Prove di diritto al lavoro agile all’interno dei provvedimenti d’urgenza da COVID-19?

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Bollettino ADAPT 6 luglio 2020, n. 27

 

Così come avvenuto per le tutele in materia di salute e sicurezza dei rider della gig economy (su cui si veda E. Dagnino, DPI e lavoro da piattaforma: i primi effetti della disciplina sui rider?), la giurisprudenza ha saputo ritagliarsi un importante ruolo in sede di giudizio cautelare anche con riferimento al lavoro agile come misura di contrasto al coronavirus.

 

Con una serie di provvedimenti nell’arco di pochi mesi (Trib. Grosseto 23 aprile 2020, n. 23; Trib. Bologna 23 aprile 2020, n. 758; Trib. Roma 20 giugno 2020, n. 12525; Trib. Mantova 25 giugno 2020, n. 294), la giurisprudenza si è trovata ad esprimersi sulla applicazione della disciplina emergenziale del lavoro agile tempo per tempo vigente. Pur a fronte di discipline applicabili in parte mutate tra la prima delle pronunce e l’ultima, risulta particolarmente interessante trattare quanto emerso all’interno di questa giurisprudenza. Quella che si vuole brevemente sviluppare, però, non è tanto una riflessione su natura ed effetti della disciplina emergenziale, quanto piuttosto una valutazione prospettica rispetto alle possibili conseguenze di un intervento normativo di ridefinizione della disciplina ordinaria del lavoro agile, da più parti (compreso il Ministero) sollecitata.

 

In questo senso, il filo conduttore tra le diverse pronunce e i profili di interesse nella prospettiva di un eventuale intervento di riforma del Capo II della l. n. 81/2017, risulta essere il possibile riconoscimento o la individuazione di un vero e proprio diritto a svolgere la prestazione in regime di lavoro agile.

 

Senza entrare nel merito del periculum in mora – da ricollegare evidentemente alla situazione di emergenza epidemiologica e a condizioni di fragilità o necessità dei lavoratori – le argomentazioni utilizzate dai tribunali per accogliere o rigettare le richieste di parte lavoratrice di poter essere adibiti al lavoro agile offrono, infatti, alcuni elementi di valutazione interessanti per cominciare ad interrogarsi sui possibili effetti della introduzione per legge (già avvenuta, per alcune categorie, nel regime emergenziale) e a regime ordinario di un vero e proprio diritto al lavoro agile. In stretto diritto, in realtà, si può parlare della applicazione del diritto al lavoro agile soltanto con riferimento alle decisioni dei Tribunali di Bologna e Roma (ex art. 39 del c.d. Decreto Cura Italia, con riferimento a lavoratori disabili o con soggetti disabili all’interno del nucleo familiare) e di Mantova (ex art. 90, con riferimento ai genitori con figli di età inferiore ai dodici anni); ciononostante anche il provvedimento del Tribunale di Grosseto –  che si è interessato, invece, del profilo relativo alla possibilità di scegliere tra adibizione al lavoro agile e ricorso alle “ferie” forzate – offre spunti di rilievo su questo aspetto.

 

Al di là della condizione soggettiva che legittima la pretesa di adibizione al lavoro agile ai sensi della disciplina emergenziale, il nodo fondamentale che emerge dai giudizi sommari attiene alla ricorrenza o meno della compatibilità dell’attività lavorativa svolta dal dipendente con la modalità di lavoro agile. A questo proposito, occorre preliminarmente rilevare come la disciplina emergenziale abbia posto due diverse modalità di valutazione, una applicabile con riferimento alla raccomandazione – reiterata anche nei Protocolli stipulati tra le parti sociali e con il governo – di massimo utilizzo della modalità di lavoro agile; l’altra con riferimento al riconoscimento del vero e proprio diritto al lavoro agile. Mentre la raccomandazione – cui come riconosce il Tribunale di Grosseto non può ricondursi una valenza cogente – riguarda tutte le attività che possano essere svolte a distanza o al proprio domicilio, il riconoscimento del diritto al lavoro agile è condizionato alla «compatibilità con le caratteristiche della prestazione» (così sia l’art. 39 d.l. n. 18/2020 che l’art. 90 del d.l. n. 34/2020). Nel primo caso, in ossequio alla promozione della più ampia diffusione possibile, ma anche in coerenza con lo strumento soft con cui si tale finalità è perseguita, la disposizione pare alludere ad un requisito di compatibilità tecnica; nel secondo caso, invece, il riferimento più ampio alle caratteristiche della prestazione sembra invece abilitare ad una valutazione a tutto tondo della compatibilità, che riguarda anche le peculiarità organizzative e relazionali della attività lavorativa.

 

Che tale differenziazione fosse nella mente del legislatore oppure solo negli occhi del singolo interprete, la sfumatura apre comunque la strada ad alcune considerazioni rispetto al ruolo del giudice nella valutazione della ricorrenza della condizione oggettiva del diritto al lavoro agile.

