"Spazio ai privati per ridare lavoro ai giovani europei"

«Quando il governo rosso-verde di Gerhard Schröder nel 2003 varò la riforma del mercato del lavoro in Germania, i sindacati furono responsabili. Anche se ne criticavano molti aspetti non l’hanno silurata. La loro presenza nei consigli di sorveglianza, il cosiddetto sistema della Mitbestimmung, li mette a conoscenza delle reali condizioni di un’azienda. E accettano il principio che un’azienda debba far profitti. Il punto è che ogni economia sociale di mercato deve funzionare per poter generare benessere, quindi essere competitiva nelle condizioni della globalizzazione. E questo non ha nulla a che fare con la destra o la sinistra. Per poter redistribuire, bisogna creare ricchezza».
 
Peter Hartz è il padre della controversa riforma che 11 anni fa gettò le premesse della rinascita economica della Germania. Ex direttore del personale della Volkswagen, socialdemocratico da sempre, Hartz è stato accusato da sinistra di aver prodotto un nuovo precariato tedesco, fatto di piccoli lavori a tempo parziale, bassi salari e insufficiente protezione sociale. Un addebito che respinge con forza: «Avevamo 5 milioni di disoccupati e il sistema non funzionava più. Il concetto centrale della riforma fu la ragionevolezza. Fu una riforma socialdemocratica. Cos’è più importante per la dignità dell’uomo: che abbia un lavoro e un futuro, ovvero che sia un disoccupato ben pagato? Abbiamo introdotto il principio che ognuno dovesse motivare il rifiuto di un lavoro offerto dal collocamento. E se le motivazioni non erano ragionevoli, doveva accettarlo, altrimenti avrebbe perso i sussidi». Certo non tutto andò come Hartz aveva proposto. «Avevamo chiesto per esempio un’indennità minima di disoccupazione di 511 euro mensili, ma venne fissata a 359 euro». Su quella riforma, che avrebbe restituito dinamismo al mercato del lavoro tedesco, Gerhard Schröder perse le elezioni. «Passò troppo tempo spiega Hartz tra il suo varo e i risultati. Se si fosse votato un anno dopo, avrebbe vinto. Ma Schröder non poteva, la sinistra della Spd era in rivolta».
 
Oggi, a 72 anni, dopo aver superato lo scandalo che nel 2007 lo vide coinvolto nelle bustarelle pagate dalla Volkswagen ai membri sindacali del consiglio di sorveglianza, Hartz torna con un progetto nuovo e ancora più ambizioso. Si chiama Europatriates ed è un piano per combattere la disoccupazione giovanile in Europa, la piaga di oltre 5 milioni di giovani senza lavoro che rischia di perdere un’intera generazione.
 
È una proposta innovativa, resa possibile dall’analisi dei big data e dalle tecnologie più avanzate: «Si tratta in primo luogo di condurre una “diagnostica dei talentitra tutti i giovani disoccupati d’Europa, incrociandola poi con le offerte reali nei singoli Stati, in base a un nuovo software che ci permette di stabilire quando, dove e per chi c’è possibilità di lavoro». Anche il problema cruciale delle risorse sarebbe superabile in modo originale: «Parliamo di 215 miliardi di euro a livello europeo, 40 mila euro per ogni giovane disoccupato, una cifra enorme che si può mobilitare emettendo un prestito obbligazionario di tipo nuovo, finanziato da privati, fondi anche sovrani, fiscalmente detraibile.
 
Ogni impresa che assume o forma giovani riceve un credito, in modo da poter gestire il nuovo occupato senza doverlo licenziare nei momenti di bassa congiuntura. Non c’è bisogno di nuove leggi o di nuovi debiti. La Commissione Junker dovrebbe lanciarlo come programma pilota, ma ogni governo potrà applicare Europatriates, che riguarda solo chi non ha un lavoro. L’Italia secondo i miei calcoli avrebbe bisogno di 27 miliardi di euro, tutti finanziabili attraverso il settore privato».
 
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"Spazio ai privati per ridare lavoro ai giovani europei"