Rapporto tra malattie croniche e mercato del lavoro – A tu per tu con Elisabetta Iannelli

Sostenibilità dei sistemi sanitari

 

Quali criticità odierne riscontra sui sistemi sanitari e sulla loro sostenibilità nel tempo?

 

La sostenibilità dei sistemi sanitari è messa a dura prova da una molteplicità di fattori, di cui i decisori politici devono tenere conto perché continui ad essere garantito il diritto alla salute universalmente riconosciuto come diritto fondamentale dell’essere umano. All’aumento del numero dei nuovi casi di malattie gravi ed invalidanti, come ad esempio le patologie oncologiche,  corrisponde, grazie ai progressi scientifici, anche un progressivo, costante miglioramento delle chance di cura e guarigione e, quindi, del complessivo numero di malati cronici o guariti che, spesso, necessitano di trattamenti terapeutici prolungati e ripetuti nel tempo. A questo si aggiunge l’elevato costo delle terapie più moderne, efficaci ed innovative.

Nel 2010 erano 2.587.347 gli italiani vivi dopo una diagnosi di tumore, il 4,4% della popolazione. I pazienti guariti, con un’attesa di vita paragonabile a quella delle persone non colpite da tumore, erano 704.648, pari al 27% di tutti i pazienti (20% uomini e 33% donne) e all’1,2% degli italiani. Nel 2015 sono circa 3 milioni (3.036.741) le persone vive dopo una diagnosi oncologica (4,9% degli italiani) con un incremento, rispetto al 2010, del 17%.

Tra le criticità più evidenti del servizio sanitario vi sono gli scarsi investimenti in prevenzione, per ridurre il carico di malattia, e in riabilitazione, per restituire alla vita “normale”gli ex malati e i malati cronici. In particolare, la riabilitazione, che dovrebbe seguire la fase acuta della malattia e delle terapie per completare la restitutio ad integrum, è spesso totalmente assente nei programmi terapeutici poiché non se ne apprezza la valenza reale considerandola un costo piuttosto che un vero e proprio investimento. Investimento sociale oltre che sanitario sulla persona, poiché salvaguarda un patrimonio di esperienze umane, professionali, culturali e di potenzialità produttive che, altrimenti, andrebbe definitivamente perdute.

Una persona non riabilitata necessita, infatti, di interventi assistenziali multiprofessionali, di supporti socio-economici, spesso non lavora più, e tutto ciò comporta costi diretti ed indiretti aggiuntivi per la società che, peraltro, spesso declina le proprie responsabilità scaricandole sul contesto familiare. Una riabilitazione anche psicologica consente di reinserire, là ove possibile, più precocemente le persone nel sistema lavorativo, nella famiglia e nella società civile.

È necessario che, in ogni Regione, vengano definiti e attuati percorsi riabilitativi anche all’interno delle reti oncologiche (come ad es. nella Regione Piemonte), al fine di garantire in tempi adeguati interventi che realizzino il massimo recupero funzionale, psicologico e sociale, soprattutto per le persone potenzialmente guarite dal tumore. Inoltre, è indispensabile promuovere, nell’ambito della ricerca, lo sviluppo di indicatori di outcome riferiti alla misurazione del livello di efficacia conseguito dagli interventi socio-assistenziali, lavorativi e previdenziali (assistenza integrata) messi in atto in assonanza con le indicazioni prospettiche del Libro Bianco del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali in merito alla buona vita nella società attiva (ben-essere e ben vivere). La riabilitazione oncologica deve essere riconosciuta nella sua specificità e rientrare nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) garantiti a tutti i cittadini. Oggi non è così. E la mancanza di supporto socio-economico carica di oneri le famiglie, costrette a provvedere a proprie spese alle forme di assistenza non previste dal Servizio sanitario nazionale.

 

 

Lavorare durante e dopo la malattia

 

Secondo la sua visione, dove si riscontrano le maggiori difficoltà nel reinserimento/inserimento/convivenza con la malattia al lavoro all’interno delle aziende, di questo gruppo di persone affette da malattie croniche?

 

Le maggiori difficoltà si riscontrano nei rapporti con il datore di lavoro e con i colleghi spesso condizionati da pregiudizi, ignoranza, stigma che ancora avvolgono di timori e paure chi si deve confrontare con malattie gravi e croniche. Le mutate abilità psicofisiche temporanee o permanenti, l’eventuale necessità di un mutamento di mansioni, le nuove esigenze di conciliazione dei tempi di cura con i tempi di lavoro, il follow-up, la riabilitazione, le ripetute assenze per motivi sanitari, la necessità di un percorso di reinserimento lavorativo, richiedono conoscenza del problema e delle possibili soluzioni utili per gestire la crisi causata dalla malattia e che si ripercuote anche sulla gestione del lavoro.

