Settori e Professioni con disparità di genere per l’anno 2015: alcune riflessioni alla luce del Decreto interministeriale 22 dicembre 2014

La recente pubblicazione del Decreto interministeriale del 22 dicembre 2014 relativo ai settori e alle professioni – riferiti al 2015 – caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere (almeno 25 punti percentuali superiore alla disparità media uomo-donna) costituisce l’occasione per alcune riflessioni sull’annoso tema delle gender issues.

I settori e le professioni individuati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze rilevano – limitatamente al settore privato – ai fini della concessione degli incentivi di cui all’articolo 4, comma 11, della Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), per l’anno 2015.

 

I valori presentati sono stati previsti in base alla media annua dell’anno 2013 (dati Istat).

Il tasso di disparità medio è stato rilevato, per l’anno 2013, in misura pari al 9,5%. La soglia sopra la quale un settore e una professione sono considerati caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media annua è pari all’11,9%. I settori e le professioni che hanno registrato un tasso di disparità inferiore a tale livello non sono riportati.

 

Settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna. Anno 2013

 

SEZIONI ATECO 2007 Maschi Femmine Totale % Maschi % Femmine Tasso di disparità
Agricoltura            
Agricoltura 287 120 408 70,5 29,5 40,9
Industria
Costruzioni 868 80 948 91,5 8,5 83,1
Ind. estrattiva 29 3 32 89,2 10,8 78,5
Acqua e gestione rifiuti 183 31 214 85,3 14,7 70,7
Ind. energetica 90 27 118 76,8 23,2 53,6
Ind. manifatturiera 2.606 998 3.604 72,3 27,7 44,6
Servizi
Trasporto e magazzinaggio 710 194 903 78,6 21,4 57,1
Informazione e comunicazione 285 135 421 67,8 32,2 35,6
Servizi generali della PA 843 443 1.286 65,6 34,4 31,2

 


Professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna. Anno 2013

 

PROFESSIONI (CP2011) Maschi Femmine Totale %Maschi %Femmine Tasso di disparità
92 – Sergenti, sovrintendenti e marescialli delle forze armate 90 1 92 98,4 1,6 96,8
74 – Conduttori di veicoli, di macchinari mobili e di sollevamento 611 11 622 98,3 1,7 96,6
61 – Artigiani e operai specializzati dell’ industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici 633 16 649 97,6 2,4 95,1
91 – Ufficiali delle forze armate 35 1 36 97,5 2,5 95,1
62 – Artigiani ed operai metalmeccanici specializzati e installatori e manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche 847 22 869 97,5 2,5 95,0
93 – Truppa delle forze armate 108 6 113 94,9 5,1 89,9
64 – Agricoltori e operai specializzati dell’agricoltura, delle foreste, della zootecnia, della pesca e della caccia 114 19 133 85,8 14,2 71,5
71 – Conduttori di impianti industriali 265 44 309 85,7 14,3 71,4
31 – Professioni tecniche in campo scientifico, ingegneristico e della produzione 792 136 928 85,4 14,6 70,8
12 – Imprenditori, amministratori e direttori di grandi aziende 93 18 110 83,9 16,1 67,8
22 – Ingegneri, architetti e professioni assimilate 120 24 145 83,2 16,8 66,3
84 – Professioni non qualificate nella manifattura, nell’estrazione di minerali e nelle costruzioni 155 34 188 82,2 17,8 64,4
21 – Specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali 123 34 157 78,4 21,6 56,8
13 – Imprenditori e responsabili di piccole aziende 11 4 15 74,0 26,0 48,1
63 – Artigiani ed operai specializzati della meccanica di precisione, dell’artigianato artistico, della stampa ed assimilati 93 38 131 71,2 28,8 42,3
83 – Professioni non qualificate nell’agricoltura, nella manutenzione del verde, nell’allevamento, nella silvicoltura e nella pesca 209 93 302 69,2 30,8 38,3
72 – Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio 425 215 641 66,4 33,6 32,7
73 – Operatori di macchinari fissi in agricoltura e nella industria alimentare 50 27 77 64,5 35,5 29,0
65 – Artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari, del legno, del tessile, dell’abbigliamento, delle pelli, del cuoio e dell’industria dello spettacolo 265 164 429 61,7 38,3 23,4
11 – Membri dei corpi legislativi e di governo, dirigenti ed equiparati dell’amministrazione pubblica, nella magistratura, nei servizi di sanità, istruzione e ricerca e nelle organizzazioni di interesse nazionale e sopranazionale 53 33 86 61,7 38,3 23,3
24 – Specialisti della salute (°) 92 69 161 57,2 42,8 14,5
25 – Specialisti in scienze umane, sociali, artistiche e gestionali (°) 260 201 461 56,3 43,7 12,6

 

Analisi statistica del lavoro femminile in Italia da un punto di vista internazionale ed europeo

L’ultimo rapporto del World Economic Forum The Global Gender Gap Report 2014 ha monitorato la condizione femminile in 142 Stati che rappresentano circa il 93% della popolazione mondiale.

