Tagliato il “cuneo fiscale” per i dipendenti

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Bollettino ADAPT 24 febbraio 2020, n. 8

 

Attuando quanto disposto dall’art. 1, comma 7, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il decreto-legge 5 febbraio 2020, n. 3, recante “Misure urgenti per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente“, interviene sulla riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti, introducendo, dal 1° luglio 2020, un “Trattamento integrativo dei redditi di lavoro dipendente e assimilati” (art. 1) e una “Ulteriore detrazione fiscale per redditi di lavoro dipendente e assimilati” (art. 2) per le prestazioni rese dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2020.

 

Entrambi gli istituti introdotti dal d.l. n. 3/2020 sono vincolati a specifici limiti di reddito annuale e non spettano per i redditi di cui all’art. 49, comma 2, lettera a), e all’art. 50, comma 1, a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l), del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), vale a dire che non possono essere riconosciuti a: titolari di pensioni di ogni genere, prestazioni pensionistiche e assegni equiparati; lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca (per i compensi percepiti, nei limiti dei salari correnti maggiorati del 20%); lavoratori dipendenti per le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi a seguito di incarichi (ad esclusione di quelli che devono essere riversati al datore di lavoro o allo Stato); titolari di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale (se il beneficiario non è lavoratore dipendente del soggetto erogante); titolari di uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica; collaboratori a giornali, riviste, enciclopedie e simili; membri di collegi e commissioni; collaboratori coordinati e continuativi; sacerdoti; soggetti impegnati in lavori socialmente utili.

 

Incremento retributivo mensile Limiti di reddito
100 euro da 8.174 euro a 28.000 euro
80 euro da 28.001 euro a 35.000 euro
da 80 euro a 0 euro da 35.001 euro a 40.000 euro

 

Cuneo fiscale e limiti di costituzionalità

 

Il d.l. n. 3/2020 interviene sulla scorta di una pretesa “straordinaria necessità ed urgenza” di dare attuazione a specifici interventi finalizzati a ridurre il “cuneo fiscale” (tax wedge), che può essere individuato come l’indicatore percentuale che valorizza il rapporto tra il costo del lavoro complessivo e la pressione fiscale totale sul lavoro (sia con riferimento alle imposte dirette e indirette, sia con riguardo ai contributi previdenziali) ed è stato definito dall’OCSE come il rapporto tra le imposte pagate da un lavoratore medio e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore di lavoro.

 

Rispetto al contesto regolatorio italiano, sia che si consideri il profilo fiscale, sia che si guardi a quello fiscale e contributivo insieme, le dimensioni di costo del lavoro e l’ampiezza del “cuneo fiscale” rivelano senza dubbio l’esigenza di un intervento normativo importante, dal “lato impresa” e non soltanto dal “lato lavoratore”, che il d.l. n. 3/2020 non integra neppure parzialmente.

 

Tuttavia, si fa sinceramente fatica a comprendere, specie in questa fase temporale della legislazione nazionale, la scelta del decreto legge, non riuscendo l’interprete a individuare i criteri richiesti dall’art. 77, comma 2, Cost. proprio rispetto alla straordinaria necessità ed urgenza dell’intervento normativo de quo, il quale invece avrebbe potuto trovare legittima sede in seno ad un testo legislativo di origine parlamentare o nel contesto di una riforma fiscale di ampio respiro, oppure in un decreto legislativo delegato, per una delega volta ad intervenire esclusivamente o principalmente sulla riduzione del costo del lavoro.

 

D’altra parte, la stessa errata valutazione di compatibilità costituzionale fu effettuata in occasione dell’introduzione del bonus già in vigore con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che il provvedimento in esame abroga (cd. Bonus Renzi).

