Profili lavoristici nella nuova disciplina dell’Impresa Sociale

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Nell’ambito del generale riordino normativo del variegato mondo del Terzo Settore, il legislatore ha voluto rivolgere una particolare attenzione all’Impresa Sociale, tanto da intervenire con un apposito decreto legislativo, il d. lgs. 3 luglio 2017, n. 112. Oltre a superare i limiti della precedente normativa, abrogandola interamente, l’intento del legislatore di fatto è quello di provare a rilanciare l’impresa sociale quale organizzazione imprenditoriale del Terzo Settore.

 

Si tratta di una riorganizzazione normativa che, in effetti, non stravolge la precedente e che non esaurisce la disciplina delle imprese sociale, laddove ad esse si applicano, se compatibili, le disposizioni del Codice del Terzo Settore. In questo intento riorganizzativo generale, non sono mancati i riferimenti agli aspetti lavoristici, di cui qui si prova ad offrire un breve richiamo.

 

(I) Lavoratori occupabili

 

Dopo aver elencato le attività di impresa che – se svolte in maniera stabile e principale – abilitano alla qualifica di impresa sociale, una particolare attenzione viene posta all’impiego di particolari categorie di lavoratori. Infatti, per quanto riguarda l’aspetto lavoristico, si considera comunque di interesse generale, indipendentemente dal suo oggetto, l’attività d’impresa nella quale, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, sono occupati:

a) particolari categorie di lavoratori svantaggiati (tra le quali: lavoratore privo da almeno 24 mesi di impiego regolarmente retribuito; lavoratore privo da almeno 12 mesi di impiego regolarmente retribuito che appartiene a determinate categorie, espressamente indicate;

b) persone svantaggiate o con disabilità; persone beneficiarie di protezione internazionale; nonché persone senza fissa dimora, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia.

 

Vengono poi stabiliti dei limiti occupazionali delle suddette categorie nella misura minima del 30% dei lavoratori complessivi dell’impresa sociale. Mentre i lavoratori di cui alla lettera a) non possono contare per più di un terzo.

Si tratta di una disposizione molto importante, in quanto la presenza nell’impresa di queste categorie di lavoratori occupati, nel rispetto dei limiti quantitativi di cui sopra, è essa stessa idonea – in coerenza alle finalità indicate – a qualificare l’impresa come sociale.

 

(II) Coinvolgimento dei lavoratori

 

Uno degli aspetti fondamentali per la qualificazione dell’impresa come sociale è quello di favorire il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, intendendosi per coinvolgimento “un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale i lavoratori siano posti in grado di esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale, con particolare riferimento alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi”. Già nei loro statuti, le imprese sociali devono disciplinare: a) i casi e le modalità della partecipazione all’assemblea degli associati o dei soci; b) nelle imprese sociali che superino determinati limiti, la nomina, da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente sia dell’organo di amministrazione sia dell’organo di controllo.

 

(III) Trattamento economico e normativo

 

Importanti disposizioni disciplinano il trattamento economico dei lavoratori impiegati. Innanzitutto, viene indicato che i lavoratori hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fissando di fatto un limite minimo alla retribuzione. Un ulteriore limite è quello che guarda alla differenza retributiva tra lavoratori dipendenti, che non può essere superiore al rapporto uno ad otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda.

 

Oltre alle disposizioni sul trattamento minimo, il decreto stabilisce anche disposizioni sui limiti massimi della retribuzione dei lavoratori: è vietata – infatti – la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, tra gli atri, anche ai lavoratori.

 

(IV) Volontariato e lavoro gratuito

 

Anche per questo modello organizzativo del Terzo Settore, è espressamente ammessa la presenza di attività di volontariato, ma con un limite numerico di lavoratori volontari, che non possono essere più dei lavoratori impiegati. L’Impresa Sociale deve poi tenere un apposito registro dei volontari e deve assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civile verso terzi.

 

In conclusione, a parare di chi scrive la nuova disciplina ha il merito di disciplinare con maggiore chiarezza ed esaustività l’Impresa Sociale, alla quale è data una più completa attenzione rispetto al passato, quasi a volerle riconoscere un ruolo maggiormente centrale all’interno del Terzo Settore. Inoltre, grande attenzione è data ai temi del lavoro. In particolare, sono tre gli aspetti peculiari su cui è giusto soffermarsi:

 

a) L’occupazione di lavoratori molto svantaggiati e di persone svantaggiate in una percentuale minima quale presupposto, tra gli altri, per qualificare l’impresa come sociale. Si tratta di un importante strumento di occupazione e allo stesso tempo di inclusione sociale.

b) La previsione di limiti retributivi tra dipendenti, nella misura massima del rapporto di uno a otto, a dimostrazione dell’intento di voler mitigare le diseguaglianze retributive all’interno di un’unica impresa.

c) La previsione di precise tutele per la figura del volontario e del lavoro gratuito.

 

Valerio Gugliotta

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@valerio_gugliot

 

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Profili lavoristici nella nuova disciplina dell’Impresa Sociale
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