Tale graduatoria valuta la disparità di genere in base a quattro criteri principali: partecipazione economica e opportunità, risultati formativi, salute e sopravvivenza e potere di rappresentanza politica.

 

In questa particolare classifica l’Italia è risultata al 69° posto in base all’indicatore sintetico di disparità uomo-donna, in miglioramento rispetto al 2013 di due posizioni.

Analizzando le varie componenti dell’indicatore sintetico del gap uomo-donna, l’Italia occupa il 114° posto per la partecipazione femminile nel campo economico (era al 97° posto nel 2013), il 129° per parità salariale, il 62° per il livello di istruzione, il 70° per la salute, ed il 37° per la partecipazione politica.

 

In ambito comunitario, la Commissione europea ha adottato nel 2010 una strategia (cfr. Commissione europea, del 3 marzo 2010, Europa 2020, Una Strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed esclusiva) denominata Europa 2020 che si propone di ridurre il divario tra i sessi promuovendo l’imprenditoria femminile, l’uguaglianza salariale a parità di lavoro e altre importanti iniziative al fine di realizzare l’obiettivo, fissato appunto per il 2020, di un tasso di occupazione pari al 75% sia per gli uomini che per le donne nella fascia di età dai 20 ai 64 anni.

Secondo le statistiche più recenti (2014), il tasso di occupazione nell’UE continua a mostrare un andamento negativo e il raggiungimento del grande obiettivo di Europa 2020 richiederebbe una forte inversione di tendenza. Dall’inizio della crisi il tasso di occupazione nell’UE-28 è diminuito di circa 1,5 punti percentuali, da un picco nel 2008 al 68,4 % nel primo trimestre del 2014, inferiore di 6,6 punti percentuali rispetto all’obiettivo prefissato.

 

Passando schematicamente al dettaglio dell’evoluzione e della struttura dell’occupazione femminile in Italia, così come nel resto d’Europa, è possibile affermare che, seppur lentamente, la presenza delle donne nel mondo del lavoro ha fatto registrare una crescita pressoché costante dal dopoguerra ad oggi.

Nonostante i progressi compiuti, continuano a prevalere ampi divari di genere.

Nell’Unione europea, il tasso di occupazione femminile rimane ben al di sotto di quello maschile (il 62,8 % contro il 74 % all’inizio del 2014). Il divario è ancor più ampio in termini di occupazione equivalente a tempo pieno (18,3 punti percentuali nel 2013). Inoltre, le donne sono pagate il 16% in meno per ogni ora di lavoro. I divari di genere in termini di occupazione, di numero di ore lavorate e di retribuzione si sommano e portano ad un ampio divario di retribuzione totale tra i generi (37% nell’UE). Poiché le pensioni riflettono il reddito percepito nell’arco della vita, anche il divario di genere nelle pensioni è ampio (39% in media).

 

In Italia, nel 2013, si registra una lieve riduzione del tasso di occupazione totale (59,8 per cento rispetto al 61 per cento del 2012) e si evidenzia un allargamento della distanza dal target europeo (-15 punti percentuali). Gli squilibri di genere continuano ad essere accentuati e quelli territoriali in aumento.

Il calo dell’occupazione è quasi esclusivamente maschile. Ciò è avvenuto in modo più accentuato per tutti gli anni della crisi nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni, mentre per l’occupazione femminile, dopo il calo del 2009, si osserva una crescita nel 2011 e nel 2012. Nel 2013, con l’aggravarsi del quadro recessivo anche per le donne, si evidenzia una diminuzione dell’occupazione (-128 mila unità, pari a -1,4 per cento rispetto al 2012).

 

Nel complesso dei cinque anni della crisi, l’occupazione degli uomini si è ridotta del 6,9 per cento, a fronte di un calo dello 0,1 per cento per le donne.

