Ripensare i Fondi Interprofessionali per la formazione continua: uno sguardo ai progetti di riforma francesi

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Nei contesti segnati dalla transizione verso modelli di produzione in cui conoscenza e innovazione rappresentano i principali asset competitivi, il lavoratore con il suo bagaglio di competenze tecnico-professionali, trasversali e personali assume una nuova centralità e si assiste all’innesto della logica “professionale” anche in lavori prima connotati debolmente dai tratti caratteristici delle professioni e cioè l’alto contenuto intellettuale, l’autonomia, l’importanza dell’apporto individuale in termini di responsabilità, creatività, ecc. In questo contesto, è sul fronte della valorizzazione della professionalità che si gioca la sfida della costruzione di nuovi strumenti di protezione e promozione per tutti i lavoratori, in tutte le fasi della vita e nei passaggi tra diversi status occupazionali.

 

I Fondi Interprofessionali per la formazione continua già oggi rivestono un ruolo strategico tanto sul fronte dello sviluppo e dell’aggiornamento delle competenze dei lavoratori occupati quanto su quello della creazione delle condizioni di competitività per le imprese. L’importanza del ruolo dei Fondi Interprofessionali è testimoniata dalla entità delle risorse che gestiscono e dalla loro capacità di penetrazione nel tessuto delle imprese italiano, in modo sempre più capillare nelle diverse Regioni. I risultati raggiunti dal sistema sono ancora più rilevanti se si riflette sul fatto che il consolidamento dei Fondi Interprofessionali a partire dal 2006/2007 ha coinciso con lo scoppio e il protrarsi per molti anni della crisi economica. Non sarà qui possibile ripercorrere l’evoluzione del sistema dei Fondi, né evidenziarne nel dettaglio limiti e potenzialità (per approfondimenti si rimanda ai contributi contenuti nel fascicolo di Professionalità Studi n. 2/2017, dedicato proprio al tema I fondi bilaterali per la formazione in Italia e in Europa: stato dell’arte e prospettive di riforma). Basterà dire che seppure in un quadro di luce ed ombre essi rappresentano ormai l’infrastruttura portante del sistema di formazione continua in Italia. Tuttavia, pochi Fondi sono oggi attrezzati per mettere in campo strategie innovative e avviare un processo di radicamento nei territori, dove realmente emerge la domanda di formazione delle persone e delle imprese, giocando un ruolo strategico nella gestione e nella anticipazione dei fabbisogni di competenze espressi dal mercato del lavoro.

 

A seguito delle recenti riforme, si è parlato di un ri-accentramento delle funzioni di programmazione della formazione continua che coinvolge pesantemente il sistema dei Fondi: essi sono inseriti in una rete nazionale per le politiche del lavoro, soggetti a linee di indirizzo ministeriali e a vigilanza da parte dell’Anpal, e sono chiamati a contribuire alla costruzione di un sistema informativo della formazione professionale, al rafforzamento dei meccanismi di condizionalità nelle prestazioni di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, sebbene non siano chiare le modalità con cui, in molti casi in assenza di strutture organizzative adeguate, possano svolgere tali funzioni, a risorse invariate.

 

È condivisibile l’idea che i Fondi Interprofessionali per la formazione continua debbano innovare le proprie strategie di azione per giocare un ruolo di presidio a tutto tondo delle transizioni occupazionali. Non solo agendo come strutture preposte al finanziamento degli interventi di formazione continua rivolti ai dipendenti delle aziende aderenti, ma diventando la vera struttura portante di un sistema di tutela della professionalità nelle imprese e nel mercato attraverso il presidio delle funzioni di analisi e anticipazione dei fabbisogni professionali, formazione, orientamento professionale, certificazione delle competenze, costruzione di un sistema informativo sul mercato del lavoro e sui percorsi di carriera.

