Subjectifying action: ipotesi di metodo per un Liceo Artigianale

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Quando si propone un sapere a scuola, quale tipo di pensiero stiamo sviluppando nei nostri studenti? Quando si è in un contesto lavorativo, quale tipo di pensiero viene stimolato invece? Quale modalità di pensiero desideriamo che possa svilupparsi in noi e nei ragazzi che affronteranno la realtà? Normalmente siamo portati a considerare efficace il pensiero scientifico, logico-dimostrativo, che arriva all’obiettivo prefissato attraverso un rigido percorso i cui passi sono concatenati e necessariamente consequenziali. Ma, potremmo chiederci: in realtà, le cose vanno davvero così? Quando si lavora ad un prodotto, esiste davvero un unico percorso che conduca necessariamente al risultato desiderato? Il modello elaborato da Taylor, applicato da Ford, sembrerebbe affermarlo con certezza. Per vedere ragioni e cronistoria della crisi di questo modello rimando alla lettura della recente pubblicazione di F. Seghezzi (La nuova grande trasformazione, ADAPT University Press, 2017). L’autore verso la fine di questo lavoro porta come esempio di studio sulle alternative al modello di pensiero taylorista-fordista anche il contributo di F. Böhle dal titolo Subjectifying Action’ as a Specific Mode of Working with Customers, (in W. Dunkel, F. Kleeman (a cura di), Customers at Work. New Perspectives on Interactive Service Work, Palgrave Mcmillan, 2013). Prenderemo spunto da molte delle affermazioni di Böhle per supportare la nostra indagine (liberamente parafrasando e traducendo).

 

L’autore parte dalla constatazione di come grazie all’industrializzazione nella mentalità occidentale si sia affermata l’idea secondo cui il metodo di lavoro che conduce al successo sia quello della pianificazione logico-scientifica. La parte tipicamente umana del lavoro si limiterebbe, nella mentalità comune, alla pianificazione dell’azione: la realizzazione pratica degli obiettivi di lavoro non sarebbe altro che l’esecuzione di piani e direttive preesistenti. Gli aspetti intellettuali del lavoro sono ovviamente valutati più delle capacità fisiche e pratiche, e sappiamo che dal Rinascimento perfino l’attività degli artisti sarà valutata più in base al pensiero che in base alle abilità manuali. Questa comprensione del lavoro, nota Böhle, minimizza il fatto che i processi di lavoro nella loro pratica generano spesso situazioni imprevedibili che devono essere risolte caso per caso. L’azione pianificata, razionale, ha invece come cifra del suo modus operandi il principio del “pensare prima di agire”. Data la natura sempre più complessa dei sistemi tecnologico-digitali che presiedono ai processi, è aumentata paradossalmente anche la loro imprevedibilità. Se le conoscenze teoriche specialistiche e il pensiero astratto sono sicuramente divenute più importanti non è questo ciò che costituisce l’essenza delle nuove competenze richieste ai lavoratori. Piuttosto, ciò che rende insostituibili i lavoratori qualificati è la loro conoscenza personale, basata sull’esperienza. I lavoratori esperti conoscono i materiali, i bug nelle macchine o il layout della linea di produzione. Riconoscono i malfunzionamenti mentre emergono e sanno come prevenirli. Tale conoscenza basata sull’esperienza non è più vista come un residuo morente delle tradizioni artigianali, ma piuttosto come un aspetto importante della qualificazione della forza lavoro, necessaria proprio a causa del continuo progresso tecnologico e del maggiore impiego della conoscenza scientifica.

Non solo, ma in genere le decisioni importanti in ambito lavorativo sono prese sotto la pressione di una imminente scadenza, cosa che preclude una riflessione approfondita e prolungata, oppure devono essere prese in assenza della totalità delle informazioni necessarie. Ciò fa si che quando insorgano situazioni inaspettate i testati processi di routine siano più degli handicap che delle soluzioni, poiché rendono più difficili le reazioni adattive specifiche richiesta dalla situazione.

 

La denominazione di ‘subjectifying action‘ utilizzata da Böhle sottolinea la valenza cognitiva e pragmatica dei cosiddetti fattori soggettivi come i sentimenti e le sensazioni. Richiama inoltre l’attenzione sul fatto che gli oggetti del lavoro sono percepiti come se si comportassero da non come oggetti ma come soggetti, nel senso di non essere completamente prevedibili e controllabili. Lungi dall’essere un modo irrazionale di approcciarsi questo pensiero è più definibile in termini di dialogo e interazione con la realtà. In situazioni in cui emergano irregolarità impreviste non è possibile sviluppare risposte appropriate ed efficaci attraverso la sola analisi mentale. Bisogna piuttosto scoprire attraverso l’azione pratica cosa funziona e cosa “non va” avviando un dialogo con gli oggetti rilevanti dell’ambiente e aspettando la loro risposta. Nel processo di “soggettivante” l’azione e la reazione si susseguono in un flusso costante, dirette dal principio che è possibile ottenere un risultato concreto solo «lavorando con» le circostanze e non «contro» di esse. C’è dunque una sorta di «reflection in action».