Soltanto una parte dell’occupazione femminile ha però tenuto con la crisi. La quota di donne occupate continua ad essere molto bassa (il 46,5 per cento), di 12,2 punti inferiore al valore medio della Ue-28. La sostanziale tenuta registrata in Italia è il risultato di un insieme di fattori: il contributo delle occupate straniere, aumentate di 359 mila unità tra il 2008 e il 2013 a fronte di un calo delle italiane di 370 mila unità (-4,3 per cento), la crescita delle occupate con 50 anni e più per l’innalzamento dell’età pensionabile e quella di coloro che si immettono nel mercato del lavoro per sopperire alla disoccupazione del partner.

 

Allo squilibrio di genere nei tassi di occupazione del nostro Paese si accompagna anche un forte divario territoriale: nel Mezzogiorno le madri occupate sono il 35,3 per cento contro il 66,4 per cento del Nord e il 61,5 del Centro (cfr. Il mercato del lavoro negli anni della crisi dinamiche e divari, Istat, Rapporto annuale 2014, cap. 3).

 

I dati presentati evidenziano la necessità di disporre misure di riforma per incidere sulle dinamiche del mercato del lavoro, come la previsione di misure di sostegno e incentivo alla “stabilizzazione” delle lavoratrici, mediante sgravi fiscali o contributivi, da considerare alla stregua di azioni positive e quindi legittime in qualità di strumenti indispensabili alla realizzazione dell’eguaglianza sostanziale.

 

L’analisi statistica compiuta conferma che il cammino dal riconoscimento meramente formale della parità verso un’effettiva attuazione di un sistema di pari opportunità quale riconoscimento giuridico sostanziale della stessa – già prefigurato dal combinato disposto dell’articolo 3, secondo comma, e 37, primo comma, della nostra Costituzione – non può ad oggi dirsi pienamente compiuto.

 

Con specifico riguardo al mondo del lavoro, il persistente gap occupazionale che si registra tra uomini e donne (con una differenza di circa 21 punti percentuali ed un tasso di occupazione femminile che in Italia è situato attorno al 46,5%) evidenzia l’ineludibile necessità di una strategia di intervento basata sull’adeguamento del mondo del lavoro ai cambiamenti del quadro economico e sociale.

Cambiamenti, questi ultimi, che impongono un superamento di una suddivisione spesso ancora troppo rigida e tradizionale dei ruoli, che continua a vedere nell’uomo il bread-winner.

A fronte di un tale contesto, emerge chiaramente un bisogno di attuazione degli strumenti normativi e finanziari – con il coinvolgimento del sistema delle imprese e delle parti sociali – miranti a favorire la realizzazione dei principi di parità di trattamento e di parità di retribuzione sul lavoro (già solennemente affermati nel testo costituzionale e ribaditi poi dalla legislazione successiva, a partire dalla legge n. 903 del 1977).

 

Permangono infatti nel nostro Paese – a trentotto anni di distanza dal varo della prima legislazione organica in materia di parità – tanto fenomeni di segregazione orizzontale (con una concentrazione delle donne in settori e occupazioni che producono disparità in termini di carriera, pensioni, ecc.) quanto fenomeni di segregazione verticale (con una diffusa sottorappresentazione delle donne nelle posizioni apicali). Questi fenomeni palesano come siano ancora presenti e rilevanti significativi fattori di discriminazione – tanto diretta quanto indiretta – nei confronti delle donne che si affacciano al mondo del lavoro o che desiderano accedere a percorsi di sviluppo di carriera.

 

In questa cornice si inserisce la Riforma Fornero con l’articolo 4, commi 8-11 che prevede misure di sgravi contributivi per assunzioni di lavoratori appartenenti al genere sottorappresentato, in attuazione dell’articolo 2, punto 4, lettera f) del Regolamento (UE) 651/2014.

Un passo avanti ancora non sufficiente per raggiungere gli obiettivi che l’Italia con l’Europa si è prefissata. Il mondo delle imprese necessita ancora di essere incentivato per migliorare tecnicamente la legislazione esistente, perseguire obiettivi di parificazione dei trattamenti riservati alle lavoratrici indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro, in senso maggiormente favorevole alla stabilità e continuità del rapporto, oltre all’incremento del versante previdenziale; valorizzare le “buone prassi” realizzate, con idonee strategie di comunicazione, rivolte tanto all’esterno quanto all’interno, così favorendo la diffusione di una nuova sensibilità sulle gender issues e la creazione di un tessuto di esperienze e relazioni tale da promuovere un reale cambiamento nella cultura organizzativa e nelle politiche di gestione del personale.

 

Elena Busiol

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@elena_busiol

 

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Settori e Professioni con disparità di genere per l’anno 2015: alcune riflessioni alla luce del Decreto interministeriale 22 dicembre 2014
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