Verso la creazione di un’assicurazione Europea contro la disoccupazione

“È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”. Seguendo questo famoso aforisma di Albert Einstein, si è spesso ripetuto negli ultimi anni come anche questa crisi dovesse essere vista come un’occasione di cambiamento, a livello nazionale come a livello internazionale e, non ultimo, a livello europeo. Se molte cose sono cambiate negli ultimi anni a Bruxelles in seguito alla crisi (si pensi all’istituzione di un fondo permanente salva-stati, il MES, o alla creazione dell’Unione Bancaria), i dati allarmanti e purtroppo ormai a due cifre sulla disoccupazione nel Continente dimostrano come questo non basti. Qualcosa deve cambiare anche sul fronte sociale.
 
Le competenze sociali dell’Unione europea sono notoriamente assai più limitate di quelle economiche. Negli ultimi mesi, tuttavia, qualcosa si è mosso anche in questo campo, lasciando intravedere la possibilità di creare un fondo europeo di assicurazione contro la disoccupazione.
L’idea nasce dall’incapacità di alcuni sistemi nazionali di stabilizzare l’economia in caso di forti shock, con pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale. Dolls et al. calcolano che, mentre i sussidi di disoccupazione in Germania e in Francia stabilizzano i redditi all’incirca del 25-30% in caso di recessione, il sistema italiano soltanto il 5%.
 
In un sistema integrato come quello europeo, l’incapacità di rialzarsi rapidamente di un’economia è un problema anche per la crescita in altri Paesi, date le interconnessioni finanziarie e commerciali esistenti tra gli stati. Economisti della Commissione europea (cfr. Jan in ‘t Veld, Fiscal consolidations and spillovers in the Euro area periphery and core, 2013, Economic Papers 506) stimano come, a seconda del grado di connessione, queste ricadute negative possono ammontare ad un punto e mezzo/due punti e mezzo di minor crescita.
 
Attualmente le proposte in discussione per superare questa inefficienza sono due. La prima è quella del Prof. Dullien che propone di elevare al livello sovranazionale gli attuali sistemi nazionali. L’idea è di creare un super Istituto europeo di previdenza nel quale convergerebbero i contributi sociali di tutti i lavoratori della zona euro. In caso di perdita del lavoro, gli stessi lavoratori, se eleggibili, riceverebbero un sussidio per 12 mesi pari al 50% del loro stipendio. I parametri sarebbero da fissare come una sorta di minimo comune denominatore tra i paesi della zona euro, lasciando ad ogni Paese la possibilità di prolungarne la durata o garantire un’allocazione più generosa.
 
Il grande vantaggio di questa proposta sta nel suo potere simbolico, dal momento che rappresenterebbe uno strumento in cui tutti i cittadini europei potrebbero immediatamente identificarsi. Il prezzo da pagare per questa visibilità è però alto dal momento che uno strumento simile richiederebbe la creazione di un nuovo sistema comune per la gestione di questa assicurazione europea contro la disoccupazione che andrebbe a sommarsi a (e non a sostituire) quelle nazionali. La prospettiva di una sostituzione completa è, infatti, da considerarsi troppo lontana data l’attuale estrema differenziazione tra sistemi di welfare europeo e l’estrema delicatezza politica di questi temi a livello nazionale.
 
Di qui la proposta alternativa lanciata dal Centre for European Policy Studies di lasciare i sistemi nazionali invariati e istituire invece un fondo di riassicurazione fra assicurazioni nazionali (cfr. M. Beblavý, D. Gros, I. Maselli, Reinsurance of National Unemployment Benefit Schemes, 2015, CEPS Working Document No. 401). Questa seconda idea parte da un presupposto opposto rispetto a quella precedente: il ruolo dell’UE sarebbe non di intervenire con un piccolo contributo qualunque recessione, ma di intervenire con un contributo sostanziale solo nelle crisi gravi. Grazie a questo meccanismo, il Paese in crisi, soggetto con buona probabilità a pressioni anche sui mercati finanziari, non si troverebbe costretto a tagliare la spesa per i sussidi proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno, perché questa sarebbe finanziata dal fondo europeo.
 
Il fondo è pensato per intervenire solo in caso di catastrofe sul mercato del lavoro, dove per catastrofe si intende un aumento della disoccupazione ben oltre il livello medio del lungo periodo. Questo fondo di riassicurazione si costituirebbe dietro versamento di quote annuali per ogni Paese (e non per ogni lavoratore), aggiustate ex post in base all’utilizzo in modo da evitare redistribuzioni permanenti dai paesi virtuosi ai paesi viziosi.
Oltre all’efficienza operativa e il principio ispiratore, l’opzione della riassicurazione dei sistemi nazionali, ha un ulteriore vantaggio: è più facile da accettare politicamente dal momento che, negli ultimi 30 anni, tutti i Paesi hanno affrontato almeno una crisi catastrofica: non solo la Spagna oggi con i suoi 5,7 milioni di disoccupati, ma anche la Germania dopo la riunificazione e la Danimarca a metà Novanta avrebbero chiesto ed ottenuto un aiuto dal Fondo europeo se fosse esistito all’epoca.
 
Al di là delle sottigliezze tecniche, la domanda del momento è: quante chance hanno queste idee di trasformarsi effettivamente in politiche comunitarie in un orizzonte temporale ragionevole? È assai difficile a dirsi: da un lato la sensazione nei circoli di Bruxelles è che mai un’idea di questo tipo è stata così presa sul serio. Il precedente Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione László Andor ne aveva fatto la sua priorità. Dall’altro però il ricambio al Parlamento e alla Commissione in seguito alle ultime elezioni non gioca a favore della proposta dal momento che passeranno mesi prima che i nuovi Parlamentari e membri dei gabinetti dei Commissari la facciano propria.
 
La speranza è che davanti all’evidenza dei dati qualcosa si muova. Grazie ad un meccanismo sovranazionale (finanziato con un ammontare dell’ordine del 1½-2½ % del PIL), gli economisti del Fondo Monetario Internazionale (cfr. D. Furceri, A. Zdzienicka, The Euro Area Crisis: Need for a Supranational Fiscal Risk Sharing Mechanism?, 2013, IMF Working Paper) stimano che sarebbe possibile raggiungere una stabilizzazione del ciclo economico pari a quella esistente in molti Paesi federali organizzati, come la Germania o gli Stati Uniti. Un risultato che non solo permetterebbe di ripartire in modo più equo i pesanti costi economici delle crisi economiche, ma che permetterebbe di rafforzare ancora di più il progetto europeo.
 
Alessandro Giovanni @AleGiov‪
Ilaria Maselli @IlariaInBxl
Ricercatori al Centre for European Policy Studies di Bruxelles
 
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