Ripensare la didattica del Liceo Scientifico a partire dall’esperienza di stage: la potenza del compito di realtà

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Come si apprende in un contesto di lavoro? Lo si fa diversamente da quanto accade a scuola? In che modo le due esperienze possono integrarsi?

Dopo la prima esperienza di stage a metà dell’anno i ragazzi del secondo anno del Liceo Scientifico Artigianale di Cometa Formazione S.C.S. hanno riportato giudizi e osservazioni molto interessanti circa il valore dello studio e del lavoro. Guardando insieme al consiglio di classe quanto emerso dalla loro voce ci si è posto il problema di ripensare il metodo didattico a partire da quello che gli studenti hanno riportato.

 

Quale fondamento può avere un simile metodo all’interno del percorso liceale? Questa domanda implica rimettere in questione come avvenga l’apprendimento, specificamente, nel contesto odierno. Se fino alle scuole elementari si può imparare per così dire “in assenza di domande” grazie ad una curiosità originale potenziata da una fiducia istintiva negli adulti (messa in crisi ormai dalla disgregazione del concetto di famiglia e dalla crisi dell’adultità – consigliamo su questo la lettura di M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2013), negli anni delle scuole superiori spesso la motivazione ad apprendere è frenata se non bloccata da una resistenza alla fatica e da una demotivazione sottesa a tutto, sfondata solo in qualche momento in cui la curiosità naturale o la genialità dell’insegnante riescono a fare breccia.

 

Che cosa succede invece nel mondo del lavoro? Alcune delle risposte che gli studenti hanno dato in proposito sono state illuminanti (le riportiamo nella loro formulazione originale): “Hai sempre qualcosa da fare, non sei mai fermo”, “apprendi rapidamente stando con dei maestri esperti”, “sei apprezzato e valutato dai clienti”, “impari di più, desideri esercitarti per diventare bravo”; “ti forma come persona”, “impari cose veramente utili alla vita di tutti i giorni”, “ti apre al mondo reale”, “sei più responsabile di te stesso e delle cose”, “conosci direttamente, non per sentito dire”.

 

Queste risposte, hanno interrogato il consiglio di classe in questo senso: come poter integrare la dimensione del lavoro in quella dell’apprendimento scolastico? Qual è l’elemento essenziale del lavoro che può essere portato nel mondo scolastico?

 

Tra le tante ipotesi possibili ne abbiamo formulata una, che sinteticamente si può esprimere così: nella realizzazione di un lavoro lo scopo di un’azione è già presente nel momento in cui si muove il primo passo, come la vetta di una montagna è già presente come meta nel momento in cui ci si mette in auto per cominciare la marcia di avvicinamento. E la meta è un prodotto/opera reale, valutabile nel risultato e nella sua efficacia presso terzi, che inoltre esprime la personalità di chi lo realizza. C’è un senso del “tutto”, che viene incarnato in questo processo, per cui la messa in moto dello studente fa leva sul desiderio di dar prova di sé in contesti reali, sulla sua creatività e sulla possibilità di imparare “facendo”.

 

In un contesto di scuola-azienda come quello di cui si parla (ma crediamo non sia questo il limite che racchiude la proposta che stiamo per fare), vi sono occasioni molteplici con le quali dare vita ad un coinvolgimento degli studenti nel rispondere ad esigenze reali. I docenti posseggono normalmente una professionalità che non si esaurisce nell’insegnamento, ma tocca altri ambiti. Sul modello (ideale) della bottega rinascimentale, il docente può ripensare il suo ruolo come quello di un maestro assistito dagli apprendisti, che li ingaggia nel rispondere alle richieste dei clienti. La sfida rimane quella di far accadere l’apprendimento nel contesto della didattica, quindi non spostandosi sul mero “fare”, ma su un “apprendere facendo”. Ci permettiamo un esempio: spesso i corsi della Scuola Professionale (IeFP), presenti all’interno del medesimo istituto, hanno l’esigenza di realizzare dei “video” che presentino alle aziende i prodotti, i servizi o le persone degli stagisti (una sorta di Video Curriculum). Normalmente, nel caso in cui non se ne possa occupare un esterno, degli aspetti riguardanti la comunicazione si occupano coloro che nel personale scolastico hanno le competenze per farlo. Al Liceo Scientifico ha senso proporre all’interno del percorso di Disegno e Storia dell’Arte un approfondimento sull’arte narrativa che idealmente leghi l’antico Egitto fino al cinema. In particolare il tema del montaggio, è qualcosa che attiene alla capacità di “leggere e scrivere” le immagini, e anche se non è ancora una disciplina artistica teoreticamente studiata i maestri del mestiere (Tarkovskij, Kubrick, Ėjzenštejn, Murch, Kurosawa, Scorsese, Coppola, per citarne solo alcuni) ne offrono una sorprendete prospettiva culturale e formativa.

 

Per produrre un video occorre essere così coscienti del contenuto da potersi permettere di proporre una struttura piuttosto che un’altra, occorre interpretare le esigenze comunicative del regista e immedesimarsi negli spettatori che lo vedranno, con un esercizio di empatia e relazionalità che non coincide affatto con le competenze tecniche di uso del software, bensì con le cosiddette soft skills. Di quale tipo di competenze parliamo? sono competenze che attengono ad un percorso liceale? Nell’interessante volume di Scott Hartley, The Fuzzy and the Techie: Why the Liberal Arts Will Rule the Digital World (Houghton Mifflin Harcourt, New York 2017), si mostra che nel mondo dominato dalla tecnologia che si prepara per il prossimo futuro ciò che realmente farà la differenza e guiderà i processi saranno le persone educate nelle “classic liberal arts” le “Humanities”, grazie alla potenza della visione culturale che esse contengono e che il mondo globalizzato richiede, molto più della iper-specializzazione che spesso crediamo fondamentale. Hartley fornisce un elenco impressionante di fondatori, soci o CEO di aziende come LinkedIn, YouTube, Pinterest, PayPal, Palantir, Alibaba, Airbnb che nel background non presentano percorsi di ingegneria IT, ma bensì lauree in filosofia, design, letteratura, storia medioevale, scienze sociali e così via.

 

Una delle peculiarità del Liceo, che rimane invariata nel suo valore anche nel cambiamento d’epoca in cui siamo immersi, è quella che potremmo definire come la capacità di fare domande pertinenti su tutto. Come si raggiunge questo tipo di competenza? Questo trovarsi in mano un materiale, una richiesta e una scadenza, genera nello studente una serie di domande, a cui ha la necessità di rispondere. Senza sapere le risposte infatti non potrà schiacciare un tasto. Qui si pone in essere un’altra competenza: la capacità di entrare in relazione con l’altro, chiunque sia, per cercare di comprenderne i propositi, e i desideri consci o inconsci, che il prodotto dovrà restituire.

 

Si tratta di un tentativo, limitato ma interessante, con cui poter ridestare quella necessità di sapere di cui i ragazzi stessi sono coscienti, a tal punto che, nella riflessione sul confronto tra studio e lavoro, rimarcano il valore del primo con queste affermazioni: “ti apre più possibilità”, “ti apre la mente”, “puoi stare in qualunque situazione e avere parole su tutto”, “ti fa scoprire te stesso a 360° e apre la mente”, “mi aiuta a capire che «so di non sapere»”. Si tratta, in sintesi, di segnali concreti di come la direzione verso una didattica che sappia unire esperienza lavorativa e formazione formale sia apprezzata e proficua.

 

Francesco Fornasieri

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@f_fornasieri

 

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