Sicurezza sul lavoro: leggi nuove, soluzioni vecchie

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Bollettino ADAPT 15 novembre 2021, n. 40
 
Ciclicamente, nel dibattito pubblico, torna l’attenzione sul delicato tema della salute e sicurezza dei lavoratori. La questione è divenuta pressoché dirompente a seguito delle recenti denunce sull’aumento delle morti sul lavoro, al punto di arrivare a pensare a una novella del Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008). Il Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2021 ha varato una misura di necessità e urgenza, un decreto-legge che contiene una significativa modifica degli artt. 7, 8, 13, 51 e 99 del Testo Unico Sicurezza sul lavoro (vedi P. Rausei, A. Rotella, L’INL al centro della vigilanza sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Primo commento al decreto fiscale, Bollettino ADAPT, n. 36, 18 ottobre 2021)
 
Il provvedimento, che non piace alle imprese, ha registrato una forte opposizione anche da parte di autorevoli e non sospettabili commentatori come Beniamino Deidda (B. Deidda, Sicurezza sul lavoro, un passo falso nel passato, Il Manifesto, 12 Novembre 2021) che segnalano i limiti di una visione ferma a un passato che si pensava superato con l’approvazione del Testo Unico del 2008.
 
Ed infatti, in primo luogo merita sottolineare che il legislatore ha scelto di intervenire sul problema esclusivamente ex post affidando, ad esempio, agli Ispettori del Lavoro una ulteriore attività che non rientra tra i loro consueti compiti. In particolare, così facendo non solo il risultato sarà quello di onerare ulteriormente un gruppo di professionisti già sotto-organico (e che, come è noto, è attualmente in difficoltà a seguire anche tutte quelle attività che gli sono proprie quali ad esempio i controlli sul lavoro nero, violazioni del rapporto di lavoro, legittimità delle esternalizzazioni, corretta applicazione dei CCNL), ma anche quello di incaricarli di un ruolo che mal si addice alle loro competenze e prerogative. A tal proposito, infatti, sarebbe stato auspicabile e più lungimirante coinvolgere le Autorità Sanitarie Locali (ASL) nella tutela della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro, le quali avrebbero potuto contribuire in modo efficace alla realizzazione di quelle sinergie che sempre più spesso stanno emergendo tra salute occupazionale e salute pubblica, come recentemente dimostrato anche dalla pandemia da Covid-19. Se infatti il lavoro tende progressivamente a uscire dai tradizionali contesti di lavoro per propagarsi sul territorio circostante, sembra inevitabile ripensare il sistema prevenzionistico alla luce del superamento della distinzione tra ambiente interno (alle aziende) e ambiente esterno.
 
In secondo luogo, con tale provvedimento, viene confermato come ancora oggi, tanto nel dibattito pubblico quanto nei testi di riforma normativa, il tema della salute e sicurezza sul lavoro continui a risentire di vecchie categorie che incidono soltanto (o quasi) sui rischi di tipo fisico e cioè infortuni o incidenti mortali, trascurando invece il nuovo lato del lavoro (fatto di una dimensione spazio-temporale sempre più fluida) che imporrebbe una riflessione olistica ex ante sul sistema prevenzionistico e una maggiore attenzione al tema, trascurato della salute e delle malattie professionali.
 
Ed invero, oggi più che in passato, sembra imprescindibile ripensare il sistema di tutela della salute della persona che lavora partendo dai cambiamenti in atto e ricercando una sinergia tra tutti i diversi attori che partecipano ai processi produttivi e organizzativi. A tal proposito, infatti, merita segnalare che a seguito del progresso tecnologico, delle trasformazioni socio-economiche e, da ultimo, dello scoppio della pandemia, si registra l’incremento di “nuovi” rischi (non solo fisici ma anche psicosociali) nonché di bisogni di tutela che investono nuovi lavoratori e nuovi ambienti in cui è possibile effettuare la prestazione lavorativa che richiedono, per essere identificati e prevenuti, una azione congiunta da parte di diversi professionisti della sicurezza che detengono, in virtù di precise specializzazioni disciplinari, differenti competenze e conoscenze: tecniche e trasversali.
 