 

Assegnare ai Fondi Interprofessionali una rinnovata centralità impone però un importante cambio di paradigma nel mondo delle relazioni industriali, chiamato a passare da logiche verticali e di settore a logiche di prossimità ai territori e alle persone, mettendo al centro il tema della valorizzazione della professionalità: una sfida decisiva per il nostro sistema di relazioni industriali perché investe il tema dell’adeguamento dei rapporti tra imprese e lavoratori ai nuovi modelli di produzione. Diventa al contempo strategica la promozione di vere logiche bilaterali e partecipative e di strategie efficaci per la inclusione dei lavoratori al momento non coperti dal sistema,  insieme al rinnovamento delle strategie di azione al fine di puntare realmente sulle competenze necessarie per la quarta rivoluzione industriale (sul punto si veda L. Casano, M. Tiraboschi, Fondi interprofessionali da ripensare per una moderna organizzazione del mercato del lavoro, in Professionalità Studi, n. 2/2017, 1-8) .

 

Spesso nel dibattito scientifico e istituzionale relativo alla formazione continua viene fatto riferimento alla esperienza francese come “faro” cui guardare per innovare le politiche della formazione. In Francia il diritto individuale alla formazione continua ha da sempre rappresentato un elemento centrale del modello di regolazione del lavoro e la positiva contaminazione tra dibattito scientifico e istituzionale ha condotto nel tempo all’elaborazione dei principi giuridici che hanno ispirato numerose riforme all’insegna della sécurisation des parcours professionnels. Al centro dell’attenzione in questo periodo c’è soprattutto il Compte Personnel d’Activité, un unico conto accessibile a tutte le persone dai 16 anni in poi che racchiude a sua volta tre conti: il conto personale di formazione (CPF, che permette di contabilizzare i diritti dei titolari del conto in ore di formazione esigibili lungo tutto il corso della vita); il conto di prevenzione lavori usuranti (CPP, che trasforma i diritti derivanti dallo svolgimento di lavori usuranti in “punti” che possono essere spesi in formazione professionale, per ottenere un part­time a parità di retribuzione o per anticipare l’età pensionabile); il conto per l’impegno civico (CEC, che registra le attività di servizio civile o volontariato permettendo al titolare di ottenere congedi o ore da registrare sul CPF). Accanto a questo esistono però in Francia altri strumenti che contribuiscono a configurare una articolata rete di protezione, che non sarà qui possibile approfondire ma che si menzioneranno solo per dare l’idea della complessità del quadro di contesto determinatosi mediante numerose riforme coordinate tra loro: dall’entretien professionnel che deve essere concesso ogni due anni a tutti i lavoratori e consiste in un colloquio sulle prospettive di sviluppo professionale con il proprio datore di lavoro; alla VAE (Validation des Acquis de l’Expérience), dispositivo che consente a tutte le persone, mediante appositi strumenti di finanziamento, il riconoscimento e la certificazione delle competenze maturate in contesti di apprendimento non formale e informale; alla GPEC (Gestion Prévisionnelle des Emplois et des Competences), accordi aziendali a cadenza triennale per la gestione preventiva dei posti di lavoro e delle competenze che devono essere conclusi dalle grandi imprese (ma possibili anche per le piccole e medie) al fine di negoziare con il sindacato gli interventi necessari ad accompagnare i cambiamenti organizzativi, piuttosto che subirli. Strumenti che si aggiungono agli interventi promossi dagli attori pubblici (a livello nazionale e territoriale) sul fronte dell’orientamento, della formazione, dell’analisi dei fabbisogni, ecc…

 

