Un Green pass senza pace

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Bollettino ADAPT 18 ottobre 2021, n. 36

 

Nella travagliata storia del Green Pass si segnala un’ultima novità normativa. L’art. 3 del decreto-legge 8 ottobre 2021 n. 139 ha introdotto alcune  «disposizioni urgenti  in  materia  di  verifica  del  possesso  delle   certificazioni verdi COVID-19 nei settori pubblico e privato».

 

Si tratta in realtà di un decreto omnibus, all’interno del quale si trova un po’ di tutto, compresa la revisione dell’organico necessario all’efficientamento della struttura del Ministero della Salute.

 

La definizione giornalistica di «decreto capienze», che allo stesso è stata attribuita, fa dunque torto al suo contenuto, in quanto non si limita a rivedere le quote percentuali di accesso alle attività ancora sospese o parzialmente fruibili a causa della perdurante emergenza sanitaria.

 

L’attenzione degli operatori, tuttavia, si concentra ancora una volta sull’introduzione di una norma di “alleggerimento” sulla faticosa gestazione del Green Pass. L’art. 3, infatti, introduce un art. 9-septies alla legge 17 giugno 2021,  n. 87, prevedendo che «nei settori pubblico e privato […] in caso di richiesta da  parte del datore di lavoro, derivante da specifiche esigenze  organizzative volte a garantire l’efficace programmazione del lavoro, i  lavoratori sono  tenuti  a  rendere  le  comunicazioni  di  cui al  comma 6 dell’articolo 9-quinquies e al comma 6 dell’articolo 9-septies con un preavviso  necessario   a   soddisfare le predette esigenze organizzative».

 

Va chiarito che la norma non affronta le altre problematiche evidenziate dai commentatori, prima tra tutte l’esigenza, da tanti evocata, di poter raccogliere provvisoriamente (se del caso previo consenso individuale) le date di scadenza del certificato verde dei lavoratori vaccinati. Che risolverebbe buona parte dei problemi organizzativi dei datori di lavoro, considerando la percentuale di vaccinati già raggiunta.

 

Ma va anche detto che la conoscenza preventiva di chi sarà presente o meno al lavoro in un determinato giorno/turno di lavoro è certamente utile per la programmazione del lavoro. Qualche osservazione va comunque fatta, almeno per prepararsi ad affrontare e  gestire la novità del giorno.

 

La norma introduce una disposizione a valenza disciplinare, che riconduce all’art. 2106 c.c., normalmente declinata nei regolamenti disciplinari dei vari contratti collettivi, che consente al datore di lavoro di sanzionare il lavoratore che non adempie all’obbligo di comunicare l’assenza al lavoro ovvero, si presume, di sanzionare il lavoratore che, pur avendo precedentemente comunicato la sua presenza, resta assente dal lavoro.

Coordinare la nuova disposizione con l’art.1 del d.l. 127/2021, che ha introdotto l’obbligo del Green Pass negli ambienti di lavoro, non è comunque facile né agevole.

 

Occorre anzitutto chiedersi se l’infrazione alla norma comporti le stesse «conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore» previste al comma 7 dell’art.1 del citato d.l. 127 del 21 settembre 2021, ed in particolare se tra queste conseguenze sia compresa anche l’applicazione di sanzioni disciplinari, non esclusa la sospensione dal lavoro. Se così fosse, sarebbe difficile dar torto a chi sostiene che il Legislatore avrebbe raggiunto, non si sa quanto consapevolmente – e comunque in modo surrettizio – l’obiettivo di collegare all’assenza dal lavoro non solo la mancata retribuzione ma anche la sanzione disciplinare, con le inevitabili ricadute sul lavoratore che questa misura comporta, soprattutto in relazione al potenziale, successivo, licenziamento per giusta causa.

 

Quanto al «necessario preavviso» che il lavoratore è tenuto a dare al datore di lavoro, si naviga ancora una volta a vista. Verosimilmente il legislatore ha ritenuto opportuno non commisurare il tempo del preavviso «necessario» tenendo conto delle «specifiche esigenze» che possono diversificarsi nei diversi settori e nelle singole aziende. Ma con l’effetto di consentire in tal modo, al datore di lavoro, di ampliare il termine di preavviso anche oltre il periodo effettivamente «necessario», essendo la valutazione della necessità affidata unicamente al suo comportamento di correttezza e buona fede.

 

Nell’ipotesi, ad esempio, di un commessa la cui esecuzione è prevista a distanza di 2 o 3 settimane, il datore di lavoro potrebbe chiedere al lavoratore di comunicare con lo stesso anticipo la sua presenza al lavoro, e presumibilmente non solo in un certo giorno, ma anche per più giornate lavorative, corrispondenti al tempo necessario a far fronte alla commessa. Se questa però è la ratio legis, sembra evidente che ci sia qualcosa che non va.  E soprattutto che la norma sia destinata ad alimentare altre polemiche.

 

A monte della questione, tuttavia, dovremmo cominciare ad interrogarci anche sui danni alla certezza del diritto che questa schizofrenica rincorsa ad utilizzare lo strumento normativo per dar risposta ad ogni richiesta, anche alla più marginale, sta creando anche in coloro che, pur non ostili allo strumento del Green Pass, ne chiedono solo una semplice applicazione.

 

Ma ci si dovrà anche interrogare sugli effetti distorsivi che si accumulano nelle relazioni sindacali e nei rapporti interpersonali in azienda, che si inaspriscono anche a causa dei continui cambiamenti di programma  e da un’ingerenza massiva del legislatore nazionale in materie che da sempre sono affidate alla contrattazione collettiva.

 

In un mondo (giuridicamente) perfetto, che non è il nostro, il Legislatore, nel caso specifico, avrebbe dovuto semplicemente disporre che l’accesso ai luoghi di lavoro è ammesso con la presentazione del Green Pass, affidando alle Autorità Amministrative e alle Forze di Polizia l’onere della vigilanza.

 

Cosi come avveniva per gli alimentaristi, fino a qualche anno fa obbligati al possesso ed al rinnovo periodico del libretto sanitario. Come ancora oggi avviene nei molti settori in cui vige l’obbligo di presentare un certificato di rientro al lavoro in caso di malattia superiore ai 5 giorni.  Così come nell’ambito scolastico vige l’obbligo di vaccinazione dei bambini per l’ammissione a scuola.

 

Tirare per la giacca il Legislatore, costringendolo a continui (ed a volte paradossali) interventi interpretativi e modificativi,  ed a surrogarsi agli accordi ed alle intese sindacali o aziendali per le quali, nella materia specifica  esiste già da un anno il “comitato aziendale covid”, non giova alla chiarezza ma ancor di più alimenta la rabbia dei facinorosi ed aumenta la difficoltà dei tanti lavoratori e imprenditori che a fronte di norme di semplice “indirizzo” troverebbero le soluzioni più adeguate, a misura della loro specifica azienda, essendo evidente che la salute non è un interesse dell’impresa, ma un bene comune a tutti.

 

In estrema sintesi, se è vero che non è possibile dare risposte semplici a problemi complessi, è altrettanto vero che è sbagliato dare risposte complesse a problemi semplici, per la cui soluzione, spesso, basta affidarsi al  buon senso di chi è chiamato ad applicarle.

 

Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow

 

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