 

Se si guarda alla decisione del Tribunale di Grosseto, il giudizio di compatibilità è svolto – sommariamente, come da natura del provvedimento, e con esito positivo – con esclusivo riferimento alla possibilità di svolgimento da remoto della attività cui è adibito il ricorrente1 concentrandosi poi sulle allegazioni di carattere organizzativo della società, volte a dimostrare l’impossibilità di conferire la necessaria strumentazione al lavoratore e, ancora, a quelle relative alla temporanea inidoneità alla mansione del lavoratore. Molto più stringata risulta essere, sul punto, la decisione del Tribunale di Bologna che ai fini dell’accoglimento della richiesta della lavoratrice, si limita sotto il profilo oggettivo, ad evidenziare che «la compatibilità della modalità agile del lavoro con le caratteristiche della prestazione sembra evidente, poiché svolge mansioni con l’utilizzo del telefono e di strumenti informatici». Quanto al tribunale di Mantova, la valutazione di compatibilità risulta più approfonditamente argomentata anche rispetto alle allegazioni della società: in questo caso, la possibilità dello svolgimento da remoto della prestazione, viene valutato con riferimento alle modalità della prestazione dal punto di vista tecnico (necessità della mera reperibilità telefonica), ma il giudice si spinge a definire le attività di intervento on-site previste dall’azienda, come meramente eventuali, basandosi anche su quanto avvenuto nel breve periodo di adibizione della ricorrente alle specifiche mansioni, così entrando nel merito di scelte attinenti all’esercizio delle prerogative datoriali. Infine, con la decisione del Tribunale di Roma, si giunge all’unico provvedimento di rigetto: in questo caso, a rilevare ai fini della valutazione espressa dal giudice non sono le mansioni di attuale adibizione, ma, in vista della ripresa ordinaria dell’attività, quelle normalmente svolte dal dipendente –  che prevedono «quanto meno in misura rilevante se non prevalente […] la necessità della presenza fisica del dipendente» – cui si aggiungono ad abundantiam le considerazioni relative alla adibizione della moglie al lavoro agile, motivo di per sé sufficiente ad escludere l’applicazione del diritto al lavoro agile ai sensi dell’art. 90 del d.l. n. 34/2020.

 

La breve disamina dei provvedimenti cautelari emessi dai Tribunali consente di rilevare l’importante funzione che, relativamente all’esercizio del diritto al lavoro agile, è destinato a rivestire il giudice intervenendo con valutazioni di merito sulle scelte e le posizioni aziendali a livello organizzativo, potendosi inoltre prevedere come esse dovranno riguardare anche ulteriori aspetti, come per esempio quello della possibile adibizione almeno per turni o a rotazione2. Già in queste prime decisioni si può, però, notare il margine di discrezionalità che il giudice può esercitare e di conseguenza la possibile alea rispetto agli esiti di un giudizio rispetto al riconoscimento della sussistenza delle condizioni oggettive.

 

Posto nella prospettiva di un possibile intervento normativo che riconosca all’interno della disciplina ordinaria il diritto al lavoro agile per alcune categorie di lavoratori – andando oltre al novero di quei lavoratori cui esso già oggi dovrebbe essere riconosciuto in quanto accomodamento ragionevole – occorre interrogarsi su come poter gestire i rischi di contenzioso che potrebbero sorgere a fronte di posizioni discordanti tra lavoratori e datori di lavoro. Occorre osservare a questo proposito come la contrattazione collettiva, già prima del Covid-19, fosse solita non soltanto individuare dei criteri di priorità e dei destinatari delle sperimentazioni di lavoro agile ovvero le condizioni soggettive di accesso, ma anche le condizioni oggettive valorizzando, oltre ai profili tecnici, quelli organizzativi. Da questo punto di vista, laddove si dovesse decidere di introdurre un diritto al lavoro agile, sarebbe opportuno, in una ottica di condivisione delle scelte organizzative, ma anche per evitare possibili contenziosi, coinvolgere le rappresentanze sindacali aziendali per individuare le posizioni che siano compatibili o incompatibili con la modalità di lavoro agile. Dal canto suo, il legislatore potrebbe prevedere che, laddove la definizione delle modalità di individuazione delle attività lavorative compatibili venga effettuata con il coinvolgimento del sindacato in sede di accordo aziendale, questo debba rappresentare un elemento da valutare in sede giudiziale e sovvertibile solo laddove si riscontrasse un chiaro disallineamento tra quanto pattuito e le effettive caratteristiche della prestazione (ipotesi assai residuale). In questo modo si potrebbe ottenere, oltre ad una maggiore certezza del diritto su un profilo spinoso della disciplina, un impulso alla contrattazione collettiva aziendale sul tema del lavoro agile. D’altronde, proprio nel momento in cui la sperimentazione forzata del lavoro agile ha fatto saltare il ruolo del sindacato nell’introduzione del lavoro agile, è emerse con chiarezza l’importanza del ruolo della contrattazione collettiva per delineare modelli di lavoro agile che sappiano rispondere all’interesse di entrambe le parti del rapporto.

 

Emanuele Dagnino

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

 

1 Si sottolinea, infatti, che il ricorrente «svolge […]. mansioni di carattere impiegatizio occupandosi della gestione del contenzioso, in particolare degli insoluti. Si tratta di un’attività cd. di backoffice o, in altri termini, di retro-sportello (cfr. doc. 17 ric.), cui è tipicamente estraneo il confronto diretto con il pubblico».

2 L’aspetto emerge, ancorché in nuce, già in Trib. Grosseto 23 aprile 2020, n. 23.

 

Prove di diritto al lavoro agile all’interno dei provvedimenti d’urgenza da COVID-19?
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