Riforma delle pensioni: i primi punti fermi

ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 26 ottobre 2020, n. 39

 

Con la ripresa degli incontri tra la Ministra del Lavoro e le parti sociali e l’approvazione dello schema della legge di bilancio 2021, il cantiere della riforma delle pensioni è tornato in maniera importante al centro del dibattito, dopo i mesi in cui i confronti tra le parti su un intervento strutturale sono stati “congelati”, per lasciare spazio alla ricerca di risposte più specifiche di fronte al dilagare dell’emergenza sanitaria e occupazionale.

 

Un primo segnale importante è arrivato dall’incontro del 14 ottobre tra Nunzia Catalfo e Cgil, Cisl e Uil sul dossier previdenziale, in cui le parti si sono confrontate sui principali nodi aperti, anche alla luce delle profonde variabili che la diffusione della pandemia ha portato con sé e che hanno reso ancora più complesso il dibattito. A conferma di ciò, è stata introdotta, come tema centrale dell’ultimo confronto, la necessità di sterilizzare gli effetti del calo del Pil sulle pensioni, in maniera tale che la riduzione del Pil legata all’emergenza epidemiologica non porti al blocco delle rivalutazioni dei montanti contributivi e a una rideterminazione, più negativa del solito, dei coefficienti di trasformazione, incidendo eccessivamente sugli importi dei trattamenti previdenziali che saranno liquidati nei prossimi anni. Un altro passaggio importante è stato inoltre dedicato al trattamento ai fini previdenziali del lavoro part time, dato che si è discusso dell’equiparazione a livello pensionistico del part-time verticale a quello orizzontale.

 

Il confronto si è spinto poi su due specifiche misure di pensionamento anticipato, Ape Sociale e Opzione Donna, che puntualmente sono state ricomprese nel disegno di legge recante il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2021, approvato dal Consiglio dei ministri di domenica 18 ottobre. Nel primo caso, è stata estesa al 2021 la misura sperimentale introdotta per la prima volta dalla legge di bilancio del 2017, che prevede l’erogazione di un’indennità da parte dell’INPS a specifiche tipologie di lavoratori con particolari esigenze di tutela (disoccupati, invalidi, soggetti che assistono parenti disabili, addetti a mansioni gravose) che abbiano compiuto almeno 63 anni di età, possiedano 30 anni di contributi (36 per i lavoratori impiegati nelle attività usuranti) e non siano già titolari di pensione diretta, fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Nel secondo caso, la manovra ha invece esteso alle lavoratrici dipendenti nate nel 1962 e alle autonome nate nel 1961 la possibilità di accedere all’opzione di pensionamento anticipato con 35 anni di contributi e, rispettivamente, 58 o 59 anni di età anagrafica, a seconda che si tratti di lavoratrici dipendenti o autonome.

 

Si tratta di primi passaggi che riportano il tema previdenziale al centro del dibattito, anche se rimangono ancora sullo sfondo le principali questioni sulle quali le parti avevano costruito una precisa agenda prima che la pandemia stravolgesse l’ordine dei lavori. Non si hanno infatti, in primo luogo, particolari novità riguardanti una riforma strutturale del sistema previdenziale, in vista del superamento di quota 100, che non sarà rinnovata, dopo la scadenza prevista per il 31 dicembre 2021, come ha dichiarato lo stesso Presidente del Consiglio. In questi termini, l’obiettivo, condiviso dalle parti, è quello di scongiurare il rischio del c.d. “scalone” di 5 anni con un ritorno ai requisiti previsti nel 2011 dalla riforma Fornero, ma, al di là delle diverse opzioni in circolazione anche in questa fase, al momento manca un accordo politico sulle effettive modalità di attuazione.

 

Così come, appaiono al momento ancora defilati i discorsi riguardanti due temi la cui trattazione è inevitabilmente influenzata dagli effetti del Covid. Da un lato, il tema della previdenza complementare, sul quale il confronto per individuare strumenti efficaci che diano un nuovo impulso alle adesioni ai fondi negoziali è reso ancora più difficile dall’incertezza dei mercati finanziari, che può incidere negativamente sui rendimenti medi delle forme complementari, rendendole meno appetibili ai lavoratori. Dall’altro lato, la sfida già in salita per individuare una pensione di garanzia per i giovani, di fronte a carriere lavorative discontinue, appare oggi ancora più ardua per il crollo dell’occupazione giovanile.

 

I primi segnali arrivati dal disegno di legge di bilancio 2021, però, non vanno sottovalutati. Opzione donna e Ape sociale, al di là del minor impatto mediatico rispetto a misure-simbolo quali Quota 100, nel novero delle opzioni di pensionamento anticipato, nel 2019 hanno riscosso un determinato successo, in termini di adesioni, tra i soggetti coinvolti dalle misure. Come presentato dall’Osservatorio sulla Spesa Pubblica e sulle entrate di Itinerari previdenziali, al 31 dicembre 2019, a fronte delle 228829 domande di accesso a quota 100, in linea con le previsioni, vi sono state 117265 richieste per l’Ape sociale (di cui 54.774 concesse) e 26.676 per Opzione Donna (di cui 17.943 concesse), in entrambi i casi con un afflusso superiore alle attese. Inoltre, le due forme anticipate di pensionamento, portano con sé alcuni elementi che potrebbero essere centrali anche nelle soluzioni future e strutturali. Da una parte, infatti, Opzione donna rappresenta un esempio di forma di pensionamento per la quale la maggiore flessibilità in uscita viene compensata da una riduzione dei costi per lo Stato, riconnessa al ricalcolo esclusivamente col sistema contributivo del trattamento pensionistico. Dall’altra parte, l’Ape Sociale prevede soluzioni flessibili ad hoc rivolte alle categorie più deboli, che colleghino l’accompagnamento verso l’età pensionabile allo stato di bisogno delle categorie considerate. In questa direzione, appare importante la discussione riguardante l’ipotesi di estenderne l’accesso a una platea, ancora da individuare, di quei lavoratori “fragili” che si trovano maggiormente a rischio nel portare avanti a lungo la propria attività lavorativa, a causa delle patologie di cui soffrono.

In conclusione, di fronte alle richieste, pervenute da più parti, di una riduzione drastica e generalizzata dei requisiti ordinari di accesso al pensionamento senza penalità nel calcolo del trattamento finale, sulla scia dell’esperienza di Quota 100, appare difficile pensare di riuscire a garantire la sostenibilità complessiva del sistema, aumentando ulteriormente l’esborso da parte dello Stato e il peso di tali misure sulle prossime generazioni. Più opportuno apparirebbe quindi, per le parti sociali e il governo, negoziare soluzioni che garantiscano comunque una maggiore flessibilità – fondamentale per evitare di tornare ai rigidi vincoli della riforma del 2011 – senza però gravare eccessivamente sul bilancio pubblico, e rispondano, in maniera ancora più incisiva, alle esigenze di tutela delle categorie maggiormente bisognosePriorità che lo scoppio della pandemia ha messo ulteriormente in luce.

 

Michele Dalla Sega

ADAPT Junior Fellow

@Michele_ds95

 

Riforma delle pensioni: i primi punti fermi
Tagged on: