Crisi di cooperativa: si può sospendere la retribuzione dei soci? Una voce fuori dal coro

In materia di disciplina del socio lavoratore nelle società cooperative disciplinate dalla L. n. 142/2001, la sentenza del Tribunale di Foggia, Sez. Lavoro, n. 269 del 18.1.2017, appare dirompente per il principio che da essa promana, poiché restituisce, di fatto, al rapporto associativo quella “prevalenza” rispetto al rapporto di lavoro sancita dalla legge ma mai riscontrata in concreto per via delle lacune dello stesso impianto normativo.

 

Il terzo comma dell’art. 1 della legge n. 142 del 2001, nella formulazione originaria, prevedeva che “Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte”.

 

Se già questa formulazione lasciava nettamente intravedere la volontà del legislatore di connotare di strumentalità il rapporto di lavoro rispetto a quello associativo (il rapporto di lavoro è espressamente funzionale “al raggiungimento degli scopi sociali”, nonché geneticamente subordinato al rapporto associativo), con la riforma del 2003 operata a mezzo della legge n. 30, i dubbi si dissipavano mercé l’eliminazione delle parole “e distinto”, attraverso la quale si sanciva definitivamente il collegamento genetico-funzionale unidirezionale tra il rapporto associativo e quello di lavoro (tra il contratto sociale e quello di lavoro), il quale è ulteriore rispetto al primo ma non più distinto da esso, proprio a voler confermare il confluire della sua causa negoziale in quella del contratto sociale, funzionale al perseguimento dello scopo mutualistico.

 

Preliminarmente v’è da dire che, ad avviso di chi scrive, la sentenza in commento si rivela giuslavoristicamente discutibile, oltremodo scarna nella parte motivazionale ma decisamente rilevante per gli equilibri che determina tra rapporto associativo e rapporto di lavoro, del tutto in linea con la voluntas dei legislatori del 2001 e del 2003, come evidenziata poc’anzi.

 

1. La controversia.

 

La causa aveva per oggetto l’opposizione della cooperativa al precetto notificato dal socio lavoratore sulla base di una diffida accertativa ex art. 12, D. Lgs. n. 124/2004 validata dalla D.T.L. di Foggia.

 

Il credito oggetto del provvedimento della D.T.L. foggiana era riconducibile alla retribuzione del mese di gennaio 2014, non corrisposta ma “congelata” – unitamente a tutte le altre mensilità del 2014 per tutti i soci lavoratori – dall’assemblea della cooperativa, in sede di deliberazione sullo stato di crisi ex art. 6, L. n. 142/2001, con espressa previsione di apporto economico dei soci ai sensi della lett. e) del ridetto art. 6.

 

La D.T.L., adita dal socio successivamente alla mai impugnata delibera assembleare, riteneva inefficace la rinuncia di fatto operata dall’assemblea dei soci e provvedeva a emettere la diffida accertativa per la mensilità invocata.

 

Esperito invano il tentativo di conciliazione monocratica promosso dalla cooperativa presso la D.T.L. di Foggia e rigettata l’opposizione della cooperativa stessa alla Direzione Interregionale di Napoli, il socio lavoratore provvedeva a notificare il precetto, sulla cui opposizione il Tribunale di Foggia delibava mercé la sentenza in commento.

 

2. Una succinta ricostruzione della vicenda.

 

Una cooperativa di lavoro foggiana, a seguito di una serie di vicende negative legate alla generale crisi economico-finanziaria, deliberava, in data 1°.12.2014, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 142 del 2001, lo stato di crisi, prevedendo nel piano triennale, tra le altre misure funzionali a superare il momento di difficoltà, il “congelamento” del pagamento delle retribuzioni del 2014, rimaste sospese per tutti i soci lavoratori.

 

L’assemblea deliberava lo stato di crisi così come proposto dal C.d.A. con il voto favorevole di tutti i soci, fatta eccezione per un dissenziente e un assente.

