Senza lavoro nessun futuro

Ad oggi non è credibilmente possibile prevedere il numero di lavoratori dell’ILVA di Taranto che saranno oggetto di ricollocazione. Le variabili che possono incidere sul numero e sulle reali possibilità di ricollocazione dei lavoratori sono tante e tali che solo una volta sciolto il nodo gordiano del piano industriale se ne potrà avere una vaga idea. L’unica certezza è quella per cui, in un tessuto produttivo locale così compromesso, la perdita di ulteriori posti di lavoro comprometterebbe il futuro di tutta la città.
All’inizio del 2013 i lavoratori posti in CIGS in deroga sono stati 1066 e, ad oggi, sono in corso 1700 contratti di solidarietà, che saranno rinnovati nei prossimi giorni.
A settembre dello scorso anno, l’azienda dichiarava di dover procedere alla sospensione delle attività e alla messa in sicurezza degli impianti. Alla stessa sarebbe seguita, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, la sospensione delle prestazioni lavorative del personale (circa 1400 unità), a esclusione degli addetti alla messa in sicurezza, conservazione e guardiani degli stabilimenti e dei beni aziendali.
Si deve in ogni caso tener presente che il Piano in materia di ammortizzatori sociale della Regione dispone che debba essere utilizzato il contratto di solidarietà quale ordinario strumento di gestione delle crisi aziendali.
 
Sul numero di esuberi e sul loro possibile impiego sono state fatte diverse ipotesi. Tutte sono intrinsecamente collegate con il piano AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale, da attuare nel prossimo triennio), con le disposizioni che sono già state e che ancora devono essere approvate dal Governo e dal Parlamento in materia (D.L. n. 136/2013), nonché con la fiducia che gli operatori finanziari vorranno concedere all’azienda e ai suoi proprietari.
E’ proprio di questi giorni un emendamento al testo del D.L. n. 136/2013 in cui viene previsto che il commissario straordinario dell’ILVA, una volta presentato il piano industriale, chieda ai proprietari dello stabilimento, la famiglia Riva, di partecipare ad un aumento di capitale della società, in caso contrario si ricorrerebbe al mercato.
Lo stesso commissario straordinario Bondi ha recentemente dichiarato (in www.ansa.it) che sono previsti, nel corso del 2014, investimenti per 600 – 700 milioni di euro nell’AIA, ma nulla ha dichiarato in merito ai possibili lavoratori in esubero, che inizialmente, era stato detto, sarebbero stati impiegati nell’ “area a freddo” dell’impianto.
 
I sindacati, pur tutti ovviamente preoccupati per la situazione occupazionale, hanno posizioni differenti. Per la Uilm, l’aspetto peggiore è la diminuzione della produzione nello stabilimento e la perdita di quote di mercato, per cui «la situazione sembrava già incerta e a maggior ragione ora. Siamo preoccupati: non vi è traccia del piano industriale e la vicenda giudiziaria rende ancor tutto più ingarbugliato» (sul punto Michele Chicco Ilva, la disperazione degli operai in www.loccidentale.it).
«Il patrimonio dei Riva deve essere investito per rendere il siderurgico eco-compatibile» incalza, invece, il segretario nazionale della Fim Cisl, Marco Bentivogli. Il sindacalista ritiene i decreti del governo una garanzia, guarda con fiducia alla Banca europea degli investimenti per le risorse da trovare e chiede, in tempi rapidi, il piano industriale per non far perdere competitività all’Ilva (in www.fim.cisl.it/public/files/131228-Ilva-Bentivogli.pdf).
«Faccio fatica a capire cosa succederà» dice, di contro, il coordinatore provinciale del sindacato Usb, Franco Rizzo. «I decreti? Non una parola sulla salute degli operai Ilva e dei tarantini» (in http://comitatopertaranto.blogspot.it).
«Basta con i decreti. È arrivato il momento di una legge sulla siderurgia italiana. I soldi dati dalle banche all’Ilva possono servire solo per i primi interventi, non si possono fare le nozze con i fichi secchi» dichiara il segretario generale della Fiom Cgil Donato Stefanelli (in proposito Fulvio Colucci, Taranto, risanare l’Ilva è sempre più difficile, in www.lagazzettadelmezzogiorno.it). Proprio la Fiom, a novembre, aveva chiesto di anticipare la discussione sul piano industriale, visto il ritardo dei lavori dell’AIA, restando inascoltata.
 
Il piano industriale dell’azienda è ancora in fase di impostazione, arriverà, infatti, solo a valle del piano ambientale, la cui presentazione, stando al D.L. n.136, è prevista per fine febbraio.
L’Ilva ha bisogno di circa tre miliardi di euro per far fronte agli impegni dell’AIA, ma anche per affrontare gli altri aspetti del risanamento dell’acciaieria di Taranto e l’innovazione tecnologica. L’azienda, infatti, sembrerebbe voler ricorrere al preridotto di ferro e al gas per diminuire, nel ciclo produttivo, l’uso dell’agglomerato di minerali e del carbon coke, ottenendo così un ulteriore taglio delle emissioni inquinanti.
 
La possibilità di una radicale trasformazione del processo produttivo, emersa nelle ultime settimane, modificherebbe nettamente la prospettiva del futuro occupazionale dell’azienda.
La conversione verso modalità produttive che utilizzano il preridotto di ferro permetterebbero di abbassare nettamente le emissioni nocive, facendo venir meno i limiti produttivi imposti allo stabilimento e contenuti nel piano AIA.
Di contro, però, le conseguenze sulla struttura produttiva sarebbero enormi perché la cokeria e il reparto dell’agglomerato, vale a dire gli impianti che generano la gran parte dell’inquinamento, verrebbero ridimensionati, se non addirittura dismessi, generando un alto numero di esuberi.
La soluzione, inoltre, potrebbe non essere quella della ricollocazione dei lavoratori nella produzione del preridotto. Infatti, l’Unione Europea non permette di utilizzare il processo produttivo del fracking per creare il preridotto di ferro e potrebbe portare l’azienda a delocalizzare gli impianti per la produzione dello stesso in paesi, come gli Stati Uniti, in cui non vi sono restrizioni.
L’unica cosa certa, ad oggi, è che la chiusura di una parte dell’Ilva, in ogni caso, mette a rischio il sistema produttivo dell’impianto siderurgico jonico, rendendo tremendamente incerto il lavoro degli operai e il futuro economico della città. E come ben sintetizza lo striscione appeso fuori dallo stabilimento dagli operai nei mesi scorsi “Senza lavoro nessun futuro”.
 
Daniela Del Duca
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@DelducaD
 
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Senza lavoro nessun futuro
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