 

Per la nostra mentalità razionalistica questo tipo di pensiero è di qualità inferiore. Ma alla prova dei fatti esso invece è in grado di ottenere successo laddove non ci siano procedure standard, adottando come modalità di giungere alle soluzioni il richiamare memorie di esperienze precedenti che non vengono applicate nella corrispondenza uno-a-uno con la nuova situazione, ma piuttosto visualizzando diverse situazioni mentalmente, «as a film», confrontandole e ‘distillandole’ creativamente per interpretare situazioni impreviste.

In questo senso l’artigianalità di un lavoro o di un apprendimento non è una dimensione aggiunta ma co-appartiene alla sua natura. Perfino in matematica: ricordo la mia professoressa di liceo che ci invitava a “scrutare” un’espressione prima di “partire in quarta” per risolverla, affinché “riconoscendola” nella sua “forma” potessimo accorgerci se essa ci suggeriva già la propria soluzione in tre passaggi invece che nei sei o sette prescritti dalla procedura standard.

 

Il Liceo Scientifico delle Scienze Applicate di Cometa Formazione a Como, denominato anche Liceo Artigianale, vuole cogliere questa sfida culturale, assumendo come compito quello di ripensare la didattica degli apprendimenti facendo leva sulla capacità di interazione personale, sull’‘azione soggettivante’ e sul pensiero creativo ed esperienziale generato dalle pratiche di lavoro nei laboratori scolastici e negli stage in aziende esterne già dal secondo anno di scuola. Nella prima annualità si svolge il Progetto Terra: gli studenti sono stati investiti del compito di progettare e realizzare un orto didattico, che collabori con i settori della scuola professionale della ristorazione e del tessile, ma soprattutto che sia l’occasione per sperimentare una dimensione collaborativa di lavoro in un contesto reale. Dentro questo progetto le varie discipline si innestano per contribuire con i propri saperi e trovarvi le modalità didattiche esperienziali più generative di apprendimento. Per quanto riguarda la mia disciplina (Disegno e Storia dell’Arte) ho proposto, in collaborazione con la docente di botanica, la costruzione dei semenzai necessari alla crescita delle prime piante.

 

 

Tali semenzai sono stati progettati con un disegno in proiezione ortogonale e assonometria su ideazione degli studenti, e realizzati poi in argilla.

 

L’oggetto richiedeva di essere non solo funzionale ma che avesse anche un valore estetico calato nel brand della scuola-azienda di Cometa. Sulla fase di ideazione abbiamo pubblicato recentemente un contributo, mentre su quanto esposto sopra vorrei prendere ad esempio la fase della modellazione in argilla. L’argilla è un materiale antico come la storia dell’uomo, e porta con sé un bagaglio di millenni di sapere tecnico-artigianale. Nella lavorazione a lastre con bassorilievi si corrono molti rischi dovuti alla natura del materiale, che si ritira fino al 10% del suo volume in fase di essiccazione, fenomeno che genera la possibilità di crepe e rotture. Questo fenomeno esige una attenzione costante alle risposte che il materiale fornisce durante la lavorazione: esso infatti presenta molti indizi che ‘parlano’ all’esperienza di chi lo sa interrogare. Durante la lavorazione si sono coinvolti gli studenti nella conoscenza delle caratteristiche del materiale e nella capacità di lettura dei suoi indizi, mentre si ragionava e si ri-progettavano l’oggetto e gli strumenti per lavorarlo.

 

Per favorire lo sviluppo della mentalità di interazione personale non si è fornita una procedura standard, ma si sono stimolate tutte le domande inerenti al progetto mentre si passava dal disegno al modellino in cartone, accorgendosi solo mentre si cominciava a fare, che alcuni problemi si ponevano in modo molto difficile da prefigurare in anticipo.
La costante interazione con il materiale è necessaria per una grande quantità di fattori che vanno dal suo grado di essiccazione, alla conservazione costante dell’umidità, al mantenimento dell’uniformità della superficie e della costanza degli spessori…tenendo simultaneamente conto degli aspetti funzionali (dimensioni in relazione all’estensione delle radici, canali di scolo per evitare i ristagni)  e  artistico-simbolici (le decorazioni a bassorilievo che sono state ispirate alla cultura della scuola e del territorio e alle fonti della Storia dell’Arte).

 

I risultati sono stati pezzi unici di design, categoria di oggetti sempre più richiesta dal mercato internazionale e contemporaneamente rappresentano – come sostiene Böhle – potenti occasioni di costruzione del proprio soggetto-in-azione, cioè del proprio rapporto con la realtà.

 

Francesco Fornasieri

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@f_fornasieri

 

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