Tempestività del procedimento disciplinare: immediata deve essere la contestazione

Ai fini della legittimità del procedimento disciplinare, è sufficiente che il datore di lavoro comunichi al dipendente la volontà di procedere disciplinarmente appena viene a conoscenza dei fatti, potendo contestualmente sospendere il relativo procedimento in attesa di avere maggiori informazioni all’esito del giudizio penale in corso sui medesimi fatti. Ciò in quanto il ritardo nel procedimento disciplinare non comporta, di per sé, l’illegittimità del provvedimento che potrebbe venire irrogato all’esito del procedimento stesso, dovendosi valutare in concreto se vi sia stata o meno una lesione del diritto di difesa del ricorrente.

 

Tale principio è stato di recente espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione, 5 dicembre 2016, n. 24796, che ha esaminato la seguente fattispecie:

  • nel marzo 2012, il datore di lavoro veniva a conoscenza, a seguito di notifica alla società (quale persona offesa dal reato) della citazione a giudizio di un proprio dipendente, di alcuni fatti da quest’ultimo posti in essere negli anni 2008-2010 (si trattava, tra l’altro, di abusivo accesso alla posta elettronica di colleghi, con attribuzione di falsa identità e diffusione dati sensibili privati in ambito aziendale);
  • il datore di lavoro comunicava immediatamente al lavoratore di voler procedere disciplinarmente e contestualmente sospendeva il procedimento disciplinare in attesa di avere maggiori informazioni;
  • a distanza di oltre un anno, nel maggio 2013, il datore inviava la vera e propria contestazione disciplinare al lavoratore, avendo nel frattempo avuto una più precisa conoscenza della condotta di quest’ultimo a seguito del dibattimento avvenuto in sede penale;
  • all’esito del procedimento disciplinare il lavoratore veniva quindi licenziato per giusta causa.

Nonostante i primi due gradi di giudizio avessero confermato la legittimità del licenziamento, il lavoratore ricorreva in cassazione eccependo la violazione dell’art. 7 Stat. Lav. per la tardività della contestazione disciplinare.

 

Come è noto, il principio di tempestività della contestazione disciplinare non è espressamente previsto dal citato art. 7 ma è inerente all’obbligo del datore di lavoro di comportarsi secondo buona fede. In particolare, tale principio prevede che “la contestazione deve essere caratterizzata da immediatezza, per consentire al lavoratore incolpato l’effettivo esercizio del diritto di difesa mediante l’allestimento del materiale difensivo, dovendosi anche considerare il ‘giusto affidamento’ del prestatore, nel caso di ritardo nella contestazione, che il fatto incriminabile possa non avere rivestito una connotazione disciplinare, dato che l’esercizio del potere disciplinare non è un obbligo per il datore di lavoro, bensì una facoltà” (tra le tante, si veda Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2003, n. 16754).

 

La pronuncia in esame ha ribadito il tradizionale principio per cui la tempestività della contestazione disciplinare non è da intendere in senso assoluto, ma deriva da una valutazione caso per caso e in concreto circa la violazione del diritto di difesa del dipendente (nello stesso senso si era già espressa anche Cass. n. 5751/1997, citata dalla sentenza in esame, e successiva giurisprudenza).

 

Il punto interessante è quello della “tecnica” usata dal datore di lavoro, il quale, al primo emergere della notizia, ha attivato il procedimento disciplinare e contestualmente ha sospeso il procedimento stesso, in attesa di acquisire gli elementi conoscitivi di colpevolezza di cui allo stato non disponeva. Nella motivazione della Suprema Corte, è stata considerata legittima la tecnica utilizzata dal datore di lavoro che ha preventivamente informato il dipendente “dell’apertura del procedimento disciplinare a suo carico in relazione a quanto appreso circa i fatti-reato per i quali era stato tratto a giudizio con l’esercizio dell’azione penale”, poiché così il datore di lavoro aveva manifestato “in concreto ed inequivocamente, la volontà di non abdicare alle sue prerogative datoriali, in attesa della definizione del procedimento penale”.

 

Si tratta, pertanto di una massima molto interessante perché permette chiaramente al datore di lavoro di differire il procedimento disciplinare, anche per anni, in attesa dell’esito del giudizio penale sui fatti contestati: il presupposto, però, sembra essere una chiara comunicazione preventiva al dipendente dell’intenzione di procedere disciplinarmente, appena la società viene a conoscenza dei fatti in questione.

 

Ovviamente, bisognerà valutare attentamente, caso per caso, il contenuto e l’opportunità di tale preventiva contestazione disciplinare, che dovrà espressamente indicare la sospensione del procedimento e la riserva di procedere in un secondo momento alla completa e specifica contestazione dei fatti.

 

Federico Ubertis

ADAPT Professional Fellow

 

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