 

La delibera non veniva mai impugnata.

 

Sennonché un socio, successivamente allo spirare del termine per l’impugnazione della delibera assembleare, adiva la D.T.L. ai sensi dell’art. 12, D. Lgs. n. 124/2004, per le retribuzioni oggetto del “congelamento”.

 

La D.T.L. adita provvedeva, così, a emettere nei confronti della cooperativa, diffida accertativa per le retribuzioni relative all’anno 2014 di spettanza del socio lavoratore ricorrente, non considerando valide le ragioni ostative rappresentate dalla cooperativa e riferite al contenuto della delibera dell’assemblea dei soci del 1° dicembre 2014; la cooperativa, dopo aver – invano – promosso  il tentativo di conciliazione monocratica, reclamava il provvedimento alla Direzione Interregionale del Lavoro di Napoli sostenendo l’inesigibilità del credito oggetto di diffida accertativa alla luce del deliberato assembleare del dicembre 2014.

 

La D.I.L. di Napoli, con un iter argomentativo ineccepibile dal punto di vista giuslavoristico, meno da quello squisitamente riconducibile al diritto delle società cooperative e alle disposizioni di cui alla L. n. 142/2001, rigettava il reclamo sostenendo, altresì, che l’assemblea della cooperativa non è annoverabile tra le sedi “protette” dinanzi alle quali i lavoratori possano disporre dei diritti quesiti, ai sensi dell’art. 2113, IV comma, c.c..

La diffida accertativa veniva, così, validata dalla D.T.L. foggiana su richiesta del socio lavoratore che provvedeva a notificarla alla cooperativa unitamente al precetto.

 

3. Considerazioni.

 

Con la sentenza n. 269 del 18 gennaio scorso, il Tribunale dauno, dopo aver semplicemente (rectius: semplicisticamente) ricostruito la disciplina per la deliberazione dello stato di crisi di cui all’art. 6, L. n. 142/2001, arriva ad affermare, sostanzialmente, che a fronte dell’esistenza di una valida delibera assembleare che dispone, ex art. 6, c. 1, lett. d) e e), L. n. 142/2001, anche sulle somme oggetto del titolo esecutivo, il credito non è dal socio lavoratore esigibile impedendo, di fatto, a quest’ultimo l’esercizio di un diritto quesito evidentemente incompatibile con la decisione validamente presa dall’assemblea (l’interessante passaggio del provvedimento in commento recita testualmente: “Ebbene, essendo stato approvato il piano di crisi, a nulla rileva che l’opposto sia stato assente o dissenziente, deve reputarsi che l’obbligo retributivo fosse sospeso e, dunque, il credito non esigibile. La conseguenza è che il precetto deve essere annullato”).

 

A ben vedere, siffatto assunto si pone in maniera diametralmente opposta rispetto all’indirizzo sin ora conosciuto e riconducibile, vieppiù, alla considerazione di sostanziale neutralità delle vicende sociali rispetto alle norme inderogabili in materia di lavoro subordinato che si applicano ai soci, in virtù del disposto di cui alla seconda parte del comma 2 dell’art. 6, L. n. 142/2001, benché, come ci insegna l’art. 1 della stessa legge, “in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore” e che arriva finanche a sostenere – in maniera inspiegabilmente contraria alla prima parte del comma 2 dell’art. 6 – un’intangibilità assoluta di taluni elementi retributivi da parte dell’assemblea deliberante lo stato di crisi (esplicativa in tal senso è Trib. Cassino, Sez. Lav., 22.10.2010 n. 1283), oltreché – relativamente alla vicenda che ci occupa – alle determinazioni delle articolazioni territoriali del Ministero del Lavoro che, adite dalle parti, avevano sempre disconosciuto la valenza impeditiva della delibera assembleare del 1°.12.2014 rispetto alle istanze, finanche esecutive, del socio lavoratore, e apre un (auspicato) squarcio applicativo nella consolidata trama della disciplina del socio lavoratore.