Come è noto in letteratura e giurisprudenza, il lavoratore che si ammala di cancro, o che deve assistere un familiare malato oncologico, rischia di subire comportamenti discriminatori, demansionamenti o, nei casi più gravi, addirittura il licenziamento. Perché ciò non accada è necessario un cambiamento culturale nell’approccio alla malattia cronica sul posto di lavoro ed è fondamentale che i lavoratori ed i datori di lavoro siano informati sulle norme a tutela dei lavoratori malati di cancro, perché queste tutele siano effettive e non rimangano solo sulla carta.

Molto spesso, anche per mancanza di conoscenza delle tutele di riferimento, i responsabili delle risorse umane gestiscono determinati casi di malattia ricorrendo al buon senso ed alla solidarietà umana, ma non è accettabile che la persona malata e in condizioni di fragilità debba affidarsi semplicemente alla sensibilità umana quando la propria condizione è tutelata e garantita da norme di ogni ordine e grado. Il dipendente malato non è il solo a trovarsi in difficoltà a causa della malattia, anche il datore di lavoro, soprattutto nelle piccole aziende, può essere aiutato a superare gli ostacoli connessi e conseguenti alla sofferenza dell’organico che dovrà essere riorganizzato per assorbire la diminuzione, ancorché temporanea, di produttività del lavoratore malato.

L’informazione è la prima medicina per affrontare e superare gli ostacoli patologici che deviano il corso della vita. Nel 2003, l’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) ha pubblicato per la prima volta in Italia il libretto su “I diritti del malato di cancro”, presentato dal Sole 24ore Sanità come l’abc dei diritti dei malati.

Con la pubblicazione di AIMaC, per la prima volta nel nostro Paese si è posta l’attenzione agli aspetti socio-economici della malattia oncologica, colmando il gap informativo esistente anche in ambito lavoristico.

Fin dalla sua prima edizione, la prima di oltre dieci, questo libretto è diventato un punto di riferimento, non solo per i malati, ma anche per tutti coloro che se ne prendono cura a vario titolo. Nel tempo, il contenuto è stato arricchito, integrato e aggiornato ogni anno, grazie alla collaborazione con istituzioni pubbliche e private (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INPS, Consigliera nazionale di Parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sindacati dei lavoratori).

 

Secondo la sua esperienza, cosa significa per i malati cronici ritornare al lavoro?

 

Per i malati di cancro ritornare al lavoro significa ritornare a vivere.

Il lavoro non ha solo un significato economico per il malato ma, anche, sociale ed identitario, perché permette di distogliere il pensiero principale rivolto alle preoccupazioni ed alle sofferenze causate dalla malattia, consente di riconquistare il proprio ruolo e la propria dignità nei contesti sociali e familiari e di continuare a progettare la vita durante e dopo la malattia. Solo apparentemente sorprendenti, i risultati del sondaggio AIMaC-Piepoli confermano che il 97% dei malati vuole continuare a lavorare durante o dopo le terapie antitumorali, a dimostrazione che il lavoro ha un valore fortemente terapeutico, oltre ad essere un diritto e una necessità.

La perdita del lavoro, per il ruolo che questo rappresenta nella vita di ogni essere umano, può e deve essere evitata in tutti i casi in cui la malattia ed i trattamenti terapeutici non inficiano in modo totale ed irreversibile la capacità lavorativa.

Un’indagine condotta nel 2012 dal Censis, in collaborazione con la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e le associazioni federate (che hanno contribuito alla raccolta dei questionari per il sondaggio), ha rilevato che la diagnosi di tumore è un vero e proprio life changing event che muta in modo sostanziale il rapporto con il lavoro, penalizzando i pazienti (e in alcuni casi non infrequenti anche i loro familiari) con impatti che vanno dalla perdita del lavoro, alla riduzione del reddito, a una caduta della capacità di performance. La perdita del posto di lavoro per un malato di cancro è certamente un evento drammatico e traumatico che peggiora la qualità della vita e aggrava la condizione psicologica e, forse, peggiora la prognosi.  L’allontanamento dal lavoro di un malato oncologico comporta perdita di professionalità, esperienza e produttività che nuoce alla persona. Solo un quinto di malati di tumore dichiara di non aver subito effetti nel proprio lavoro a causa della malattia, ma questa percentuale deve essere assolutamente aumentata con forme di supporto e tutela più efficaci rispetto a quelle attualmente in essere.

 

Quali interventi state mettendo in campo per l’inclusione sociale dei malati cronici?

