Sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali*

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Bollettino ADAPT 19 luglio 2021, n. 28

 

1. L’indagine conoscitiva promossa dalla Commissione Lavoro della Camera dei deputati sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali dà la possibilità di accostarsi ad un fenomeno ancora ignoto alla gran parte, se non alla totalità, dei giuslavoristi. È un mondo che ci circonda, ma che mai abbiamo guardato con occhio giuslavoristico.

 

Essa è quanto mai opportuna, stanti, non solo la vastità del fenomeno, in espansione, ma anche il suo carattere variegato. Appunto per questo, acquisire precisi elementi di conoscenza del substrato economico-sociale è quanto mai opportuno prima di imboccare qualsiasi prospettiva regolatoria. E soprattutto al fine di comprendere se sia appropriato ipotizzare di estendere i principi e le tutele recentemente introdotti per i cd. riders, cioè i lavoratori addetti, tramite piattaforma digitale, alla consegna a domicilio di beni, come prospettato dal Governo in risposta all’interrogazione dell’onorevole Barzotti.

 

Quanto mai utili, anzi necessarie, sono le audizioni degli operatori del settore e dei soggetti committenti, fermo restando che non è facile l’individuazione degli interlocutori, che non possono ancora giovarsi di forme di rappresentanza consolidata (come del resto è accaduto per i riders e forse, per la verità, è consono a questi tipi di figure professionali). Appunto per questo occorre procedere con prudenza.

 

Le audizioni precedenti hanno comunque già contribuito a delineare, almeno in termini generali, i contorni della figura del “creatore di contenuti digitali” di cui ci stiamo occupando e di cui ci siamo accorti, nonostante l’effervescenza di questo mondo già dai primi anni 2000, in occasione del “nostreamday” e del relativo Manifesto, pubblicato nel dicembre dello scorso anno e contenente precise richieste di tutela degli streamer nei confronti di Twitch.

 

Mi pare che, all’interno della figura del creatore di contenuti digitali (definibile, in termini generali, come “chiunque crei contenuti da pubblicare sul web”), si possano distinguere almeno due, se non tre, categorie: gli amatoriali, cioè coloro che producono e pubblicano contenuti per hobby o per passione; assai vicino a questi, quelli definiti intermedi, cioè coloro che operano per passione, con l’obiettivo secondario di trarre redditi; i professionali, cioè coloro che producono i contenuti per professione, dai quali professionali le istanze contenute nel Manifesto sopra menzionato sono partite.

 

A me pare che, se ci occupiamo della terza (ed anche della seconda) categoria, l’accostamento alla figura dei riders (per i quali peraltro l’attuale legislazione prevede l’applicazione sia della disciplina del lavoro subordinato, che di quella del lavoro autonomo, sia pure con certe garanzie) sia fuorviante.

 

Nel nostro caso, si tratta di una vera e propria categoria professionale – ed in alcuni casi di piccola impresa – quindi collocabile nell’alveo del lavoro autonomo. Il che non esclude, anzi potrebbe richiedere, secondo le più moderne prospettazioni di tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (articolo 35 Cost.), e dunque anche al di là del lavoro subordinato, l’applicazione di uno specifico apparato di tutele.

 

Ciò avviene già tutte le volte in cui, pur nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo, uno dei contraenti sia in condizione di debolezza contrattuale nei confronti dell’altro contraente. E in questo senso si è mossa, seppure timidamente, la legge n. 81 del 2017 sulla tutela del lavoro autonomo, che non credo però sia risolutiva dei nostri problemi.

 

I problemi, denunciati in parte anche nel Manifesto, riguardano essenzialmente l’opacità delle decisioni e delle politiche adottate dalle piattaforme – non oggetto di scambio contrattuale – in ordine ai contenuti pubblicati e alle modalità di erogazione dei corrispettivi, non verificabili adeguatamente dai creatori di prodotti digitali. Uno dei problemi centrali è proprio quello del ban, e soprattutto del ban permanente, che deve essere in qualche misura regolato, chiarendone a monte, sia pure in modo non particolarmente stringente, le condizioni ma anche le procedure di adozione, che consentano al professionista un contraddittorio. Non bisogna dimenticare che in qualsiasi rapporto di durata il recesso in tronco deve essere giustificato. Qualche indicazione potrebbe in effetti essere ricavata dal Regolamento UE n. 1150/2019 in materia di equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, che prevede per i fornitori di servizi di intermediazione on line obblighi di preavviso e motivazione e un diritto di contraddittorio per il fruitore del servizio nel caso di limitazione, sospensione o cessazione della fruizione del servizio stesso. Così come opportuna potrebbe essere la regolazione dell’eventuale esclusiva. E, ma qui si travalicherebbe il campo giuslavoristico, il profilo della tutela della proprietà intellettuale e/o del diritto d’autore.

 

Non è ora il caso di andare oltre, finché non ci sarà ancora assoluta chiarezza sulla figura di riferimento – cioè sulla figura sociologica che stiamo prendendo in considerazione –, ma non si può ovviamente escludere di concepire, con meccanismi assicurativi, tutele di tipo welfaristico. Il che andrebbe nel senso dell’universalismo, sia pure differenziato, delle tutele verso cui si sta sempre più spingendo il nostro ordinamento.

 

2. La mia conclusione è che, nell’alveo del lavoro autonomo, ben può essere regolata specificamente la figura professionale del digital creator, munita delle specifiche garanzie richieste da questa forma contrattuale. Sotto il profilo evidenziato – della necessità di una disciplina specifica – ho trovato interessanti le piste normative proposte da Lombardo in una precedente audizione. Del resto, con la rapidissima evoluzione tecnologica e dei modi di organizzazione delle imprese, il legislatore sarà sempre più costretto ad una regolazione specifica di singole figure contrattuali, essendosi rivelata inadeguata la semplice dicotomia lavoratore autonomo/lavoratore subordinato.

 

Anche la creazione di un’ulteriore figura generale, quale quella del lavoro eterorganizzato, prevista dall’art. 2, d.lgvo n. 81 del 2015, applicato ai riders, figura peraltro estranea, per i motivi detti, al nostro tema, ha creato più problemi di quanti ne abbia risolto, sia per la difficoltà di distinguere tra eterodirezione (dunque subordinazione) ed eterorganizzazione, sia per la difficoltà di selezionare la disciplina applicabile. Ne è testimonianza l’ambigua decisione della Cassazione n. 1663 del 2020, ambigua non solo nell’individuazione della fattispecie, ma anche della disciplina applicabile, non risultando chiaro quali porzioni di disciplina lavoristica sarebbero applicabili al lavoro eterorganizzato. Ma è solo un esempio che porto, stante l’estraneità del lavoro organizzato dal committente rispetto alla nostra figura, a sostegno della crescente necessità di regolazioni ad hoc, ritagliate sulle caratteristiche delle singole figure lavorative.

 

Mariella Magnani

Professore emerito dell’Università di Pavia

 

*Audizione presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati – XVIII Legislatura – Indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali, 13 luglio 2021.

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