 

Un ulteriore aspetto di criticità costituzionale della norma potrebbe emergere con riguardo ai soggetti esclusi dal beneficio, in relazione all’art. 3 Cost., poiché nel novero dei lavoratori non ammessi, vi sono anche determinate categorie di soggetti, come i titolari di collaborazioni continuate e continuative, i quali, sotto il profilo fiscale, non meritano un trattamento così fortemente differenziato, potendosi, peraltro, estendere il ragionamento anche agli effetti evidentemente sperequativi che si determinano a seguito dell’esclusione dal beneficio tra il reddito disponibile dei lavoratori autonomi (non agevolati) e quello dei lavoratori dipendenti (destinatari del d.l. n. 3/2020).

 

Trattamento retributivo integrativo

 

Come si accennava, l’art. 1 del d.l. n. 3/2020 prevede, a partire dal 1° luglio 2020, l’attribuzione di una somma a titolo di “trattamento integrativo”, che non concorre alla formazione del reddito ai fini Irpef (e non vale quindi neppure ai fini della contribuzione previdenziale e assistenziale), alla stregua di un credito di imposta, di importo pari a 100 euro al mese (600 euro per l’anno 2020 e 1.200 euro a decorrere dall’anno 2021), se il reddito complessivo, da lavoro dipendente o assimilato (artt. 49 e 50, TUIR), non è superiore a 28.000 euro (fermo restando l’obbligo di rapportare al periodo di lavoro il trattamento integrativo).

 

Affinché il “bonus” possa essere riconosciuto ai lavoratori interessati, l’imposta lorda determinata sui redditi deve risultare di importo superiore a quello previsto per la detrazione spettante ai sensi dell’art. 13, comma 1, TUIR, con reddito superiore quindi a 8.174 euro.

 

L’art. 1, comma 3, del d.l. n. 3/2020 fa obbligo ai sostituti di imposta di riconoscere il trattamento integrativo ripartendolo fra le retribuzioni erogate a partire dal 1° luglio 2020, nonché di verificare in sede di conguaglio l’effettiva spettanza del “bonus”. Il che lascia presumere che si tratti di una prestazione automatica, non a richiesta dei lavoratori (ad eccezione di chi ha più rapporti di lavoro a tempo parziale che si ritiene debba optare per l’uno o l’altro datore di lavoro ai fini del riconoscimento del credito).

 

Nel caso in cui dal conguaglio emerga che il trattamento integrativo non spettava, in tutto o in parte, i sostituti d’imposta devono recuperare le somme che superano i 60 euro, in quattro rate di identico ammontare, a partire dalla retribuzione sulla quale operano gli effetti del conguaglio.

Peraltro, l’art. 1, comma 4, del d.l. n. 3/2020 riconosce ai sostituti d’imposta il diritto a sfruttare il credito erogato mediante compensazione in F24 (art. 17, decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241).

 

Con il “bonus” così introdotto i titolari di un reddito annuo fino a 26.600 euro lordi hanno un innalzamento a 100 euro mensili del già esistente “bonus” mensile di 80 euro, mentre i titolari di un reddito annuo da 26.600 euro a 28.000 euro entrano per la prima volta nel campo di applicazione del “bonus” con un incremento netto di 100 euro nel prospetto paga.

 

A ben guardare, i lavoratori con reddito fino a 24.600 euro avranno un aumento effettivo di 20 euro mensili, rispetto al bonus già esistente (cd. Bonus Renzi), mentre l’incremento risulterà più elevato per i titolari di reddito da 24.601 euro a 26.600 euro, trattandosi di contribuenti che hanno percepito il bonus esistente con la prevista rimodulazione al ribasso in base al reddito.

 

L’elevazione della soglia reddituale a 28.000 euro appare comprensibile rispetto ad una analisi di sistema dell’odierno modello di tassazione dei redditi per le persone fisiche, che vede fissato a 28.000 euro il limite superiore del secondo scaglione di reddito per la determinazione delle aliquote Irpef.

