Reddito di cittadinanza, mito e realtà

Di che cosa si parlerà nella prossima campagna elettorale? La mia sensazione è che, dal momento che le idee (e le parole) veramente nuove stanno a zero, finiremo per parlare molto di una cosa che nuova non è, ma nuova finirà per apparire: il reddito di cittadinanza. Fino a ieri presa sul serio solo dal M5S (che ha presentato un disegno di legge più di 3 anni fa), ora l’idea di un reddito di cittadinanza pare interessare anche a destra (è di pochi giorni fa l’apertura di Berlusconi), e crea qualche imbarazzo a sinistra, visto che Renzi non ha perso occasione per prenderne le distanze.

La ragione per cui il reddito di cittadinanza potrebbe diventare una parola-chiave del dibattito pubblico nel 2017 è la facilità con cui i politici e i media possono manipolarne il significato.

Facendo credere all’opinione pubblica di proporre una cosa mentre ne stanno proponendo un’altra. Questa è una differenza cruciale fra l’uso delle parole da parte degli studiosi, che è relativamente preciso e stabile, e il loro uso nel dibattito pubblico, che è spesso arbitrario, elastico ed ingannevole.

Il caso del reddito di cittadinanza è perfetto per mostrare che cosa può succedere quando si gioca con le parole. Per la comunità scientifica reddito di cittadinanza (talora denominato reddito di base) indica un trasferimento universale e permanente a ogni individuo che rispetti certi requisiti minimi di appartenenza a una comunità (o “cittadinanza”), senza alcuna limitazione connessa alla condizione economica, e senza alcun obbligo da assolvere per non perdere il beneficio. Il reddito di cittadinanza, in altre parole, è dovuto anche ai “surfisti della baia di Malibù”, per usare il classico esempio di John Rawls, per parte sua convinto che la “società giusta” non debba farsi carico di essi.

 

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