Retribuzione variabile e contrattazione collettiva: cosa dicono le ricerche empiriche a livello internazionale e comparato

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Bollettino speciale ADAPT 25 febbraio 2021, n. 1

 

Il salario di produttività è un tema che, complici le innovazioni in materia di organizzazione del lavoro dettate dal progressivo superamento del mercato del tempo di lavoro, a detta di molti sarà protagonista del prossimo futuro delle relazioni industriali.

Al fine di comprenderne al meglio caratteristiche e criticità, appare quindi necessario guardare con attenzione agli studi già condotti in materia, relativi sia al contesto nazionale che internazionale.

 

Di recente, sulla International Law Review, è stato pubblicato un saggio (B. Bechter, N. Braakmann, B. Brandl – Variable pay systems and/or collective wage bargaining? Complements or substitutes? ILR Review, 74(2), Marzo 2021, pp. 443–469) che, utilizzando i dati provenienti da uno studio empirico condotto nel 2013 (European Company Survey), condotto attraverso interviste a rappresentanti delle imprese e rappresentanti dei lavoratori provenienti da tutta Europa, si propone di indagare i sistemi di retribuzione presenti nei 28 paesi dell’UE.

 

Esso si concentra sul tema della flessibilità retributiva, divenuto sempre più importante sia per l’accademia che per la politica: gli autori sottolineano infatti come, di recente, siano state introdotte specifiche riforme al fine di limitare la determinazione “fissa” della remunerazione attraverso la contrattazione collettiva e incentivare al contrario sistemi di retribuzione variabili al fine di aumentare la flessibilità del mercato del lavoro, la produttività e la crescita dell’occupazione (p. 443). Tali sistemi hanno prevalentemente ad oggetto schemi che collegano i salari dei dipendenti alla loro performance individuale o di gruppo.

La relazione tra la determinazione collettiva dei salari e i sistemi di retribuzione variabile, apparentemente due poli “opposti”, è per la verità, secondo gli autori, più complessa di quanto sembra, e dipende da due fattori principali: il ruolo del sistema di determinazione collettiva dei salari a livello nazionale, il quale delimita le possibilità delle imprese di deviare dalla norma e ne determina le procedure, e il bisogno delle aziende di compensare ogni possibile vincolo alla flessibilità che proviene dai sistemi collettivi di determinazione dei salari (p. 444).

 

Gli autori passano poi a una descrizione dei sistemi collettivi di determinazione dei salari, i quali possono essere presenti a livello aziendale, territoriale o nazionale: tuttavia, di recente in Europa si stanno diffondendo sempre più sistemi multilivello, in cui contratti collettivi sono stipulati simultaneamente su livelli multipli. Si distingue inoltre, tra sistemi di contrattazione “governati verticalmente”, in cui il livello nazionale o settoriale stabilisce sia un “salario base” che le modalità con il quale esso può essere “rinegoziato” a livello aziendale (paesi nordici, Austria, Germania) e sistemi “non governati” come quelli mediterranei, in cui gli attori della contrattazione collettiva a differenti livelli possono trattare indipendentemente l’uno dall’altro con i medesimi soggetti. In tal caso, al lavoratore sarà applicato l’accordo per lui più favorevole.

Chiaramente, i sistemi di determinazione collettiva dei salari si differenziano altresì per il numero dei dipendenti che regolano e per i settori in cui sono più diffusi (p. 446).

 

Vi sono altresì notevoli differenze tra i sistemi di retribuzione variabile, i quali, secondo gli autori, sono classificabili in:

  • Schemi di “payment-by-results” (PbR), basati su criteri quantitativi, ovvero sui risultati ottenuti dai dipendenti che risultano più facilmente misurabili. Essi non determinano una modificazione del controllo sulla determinazione della retribuzione, dato che la discrezionalità del management nel riconoscimento di tali premi è piuttosto limitata.
  • Schemi di “performance-related pay” (PrP), basati sulla valutazione qualitativa della performance dei singoli dipendenti, spesso compiuta discrezionalmente dalla parte datoriale.
  • Schemi di “team-related pay” (TrP), legati alla performance di un gruppo di dipendenti. Sono molto legate alla discrezionalità del datore di lavoro, data la circostanza per cui si tratta solitamente di forme di pagamento occasionali (limitate a un preciso periodo temporale) e non consolidate.