Se in Italia siamo ancora lontani da tale prospettiva, ci è consentito però anche di prefigurarne alcuni possibili limiti, almeno nella visione qui proposta. Nel caso francese all’introduzione di strumenti di tutela legati alla persona, non al posto di lavoro, sta ora facendo seguito un tentativo di riforma della formazione professionale continua (caposaldo del modello welfare francese) di impronta chiaramente mercantilista. Le proposte di riforma del governo in carica, infatti, mirano ad un forte ridimensionamento degli OCPA (Organismes Paritaires Collecteurs Agrés, enti bilaterali simili ai nostri Fondi Interprofessionali per la formazione continua) al fine di realizzare un sistema di formazione continua individualizzata, basata sul libero incontro tra domanda e offerta di formazione in un mercato efficiente, in cui la garanzia di qualità degli interventi sarebbe affidata alla creazione di efficaci sistemi di certificazione degli enti di formazione e delle competenze acquisite dai lavoratori. I principali assi della riforma sono stati presentati il 6 marzo 2018 dal Ministro del lavoro Pénicaud e includono: la monetizzazione dei diritti maturati nel CPA (finora computati in ore di formazione); una applicazione informatica che gli utenti potranno usare per accedere direttamente all’offerta di servizi e alle informazioni loro necessarie (inclusi i diritti maturati) senza rivolgersi a intermediari; il trasferimento dei contributi per la formazione continua, oggi raccolti e gestiti dagli OPCA, alle agenzie del sistema generale di previdenza sociale, lasciando agli OPCA solo la gestione della formazione degli apprendisti e un ruolo di supporto alle imprese nella definizione dei piani formativi e negli accordi di GPEC; l’istituzione di un’unica agenzia quadripartita (Stato, Regioni, parti sociali) che riassorbirà le funzioni delle diverse istanze bilaterali cui oggi è demandata la definizione delle politiche di formazione professionale (Cnefop – Conseil national de l’emploi, de la formation et de l’orientation professionnelles; Copanef – Comité paritaire national de l’emploi et de la formation professionnelle; FPSPP – Fonds paritaire de sécurisation des parcours professionnels) (cfr. Transformation de la formation professionnelle – Dossier de Presse 5 mars 2018, travail-emploi.gouv.fr).

 

Le proposte di riforma, dunque, preoccupano le parti sociali, anche perché sostanzialmente scavalcano l’Accord national interprofessionnel pour l’accompagnement des évolutions professionnelles, l’investissement dans les compétences et le développement de l’alternance firmato dalle parti sociali il 22 febbraio 2018, che prevede interventi diversi: un aumento delle ore accreditate sul Compte personnel de Formation; un diverso schema di ripartizione delle risorse per la formazione tra le tipologie di intervento; una semplificazione del piano di formazione aziendale; la fine della lista di corsi di formazione finanziabili, con la previsione che siano finanziabili tutte le attività che consentono il conseguimento di una qualifica ricompresa nel repertorio nazionale delle certificazioni professionali; la possibilità di usare il Compte personnel de Formation per la riqualificazione al fine di cambiare lavoro; il rafforzamento del Conseil en evolution professionnel offerto dai servizi pubblici per il lavoro; l’ampliamento della nozione di “azione formativa” al fine di ricomprendere varie forme di apprendimento, anche informali; la riforma del sistema di certificazione in chiave di maggiore flessibilità; il rafforzamento degli Osservatori settoriali; una istanza unica (paritetica, nazionale) per la governance del sistema di formazione professionale.

 

Le tensioni che stanno emergendo nel contesto francese, tra la ricerca di strumenti di tutela innovativi ancorati alla persona su cui si innesta la richiesta di una maggiore efficienza del sistema di formazione continua, da un lato, e il tentativo di preservare il tradizionale modello bilaterale di governance della formazione continua, dall’altro, devono rappresentare un elemento di riflessione anche nel nostro Paese. Nella visione che si è qui brevemente presentata, infatti, la creazione di nuove tutele ancorate alla persona, e non più al posto di lavoro, con particolare riferimento alla tutela della professionalità, dovrebbe passare da un rafforzamento e non da un ridimensionamento del ruolo delle parti sociali e delle loro strutture e articolazioni, in particolare territoriali, tanto sul piano della programmazione delle politiche e del loro monitoraggio, quanto su quello della costruzione e concreta implementazione di moderni strumenti di protezione per tutti i lavoratori.

 

Lilli Casano

ADAPT Senior Research Fellow

@lillicasano

 

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