 

Ad ogni buon conto, appare il caso di rilevare come lo stesso Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 7/2009, avesse previsto la facoltà della cooperativa di deliberare ai sensi dell’art. 6, c. 1, lett. e) citato, purché ricorressero le tre condizioni per la valida delibera dello stato di crisi (effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari consentiti dalla legge; temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi; nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi in esame), oltreché la proporzionalità tra il sacrificio economico richiesto ai soci e la disponibilità e capacità finanziarie di questi; circostanza, quest’ultima, mai eccepita né dal socio, né addotta dalla D.T.L. di Foggia come motivazione del provvedimento di diffida.

 

In ogni caso, è opportuno ricordare come oggetto della presente riflessione sia non già la – indiscussa – capacità della delibera assembleare ex art. 6, c. 1, lett. d) e e), L. n. 142/2001 di operare una compressione dei diritti del lavoro del socio lavoratore, ma, piuttosto, la valenza impeditiva di questa delibera, anche ai sensi dell’art. 2113 c.c., 4° comma, rispetto a eventuali azioni recuperatorie del socio stesso.

 

Tuttavia, come anticipato nelle premesse, la sentenza del Tribunale di Foggia appare decisamente lacunosa dal versante delle motivazioni che hanno (o avrebbero) indotto il Giudice a statuire coraggiosamente nel senso innanzi osservato.

 

Difatti, non si evince nel provvedimento alcuna riflessione in ordine all’impatto che le decisioni assembleari – o comunque societarie – la cui regolazione è affidata esclusivamente al diritto societario, possano (o debbano) avere sulle dinamiche lavorative dei soci lavoratori, regolate, invece, dalle norme dell’ordinamento del diritto del lavoro, spesso prevalenti, poiché espressamente inderogabili, rispetto ad altre norme confliggenti, a meno che non sia il legislatore stesso a prevedere la prevalenza di una norma non lavoristica a seguito di valutazione dello specifico contesto applicativo.

 

D’altra parte, né si comprende come il giudicante avrebbe potuto motivare de iure condito la decisione, in assenza di un ambiente normativo che espressamente, in materia di società cooperative di lavoro, preveda quali tutele, compatibili con lo status di socio, estendere al socio lavoratore subordinato e quali, invece, allo stesso precludere, soprattutto in situazioni di conclamate crisi aziendali, sancite con le formalità previste dall’art. 6, comma 1, lett. d) della legge n. 142/2001.

 

È del tutto evidente che il Giudice pugliese, ancorché implicitamente, abbia operato – in assenza di specifico supporto normativo – il vaglio di compatibilità imposto dal dettato dell’art. 1 della legge n. 142/2001 e stabilito, nel caso di specie, che l’esigibilità di un credito (e, pertanto, l’esercizio di un diritto quesito) di un lavoratore subordinato fosse, giustappunto, incompatibile, nel caso di specie, con lo status di socio che caratterizza lo stesso lavoratore.

 

Rispetto alla volontà dei legislatori del 2001 e del 2003, questa modalità di restituzione di centralità al rapporto associativo rispetto al rapporto di lavoro – seppur apprezzata, finanche auspicata – non può, a ben vedere e per evidenti ragioni legate alla certezza del diritto, che costituire una mera “stampella giurisprudenziale” piuttosto che la via per una risoluzione strutturale dell’annoso problema (dallo scrivente precedentemente affrontato in Libere riflessioni sul socio lavoratore al tempo della crisi, Working Paper n. 6/2016, in www.bollettinoadapt.it) del vaglio di compatibilità che, invero, andrebbe risolto dal punto di vista legislativo o, al limite, pattizio attraverso la certificazione del regolamento interno della cooperativa, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 6, L. n. 142/2001, 83, D. Lgs. n. 276/2003 e 2113 c.c..

 

Massimiliano Maggio

Avvocato giuslavorista

Responsabile Ufficio Legislazione Lavoro Legacoop Puglia

 

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