 

Nel corso del tempo, FAVO e AIMAC hanno svolto diversi interventi tesi a valorizzare i diritti e la dignità della persona malata e della sua famiglia, il rispetto delle diversità, la solidarietà, l’impegno e la coesione sociale.

Per tali finalità, FAVO e AIMaC negli anni hanno raggiunto importanti risultati a favore dei malati oncologici, mediante l’attività di lobbying grazie alla quale sono stati varati una serie di provvedimenti normativi di forte portata innovativa, tra cui la legge n. 80 del 2006, che ha abbattuto i lunghi e inaccettabili tempi di attesa necessari all’ottenimento dell’accertamento dell’invalidità civile e dell’handicap, riducendoli a soli 15 giorni.

Altra rilevante conquista normativa è stata l’introduzione, nel decreto di attuazione della “Legge Biagi” di riforma del mercato del lavoro, di previsioni specifiche sul part-time per i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, malati di tumore e per i lavoratori che assistono familiari malati. La rilevanza del modello Italia riguardo all’innovativa disciplina del part-time per i lavoratori colpiti dal cancro è stata riconosciuta anche a livello europeo, ed anche dal Parlamento europeo è stata ribadita l’importanza della tutela del lavoro per i malati oncologici. Grazie all’azione di lobbying delle associazioni di volontariato oncologico, prima fra tutte la European Cancer Patient Coalition (ECPC), il Parlamento europeo il 10 aprile 2008 ha adottato la “Risoluzione sulla lotta al cancro in una Unione europea allargata”, fondata su di una visione bio-psico-sociale del problema cancro e delle sue auspicabili soluzioni. Con questa risoluzione, il Parlamento UE ha esortato l’intervento della Commissione nell’adozione di misure normative e di iniziative tese a realizzare azioni concrete, per la protezione sul luogo di lavoro, dei pazienti affetti da tumore e delle persone affette da malattie croniche, al fine di consentire ai pazienti di continuare a lavorare durante la terapia e di favorire il loro reinserimento lavorativo.

Nel 2009 la FAVO ha ottenuto dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione una circolare con la quale sono stati forniti chiarimenti in ordine alle fasce di reperibilità in caso di malattia per i malati oncologici e le modalità flessibili di prestazioni di lavoro, al fine di favorire il recupero e il reinserimento dei lavoratori colpiti da malattie, specie se gravi, e di ridurre al minimo la necessità di rimanere fuori dal ciclo produttivo durante il periodo di cura della patologia.

Altre numerose iniziative si sono realizzate grazie all’input del volontariato oncologico, come ad esempio alcune importanti collaborazioni con aziende nazionali e multinazionali per l’informazione dei dipendenti e la formazione dei responsabili delle risorse umane sul tema del ritorno al lavoro per i malati di cancro. Il materiale informativo prodotto nel 2012 dal tavolo di lavoro diretto dall’Ufficio della Consigliera di Parità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al quale hanno fattivamente partecipato FAVO e AIMaC e le principali sigle sindacali (CGIL, CISL, UIL, UGL e CONFSAL), ha segnato un importante punto di svolta: la brochure Patologie oncologiche e invalidanti. La campagna di comunicazione “Il cancro si combatte anche sul posto di lavoro. Difendi la tua normalità”, voluta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e che viene riproposta di anno in anno, in occasione della Giornata Nazionale del Malato Oncologico, come anche la diffusione di spot televisivi e radiofonici, realizzati da Mediafriends per la FAVO, dimostrano come sia i canali istituzionali pubblici che quelli privati possono contribuire in maniera determinante a far comprendere alla collettività l’importanza del lavoro per il ritorno alla normalità dopo una grave malattia.

 

 

Conciliazione vita-salute-lavoro

 

Quale contributo possono dare le aziende sulle politiche di conciliazione?

 

Un fenomeno molto importante di questi anni è dato dalle nuove tecnologie che permettono di lavorare non più in luoghi di lavoro in senso classico, ma in qualsiasi luogo che permetta al lavoratore di svolgere la sua attività.

Questo fa si che il concetto di presenza in azienda non sia più un elemento essenziale ma una semplice modalità di espletamento della prestazione di lavoro, mentre assume rilievo prevalente il contributo del lavoratore al raggiungimento dell’obiettivo.

Per il malato di cancro, il telelavoro o lavoro a distanza può essere un’ottima soluzione ed un grande aiuto, perché consente di ridurre gli spostamenti casa-lavoro, permette una gestione flessibile dei tempi di lavoro e, pertanto, riduce o elimina del tutto l’allontanamento della persona dall’attività lavorativa.

Purtroppo, non tutte le aziende hanno colto l’occasione e le potenzialità di questo nuovo assetto organizzativo e rendono più difficoltoso per il malato conciliare i tempi delle cure con il lavoro. Un contributo che le aziende possono dare è proprio quello di rimodernarsi a forme di lavoro al passo con i tempi e meno rigide.