Da una recente ricerca sul rapporto tra sistema prevenzionistico e trasformazioni del lavoro condotta dal Centro studi DEAL e ADAPT per conto di INAIL è emerso in modo dirompente la centralità del ruolo delle figure professionali che operano nel campo della salute e sicurezza che andrebbero potenziate mediante interventi formativi mirati e diffusione di competenze nuove. Gli interventi rivolti a tali professionisti, tuttavia, non dovrebbero essere limitati alle figure normate dal d.lgs. n. 81/2008 (a mero titolo esemplificativo: addetti alle emergenze, addetto al servizio di prevenzione e protezione, preposto, formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, addetto alla prevenzione incendi, istruttore sulle attrezzature di lavoro, istruttore macchine e attrezzature, medico competente, tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale). Piuttosto risulta fondamentale il coinvolgimento anche di nuove figure, come per esempio il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, Salute e Ambiente (RLSSA), il manager HSE, l’igienista industriale, gli psicologi del lavoro e gli auditor di sicurezza. In particolare, l’azione formativa si pone come necessaria dal momento che da più fronti sono stati evidenziati i limiti nei contenuti, nella gestione e nella organizzazione della formazione di questi professionisti. Infatti, spesso le singole figure professionali che compongono l’ampio gruppo dei professionisti della salute e sicurezza sul lavoro, non dispongono di un univoco percorso formativo e titolo di studio, che genera una diversità sostanziale e in ingresso delle competenze e conoscenze possedute dai lavoratori intenzionati a ricoprire lo stesso ruolo. Fermo restando il valore aggiunto che un gruppo interdisciplinare può apportare a una organizzazione, anche la formazione continua, finalizzata a un aggiornamento costante e necessario della loro professionalità, registra dei limiti evidenti: da un lato i contenuti trattati risultano spesso ancorati ad un concetto tradizionale di sicurezza, trascurando i nuovi rischi che emergono da contesti lavorativi fluidi, diversi dalla grande azienda su cui si basa l’impianto normativo del d.lgs. n. 81/2008; dall’altro lato, invece, le metodologie di insegnamento utilizzate, di tipo “passivo”, non comportano un apprendimento utile e duraturo.
 
Insomma, un sistema prevenzionistico non può reggere sulla sola forza deterrente della sanzione ammesso e non concesso che l’incremento delle pene possa davvero svolgere questa funzione. Altrettanto e forse ancora più importante è però dotare imprese e luoghi di lavoro dei giusti presidi di competenze e professionalità. Oltre al tema dell’identificazione di specifici standard formativi e alla definizione di chiari percorsi di aggiornamento professionale occorrerebbe insistere sulla costruzione di nuove professionalità in grado di muoversi negli ambienti di lavoro in sintonia con le molteplici trasformazioni in atto. E questo pare possibile solo ripensando i percorsi specialistici universitari secondo un maggiore e meno formalistico dialogo con gli attori dei sistemi di relazioni industriali che devono assumersi la responsabilità di guidare, anche nella costruzione sociale delle professionalità, la diffusione una nuova cultura della sicurezza. Da questo punto di vista è infatti possibile notare il paradosso per cui i professionisti della salute e sicurezza sul lavoro, che detengono competenze iper-specialistiche spesso avulse dai reali contesti di lavoro nei quali sono chiamati a incidere, risultano non essere contemplati nei sistemi delle relazioni di lavoro; viceversa, le figure aziendali poste a presidio della gestione delle risorse umane e del governo delle relazioni di lavoro all’interno delle aziende risultano spesso carenti in termini di competenze sui temi della gestione della salute e sicurezza sul lavoro. In questo panorama, al fine di creare figure professionali in grado di rappresentare il dinamismo degli attuali processi produttivi è auspicabile un ruolo maggiormente attivo delle parti sociali più prossime, rispetto alle istituzioni pubbliche, ai reali contesti di lavoro in cui si evolvono e sorgono nuove tematiche e problematiche connesse al tema della salute e sicurezza sul lavoro.
 
Giada Benincasa

Assegnista presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
@BenincasaGiada
 
Stefania Negri

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro,

Università degli Studi di Siena

@StefaniaNegri6

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