 

Detrazione fiscale

 

Sotto altro profilo, l’art. 2 del d.l. n. 3/2020, prevede, per le prestazioni rese dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2020, l’attribuzione di una ulteriore detrazione dall’imposta lorda ai titolari dei redditi da lavoro dipendente o assimilato (artt. 49 e 50, TUIR), da rapportarsi evidentemente al periodo di lavoro, di importo variabile, per i redditi superiori a 28.000 euro, ma inferiori a 40.000 euro.

 

Specificamente la norma prevede una detrazione annua per il secondo semestre 2020 pari a:

– 480 euro, aumentata del prodotto tra 120 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 35.000 euro (diminuito del reddito complessivo) e 7.000 euro (per redditi da 28.001 euro a 35.000 euro);

– 480 euro (per redditi da 35.001 euro a 40.000 euro), ma la nuova detrazione spetta soltanto per la parte che corrisponde al rapporto tra l’importo di 40.000 euro (diminuito del reddito complessivo) e l’importo di 5.000 euro.

Per l’effetto, l’ulteriore detrazione fiscale decresce progressivamente fino a giungere a 80 euro mensili per un reddito annuo di 35.000 euro lordi, e il décalage prosegue fino ad azzerare del tutto il valore della detrazione per i redditi di 40.000 euro annui.

Anche in questo caso, l’art. 2, comma 3, del d.l. n. 3/2020 obbliga i sostituti di imposta ad applicare l’ulteriore detrazione, ripartendola fra le retribuzioni erogate dal 1° luglio 2020, verificandone in sede di conguaglio l’effettiva spettanza: se emerge che essa non spettava, in tutto o in parte, i sostituti d’imposta devono recuperare le somme che superano i 60 euro, in quattro rate di identico ammontare, a partire dalla retribuzione sulla quale operano gli effetti del conguaglio.

 

Profili ispettivi e sanzionatori

 

Su entrambi gli istituti introdotti dal d.l. n. 3/2020 incidono profili ispettivi e sanzionatori.

Anzitutto va richiamato il quadro sanzionatorio in materia di prospetto di paga, con riferimento alla incompletezza del prospetto paga, in quanto il datore di lavoro è punito per non aver consegnato, all’atto della corresponsione della retribuzione, ai lavoratori dipendenti, un prospetto di paga in cui devono essere indicati tutti gli elementi che compongono la retribuzione nonché, distintamente, le singole trattenute (artt. 1 e 5, legge n. 4/1953: sanzione amministrativa da 150 a 900 euro se la violazione interessa da 1 a 5 lavoratori o a un periodo fino a 6 mensilità; da 600 a 3.600 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o a un periodo superiore a 6 mesi; da 1.200 a 7.200 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o a un periodo superiore a 12 mesi).

 

Inoltre, trovano applicazione anche le sanzioni in tema di Libro unico del lavoro quando si configura una omessa o infedele registrazione (art. 39, comma 7, d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008: sanzione amministrativa da 150 a 1500 euro se la violazione interessa da 1 a 5 lavoratori o un periodo fino a 6 mensilità; sanzione da 500 a 3000 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o a un periodo superiore a 6 mesi; sanzione da 1.000 a 6.000 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o a un periodo superiore a 12 mesi).

 

Infine, quanto meno con riguardo al trattamento integrativo (art. 1, d.l. n. 3/2020), gli Ispettori del lavoro, in base all’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004, potranno adottare nei confronti del datore di lavoro inadempiente, la “diffida accertativa per crediti patrimoniali”, diffidandolo a corrispondere al lavoratore le somme che risultano accertate come crediti patrimoniali (anche non di natura strettamente retributiva, in qualsiasi modo derivanti dalla corretta applicazione delle norme).

 

Pierluigi Rausei

ADAPT Professional Fellow

Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro

Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (*)

@RauseiP

 

Marco Barbizzi

Commercialista in Fermo

Revisore legale

@BarbizziMarco

 

(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

 

Tagliato il “cuneo fiscale” per i dipendenti
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