Gli autori ravvisano che tali sistemi sono implementati negli stabilimenti per compensare le potenziali perdite di flessibilità dettate dal contratto collettivo di livello nazionale o territoriale, il quale, infatti, tende a non considerare i contesti aziendali e la performance di stabilimento, nonostante la differenziazione della retribuzione che sussiste tra lavoratori inquadrati in differenti livelli (p. 448).

Quando la retribuzione è unicamente determinata a livello aziendale, invece, è possibile stabilire sistemi di retribuzione maggiormente basati sulle performance aziendali e dei singoli dipendenti: di conseguenza, gli autori rilevano che, nel campione da essi preso in considerazione, l’incidenza dei sistemi di retribuzione variabile sia più alta negli stabilimenti in cui la retribuzione è determinata attraverso un sistema di contrattazione nazionale o settoriale (p.449).

 

Gli autori registrano un generale consenso dei datori di lavoro in merito ai sistemi di retribuzione variabile, la quale consente loro di legare i salari dei lavoratori allo specifico contesto aziendale, nonché a influenzarne la performance e la motivazione. Sulla base della letteratura presa in considerazione, tuttavia, essi affermano che non vi siano prove dell’effetto positivo dei sistemi di retribuzione variabile nel caso in cui essi dipendano unicamente dalla discrezionalità del datore (pp. 449 – 450).

 

I rappresentanti dei lavoratori invece sono generalmente meno favorevoli all’introduzione di tali sistemi, dato che, a loro parere, l’aumento delle disparità lavorative può potenzialmente ridurre la solidarietà e il sentimento di unità tra la forza lavoro.

Ai sensi della ricerca, un altro motivo per cui i rappresentanti dei lavoratori si mostrano critici nei confronti dei sistemi di retribuzione variabile (pp. 450 – 451) è quello per cui tali sistemi si pongono in conflitto con una serie di regole sul pagamento e sulle condizioni di lavoro che i rappresentanti dei lavoratori hanno precedentemente concordato con il datore di lavoro.

Non solo: i rappresentanti dei lavoratori lamentano che, attraverso l’introduzione di sistemi di retribuzione variabile, il rischio d’impresa viene parzialmente trasferito in capo ai dipendenti, dato che in molti di tali schemi la paga dipende da vari fattori che sono fuori dal controllo dei (singoli) dipendenti.

In ultimo, la circostanza per cui gran parte di questi sistemi si basano sulla discrezionalità dei datori di lavoro nella determinazione della paga (in particolare, PrP e TrP), fa sì che la possibilità di controllo sulla distribuzione delle retribuzioni da parte dei rappresentanti dei lavoratori risulti ridotta.

Tale ultimo fattore, in particolare, fa sì che nei sistemi di determinazione collettiva della retribuzione a livello nazionale o territoriale, nei quali il potere contrattuale delle associazioni sindacali è maggiore, siano maggiormente presenti sistemi di retribuzione variabile legati a risultati misurabili (PbR) rispetto a sistemi basati sulla valutazione qualitativa della performance aziendale o dei singoli lavoratori (p. 451).

 

Secondo gli autori, infine, i sistemi di determinazione collettiva dei salari e i sistemi di retribuzione variabile non sono contraddittori, ma compatibili, anche se la loro relazione è dipendente sia dal tipo di sistemi di retribuzione variabile che dalla struttura e dalle procedure previste nei contratti collettivi in oggetto (p. 461). Essi, tuttavia, specificano che al fine di una valutazione del rapporto tra tali sistemi retributivi, devono essere considerati anche ulteriori elementi aggiuntivi di contesto, quali:

  • Il sistema di relazioni industriali aziendale, come la presenza di consigli di fabbrica, rappresentanti sindacali, e l’adesione dell’azienda alle associazioni datoriali;
  • I fattori che influenzano l’incidenza dei sistemi di retribuzione variabile, come la grandezza dell’azienda e il settore in cui essa opera, o la circostanza se essa è una sede o una mera filiale;
  • Le caratteristiche della forza lavoro (percentuale di donne, di lavoratori anziani etc.);
  • La presenza di pratiche partecipative di gestione del lavoro e di sistemi di job rotation;
  • Le variabili di business dell’azienda, che ne riflettono la situazione finanziaria.

Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

 

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