Verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile? Il nodo della qualificazione dei lavoratori

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Bollettino speciale ADAPT 4 marzo 2021, n. 2

 

La transizione ecologica non è certamente una sfida nuova per i Paesi europei: sviluppo economico, coesione sociale e sostenibilità ambientale sono impegni formalmente sanciti nei trattati, che impegnano altresì le istituzioni europee ad assicurare la coerenza tra le politiche adottate in questi ambiti e tra queste e le altre politiche dell’Unione. Una strategia europea per lo sviluppo sostenibile è stata lanciata già nel 2001 e poi ripetutamente rivista.

 

Il 2015 ha tuttavia segnato una svolta a livello mondiale: in occasione della 70ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, i leader mondiali hanno adottato un nuovo quadro globale per lo sviluppo sostenibile, noto come “Agenda 2030”, incentrato su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). L’Unione Europea si è impegnata a fare da apripista, nel rispetto del principio di sussidiarietà, orientando tutte le sue politiche al perseguimento degli OSS, già in larga parte integrati in numerose politiche dell’UE.

 

Nel 2019, con il Green Deal la Commissione Europea ha lanciato un insieme di misure volte ad azzerare le emissioni nette di gas serra nell’Unione entro il 2050. Il Green Deal è al momento sostenuto, oltre che attraverso il metodo aperto di coordinamento – cui è affidata anche l’integrazione con le iniziative nell’ambito delle politiche dell’occupazione, della protezione sociale e dell’istruzione – da una forte mobilitazione di investimenti attraverso lo strumento del Sustainable Europe Investment Plan, cui si aggiungono il Just Transition Mechanism e il Just Transition Fund. Sul piano legislativo, invece, è stato compiuto un primo passo importante con  la proposta di regolamento della Commissione (c.d. Legge europea sul clima) presentata il 4 marzo 2020, che ha l’obiettivo di adottare un quadro giuridico vincolante integrato per la riduzione irreversibile e graduale delle emissioni di gas serra ed il loro assorbimento e, laddove adottato, impegnerà sia l’Unione, sia le autorità nazionali in una intensa attività normativa.

Nell’orizzonte dello sviluppo sostenibile si colloca anche l’ European Pillar of Social Rights, documento con valore di soft law, che contiene però importanti input regolativi  soprattutto sul fronte dei diritti connessi alle opportunità di accesso al mercato del lavoro e al sostegno nelle transizioni occupazionali.

 

Con il programma di investimento denominato Next Generation EU, l’Unione Europea si è ora posta l’ambizione di avviare un processo di trasformazione senza precedenti in direzione della transizione verde e digitale, che consenta al contempo di recuperare competitività e rinnovare il modello sociale europeo.

Per accedere alle risorse messe a disposizione dall’Unione nell’ambito di tale programma (c.d. RRF – Recovery and Resilience Facility), gli Stati membri sono chiamati a presentare proposte di Piani nazionali di ripresa e resilienza, strutturate coerentemente con gli obiettivi del Green Deal e con le raccomandazioni specifiche per ogni Paese espresse nel processo del Semestre europeo.

 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano è in questi giorni al centro di un importante dibattito: crescita inclusiva e coesione sociale e territoriale, accanto alla transizione verde e digitale, sono i pilastri fondamentali su cui dovranno poggiare la programmazione e il contenuto dei PNRR, che adotta altresì tre priorità trasversali: empowerment femminile e contrasto alle discriminazioni di genere, accrescimento delle competenze, della capacità e delle prospettive occupazionali dei giovani,  riequilibrio territoriale e sviluppo del Mezzogiorno.

 

Non è ancora chiaro come sarà perseguito l’obiettivo di accompagnare con adeguate politiche del lavoro la transizione ecologica e digitale: ciò che si auspica è che emerga una logica di sistema rispetto agli obiettivi e alle misure definiti nell’ambito delle politiche del lavoro, quelli previsti nell’ambito della innovazione e della digitalizzazione, e gli interventi proposti nell’ambito della rivoluzione verde e della transizione ecologica.

Monito, questo, da tempo formulato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (si veda il rapporto Greening with jobs) e dalle istituzioni europee.

 

Tra le aree prioritarie di intervento c’è un tema ad oggi non sufficientemente presidiato, quello della qualificazione e riqualificazione professionale dei lavoratori e dell’accompagnamento professionale nelle transizioni occupazionali complesse che saranno innescate dalla transizione ecologica. Un tema che non può essere affrontato nell’ambito del ristretto perimetro delle politiche attive, ma richiede una nuova visione dei mercati del lavoro e delle tutele per i lavoratori, che non trascuri il ruolo cruciale delle parti sociali con particolare riferimento all’assunzione di una forte responsabilità in materia di individuazione, sviluppo e riconoscimento delle competenze chiave per la transizione in atto.

 

Lilli Casano

ADAPT Research Fellow

@lillicasano

 

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