Tavoli, (ir)rituali e piattaforme. La rappresentanza alla prova della competizione politica

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Bollettino ADAPT 22 luglio 2019, n. 28

 

L’incontro con le parti sociali voluto dal Ministro degli Interni e vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini per impostare la prossima legge di bilancio è riuscito ad innescare uno sciame polemico inusuale per un evento del genere. Le ricadute peggiori sono per le parti sociali, costrette ora a pensare i prossimi passi della sfida ingaggiata con il governo a partire dallo scorso febbraio.

 

Dal 22 di giugno (data dell’annuncio dell’invito da parte di Matteo Salvini) fino al 15 luglio, giorno dell’incontro, i commenti e le critiche avevano riguardato soprattutto le dinamiche interne alle due anime del governo, con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a sottolineare più volte la scorrettezza istituzionale, la “sgrammaticatura”, di un’iniziativa che avrebbe dovuto essere prerogativa della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Economia.

 

La presenza al tavolo dell’ex sottosegretario Armando Siri, il cui incarico è stato revocato da Giuseppe Conte dopo l’avvio dell’indagine per corruzione, ha poi trascinato anche i sindacati nel vortice polemico, con molti osservatori a domandarsi perché mai le confederazioni avessero accettato un invito tanto inusuale: orchestrato come incontro di Governo, ma poi confezionato più come incontro politico, oltretutto con l’obiettivo, o quantomeno l’effetto, di oscurare le difficoltà poste dal c.d. “Savoinigate”.

 

Si tratta però di un’accusa dallo scarso tempismo, perché la connotazione politica dell’incontro era chiara sin dall’inizio. L’incursione di Salvini non era tanto nella giurisdizione istituzionale del Ministero dell’Economia, quanto nel perimetro politico del Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi di Maio. Se poi non fossero bastati questi elementi, si sarebbe potuto fare ricorso alla memoria per ricordare come spesso nella storia recente gli annunci “mezzo stampa” di invito dei sindacati al tavolo abbiano avuto più l’obiettivo di affermare una leadership politica che quello di incardinare un reale confronto tecnico. Per Matteo Renzi la riapertura della sala Verde proclamata nel settembre 2014 era funzionale a ribadire il suo ruolo di sfidante dei sindacati. Di Maio aveva invece tentato di intestarsi il ruolo di orchestratore di un accordo sui riders, esplicitamente definiti “simbolo” di una generazione. Per Salvini invece l’obiettivo era quello di imporsi come referente politico, incamerando quel successo delle elezioni europee che non ha però espressione in parlamento e ha quindi bisogno di una continua sollecitazione dell’opinione pubblica.

 

L’intento di Salvini non era poi solo quello di fare un’incursione clandestina nel territorio dell’ormai junior partner Di Maio. Se con la Lega i sindacati hanno poco da spartire in termini ideologici, molto di condiviso hanno in termini di rappresentati, se è vero che, come ha stimato un sondaggio IPSOS, più del 26% di iscritti a un sindacato ha votato per la Lega alle elezioni europee dello scorso maggio. Salvini mirava così anche a consolidare un elettorato, riconoscendolo, oltre che a intavolare il rapporto con la rappresentanza delle imprese.

 

Se allora la natura politica e non istituzionale dell’incontro era chiara, perché le parti sociali, o quanto meno i sindacati, non si sono accordati per rifiutare l’invito, rivendicando la volontà di essere coinvolti in una sede istituzionale più appropriata e seria? Per diverse ragioni. Sarebbe stata questa una mossa che avrebbe dato adito ad accuse di remissività da parte della politica e comunque si sarebbe trattato di un messaggio molto difficile da comunicare alla base. Inoltre ha probabilmente prevalso la scelta di non rompere il fronte consolidato a partire dalla manifestazione dello scorso 9 febbraio e di giustificare quindi la presenza all’incontro con la con la natura istituzionale della convocazione.

 

La strategia è stata quindi quella di portare la sfida sul piano del merito e non su quella del metodo. È qui però che si sono osservate le differenze tra le parti sociali in quanto le istanze conferite sono state varie e diverse. È vero che i sindacati si stanno presentano con una piattaforma unitaria, ed è vero che si è registrata una convergenza anche con Confindustria sulla necessità di ridurre il cuneo fiscale per i lavoratori. Ma, come ha osservato Dario Di Vico, ancora non esiste una piattaforma tecnica che metta in comune tutte le parti sociali, e anzi questa possibilità sembra lontana.

 

La differenza più evidente riguarda però l’utilità stimata dell’incontro. Il segretario della CGIL Maurizio Landini ha messo in dubbio l’unità dell’esecutivo, chiedendosi retoricamente quanti governi esistano. Il segretario della CISL Annamaria Furlan ha parlato di attenzione ai temi posti dalle organizzazioni presenti e di bisogno di cogliere tutte le occasioni di ascolto da parte della politica, con l’effetto collaterale di dare adito a quell’immagine di “sindacati disposti a tutto” tratteggiata attorno alla compresenza di Siri. Diverse le valutazioni anche tra le rappresentanze dell’impresa.

 

Come si presenteranno quindi le organizzazioni -e quali, e quante? – al prossimo incontro già messo in calendario per il 6/7 agosto? Gli elementi sarebbero tutti sul piatto: i contenuti della piattaforma unitaria sindacale sono ormai noti, gli incontri precedenti sono stati perlopiù sterili (si pensi solo a quello del primo luglio con Conte e Di Maio) e lo sciopero generale in autunno resta all’orizzonte. Sarebbe quindi nelle possibilità del sindacato la richiesta di un confronto effettivo e istituzionalmente valido sulla prossima legge di bilancio. Il rischio è altrimenti quello che la competizione politica torni ad inasprire quella nella rappresentanza del lavoro.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

@Franznespoli

 

Tavoli, (ir)rituali e piattaforme. La rappresentanza alla prova della competizione politica
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