto legislativo attuativo della legge 183/2014 che si occuperà di ridisciplinare le politiche attive per il lavoro. Con tali agenzie, il lavoratore avrà il diritto di sottoscrivere il contratto di ricollocazione che prevede:

  1. il diritto del lavoratore a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’agenzia per il lavoro;
  2. il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’agenzia stessa di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
  3. il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’agenzia nelle iniziative da essa predisposte.

 
L’agenzia potrà incassare l’ammontare del voucher solo a seguito del “risultato ottenuto”; tale risultato sarà definito dal decreto legislativo attuativo della legge183/2014 in tema di politiche del lavoro.
Mancano ancora, come si nota, elementi importanti per un’analisi completa dell’istituto, in particolare gli importi minimi e massimi, i dettagli operativi, i criteri per la fondamentale profilazione del lavoratore, la determinazione di quali saranno i “risultati” ottenuti i quali le agenzie potranno incassare dall’Inps l’importo del voucher.
 
Di certo si coglie il fascino che sta esercitando da qualche tempo (lo si è constatato, rilevando un notevole insuccesso, anche per la Garanzia Giovani) il criterio del “pagamento a risultato” del soggetto che svolge le politiche attive in favore del lavoratore.
In termini astratti, in effetti, non ci sarebbe nulla di strano a legare il pagamento di una prestazione al risultato: è, sostanzialmente, il sistema di remunerazione dei prestatori di servizi e degli appalti. Nel caso della ricerca di lavoro può ritenersi che la ricollocazione (che ovviamente dovrà avere requisiti di durata e tipologia di contratto, per essere considerata soddisfacente) presso un datore di lavoro costituisca il risultato principale.
Tuttavia, la ricostruzione delle politiche del lavoro in questi termini, soprattutto se le azioni di supporto al lavoratore sono affidate in via esclusiva alle agenzie per il lavoro, non appare soddisfacente. La ragione è molto semplice: si prevede la remunerazione solo a risultato, perché si dà per scontato che i costi “di processo” (l’accoglienza, il colloquio iniziale, la sottoscrizione del contratto, la ricerca congiunta di lavoro, la predisposizione di programmi formativi, ecc…) l’agenzia li sostenga comunque, sicchè il “rischio di impresa” delle attività preparatorie alla ricollocazione sia ridotto al minimo.
In effetti, tuttavia, le cose non stanno esattamente così. Le agenzie sono chiamate a svolgere la propria funzione nell’ambito di un “mercato” ristretto, quello, cioè, della propria clientela. La realizzazione di attività di processo finalizzate alla ricollocazione è remunerativa solo nella misura in cui esista elevata possibilità di ottenere dall’azienda cliente la remunerazione derivante dalla somministrazione, oppure dalla ricerca e selezione. Il che lascia comprendere come le agenzie saranno portate a rivolgere le proprie attenzioni ai lavoratori a più elevata potenzialità di ricollocazione, in base, ovviamente, alla rete di relazioni e di clienti di ciascuna agenzia.
 
Di fatto, ancora, il contratto di ricollocazione si avvicina molto a quello che il d.lgs 276/2003 prevede a beneficio delle imprese: un sistema personalizzato ed avanzato di ricerca e selezione, rivolto, in questo caso, non all’impresa, ma al lavoratore, che si deve impegnare anche nelle attività di ricollocazione necessarie per poter essere ricollocato.
Allora, sarebbe opportuno chiarire le cose come stanno realmente: si introduce ufficialmente il concetto che il lavoratore paga per la ricerca di lavoro. Solo che, invece di pagare il lavoratore, sarà lo Stato ad erogare alle agenzie il finanziamento. E le agenzie potranno, dunque, puntare sulla possibilità di ottenere una doppia remunerazione: il pagamento a risultato col voucher del lavoratore, oltre al pagamento da parte delle imprese per la ricerca e selezione o la somministrazione.
Illustrato in questi termini più concreti e, se si vuole, crudi, si comprende che le agenzie saranno certamente allettate dalla possibilità di ricevere remunerazione anche per l’attività svolta a beneficio dei lavoratori, che è il vero succo di novità. E saranno indotte ovviamente ad operare bene ed efficacemente, poiché il loro pagamento sarà condizionato al raggiungimento della ricollocazione.
 
Questo, tuttavia, lo si ribadisce, non potrà mettere al riparo da comprensibili atteggiamenti speculativi, volti a privilegiare contratti di ricollocazione rivolti a lavoratori con profili di ricollocazione sostanzialmente facili, in modo da azzerare quanto più possibile il costo di processo e massimizzare la remunerazione al risultato. Ciò, ovviamente, non ha molto a che vedere col sistema di politiche attive per il lavoro, che, abbinato al sistema di protezione del lavoratore discendente dalla Costituzione, dovrebbe avere carattere universale. Certo, è un aiuto al privato chiesto dal sistema pubblico, caratterizzato dalla particolare intensità della ricerca di lavoro. Ma, non dimentichiamo che in un Paese nel quale nei servizi per il lavoro pubblici si investono 500 milioni, contro i 9 miliardi della Germania, non possono essere ovviamente idee come il contratto di ricollocazione lo strumento sufficiente a colmare il vuoto di servizi necessari per aiutare i cittadini nella ricerca di lavoro.
 
Infine, non si può fare a meno di notare che il decreto legislativo attuativo della legge 183/2014 costruisca il contratto di ricollocazione attribuendo un ruolo, magari marginale, ai centri per l’impiego, proprio nella stessa fase nella quale la legge di stabilità per il 2015 manda in soprannumero 20.000 lavoratori delle province, tra i quali sono da comprendere i 7000 operatori dei centri per l’impiego citati prima. Sottolineare l’intempestività, se non proprio l’incoerenza, del Governo è il minimo. E’ vero che l’articolo 11 del d.lgs qui analizzato non si può considerare direttamente operativo e che risulta necessaria l’approvazione del d.lgs che disciplinerà le politiche attive per il lavoro, nell’ambito del quale vi sarà, probabilmente, la costituzione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione.
 
Tuttavia, da qui alla costituzione del Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria presso l’Inps, alla definizione dell’operatività del sistema, alla costituzione e funzionamento dell’Agenzia, ovviamente passeranno ancora mesi. Nel frattempo è evidente che quanti più dipendenti dei centri per l’impiego delle province a decorrere dall’1.1.2015 cercheranno di ricollocarsi presso altre amministrazioni, col rischio che più passa il tempo, più si depauperi il già ridottissimo numero di addetti ai servizi pubblici per il lavoro.
 
Meglio sarebbe se il Governo chiarisse una volta e per sempre che gli addetti ai centri per l’impiego, pur essendo coinvolti nel soprannumero dei dipendenti provinciali, non dovranno ricollocarsi presso regioni e comuni o altre amministrazioni statali, perché destinati da ora all’Agenzia e, dunque, chiamati nelle more dell’attuazione di questa complessa ridda di riforme a continuare a svolgere le proprie funzioni presso i centri per l’impiego
 
Luigi Oliveri
Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità
Provincia di Verona
@Rilievoaiace
 
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Il contratto di ricollocazione: prospettive operative