 

 

Programmi aziendali di prevenzione e promozione alla salute

 

Secondo Lei, in che modo è cambiato il concetto di prevenzione e promozione alla salute all’interno delle aziende?

 

Nelle politiche di Social Responsability aziendali sono inclusi importanti programmi di prevenzione primaria (incentivi a corretti stili di vita, alimentazione, movimento, divieto di fumo) e secondaria (screening per la diagnosi precoce) mentre non sono contemplati interventi di prevenzione terziaria per chi ha già avuto una malattia grave e cronica ed è a rischio di recidiva o progressione e, comunque, ha necessità di interventi riabilitativi a 360 gradi per essere utilmente reinserito nel contesto socio-lavorativo. A tal proposito, sarebbe fortemente auspicabile l’inserimento di un disability manager, soprattutto nelle aziende di grandi dimensioni, per far emergere i bisogni del lavoratore malato e individuare le relative soluzioni. Penso che ci sia ancora molto lavoro da fare per completare il significato di welfare della persona in ambito lavorativo, affinché diventi realmente inclusivo di tutti gli aspetti del concetto di promozione della salute intesa come ben-essere della persona che può dirsi realizzato solo a seguito di un cambiamento culturale della nozione di servizi aziendali alla persona per tutti i dipendenti, malati e non.

 

 

Relazioni industriali

 

Nel sistema di contrattazione collettiva, cosa manca affinché si possa gestire al meglio un rapporto di lavoro di un dipendente malato cronico?

 

Per gestire al meglio un rapporto di lavoro dovrebbero essere incluse in tutti i CCNL le tutele di maggior favore che sono attualmente previste solo in alcuni. Forse la soluzione ideale sarebbe un normativa ad hoc che racchiudesse le esigenze specifiche di tutti i malati cronici, dipendenti, autonomi e liberi professionisti. In mancanza di una norma di rango legislativo, è oltremodo importante che la contrattazione collettiva richiami esplicitamente ed in maniera organica le tutele previste per i malati cronici contenute in svariati testi normativi un modo che tutte le parti del rapporto di lavoro siano consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.

In alcuni casi, norme specifiche, introdotte nel sistema su istanza di associazioni di malati di una patologia, nel tempo sono state estese anche ad altre malattie croniche. E’ il caso della disciplina per il part-time, strumento di flessibilità, nato nel 2003 per i malati oncologici dipendenti del settore privato, che è stata estesa in un secondo momento (2007) anche ai lavoratori del pubblico impiego e in misura affievolita anche per i lavoratori, pubblici e privati, familiari di malati oncologici (per consentire loro di portare avanti il delicato e prezioso compito di assistenza) e che nel 2015 è stata estesa anche ad altre tipologie croniche, come strumento di inclusione sociale e lavorativa.  Questa tutela è certamente un buon inizio per quel cambiamento culturale che consenta ai malati cronici di mantenere un ruolo attivo all’interno della società. Come già ho accennato prima, il part-time è stato introdotto nella “Legge Biagi” di riforma del mercato del lavoro: l’art. 46 del d.lgs. n. 276/2003 ha modificato la disciplina sul part-time, introducendo per la prima volta nel nostro Paese il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per i lavoratori malati di cancro.

La norma riconosce ai malati che lavorano il diritto di passare dal tempo pieno al tempo parziale per potersi curare con maggiore agio, e garantisce loro il pieno diritto di tornare, successivamente al normale orario di lavoro. Ai familiari lavoratori, invece, è riconosciuto il semplice diritto di precedenza rispetto ad altri colleghi, nella riduzione dell’orario di lavoro. La disciplina del part-time per i lavoratori malati oncologici e per i loro familiari è rilevante non solo perché, per la prima volta, il legislatore ha ritenuto di tutelare specificatamente il diritto costituzionale alla salute e al lavoro, ma anche per la forte valenza innovativa di inclusione sociale e lavorativa di questa normativa che fa registrare un’inversione di tendenza rispetto ai preesistenti interventi di natura meramente assistenziale (che troppo spesso si sono tradotti in forme di esclusione o di allontanamento dal lavoro).

 

 

 

Fabiola Silvaggi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@FabiolaSilvaggi

 

* Elisabetta Iannelli è Avvocato civilista con esperienza prevalente nei diritti del lavoro, della previdenza sociale e dei malati. È vicepresidente dell’Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti ed amici – AIMaC ed è Segretario generale della Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – FAVO.

 

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Rapporto tra malattie croniche e mercato del lavoro – A tu per tu con Elisabetta Iannelli
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