Produttività: un enigma francese?

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Productivité: une énigme française?”. È questo il titolo della conferenza sui temi della produttività e dell’evoluzione del mercato del lavoro in Francia organizzata a Parigi da France Strategie, istituzione pubblica creata nel 2013 come «laboratorio pubblico di idee, di concertazione e di riflessione», e la Banque de France. L’obiettivo è stato quello di formulare una diagnosi dell’attuale situazione socio-economica del Paese, in comparazione anche con gli altri Stati europei, e di proporre raccomandazioni e proposte sul tema.

 

Ad aprire il confronto è il Governatore della Banca di Francia, François Velleroy de Galhau, sostenendo che il fenomeno del rallentamento dei livelli di produttività, che interessa la Francia ormai dagli anni ’70 del secolo scorso, concerne tanto la produttività del lavoro quanto la produttività totale dei fattori (TFP, Total Factor Productivity). Modesta è stata anche la ripresa all’uscita dalla Grande Recessione del 2008; pur essendo passati ormai quasi dieci anni dai primi segni della crisi scoppiata in USA, sono solo tre anni che in Francia cominciano a manifestarsi segnali di ripresa e appena due anni che il tasso di disoccupazione registra un calo.

 

Secondo Fabrice Lenglart, di France Strategie, il crollo della produttività del lavoro negli anni 2008-2009 è stato finanche più forte di quello avuto durante la recessione del 1992. Agli inizi degli anni ’90, di fatti, le imprese mostravano maggiore reticenza nel licenziare lavoratori qualificati, dal momento che il loro savoir-faire sarebbe stato più difficile da recuperare nella futura fase di ripresa; sintomo evidente, questo, della scarsa capacità dell’economia francese, a detta dello stesso Lenglart, di riallocare risorse verso le imprese più performanti, soprattutto nel settore manifatturiero. Alla luce di un tasso di crescita nel 2016 pari all’1,1%, studi e statistiche nazionali ed internazionali ipotizzano un lieve miglioramento della produttività francese – si parla dello 0,1% – accompagnato da livelli ancora relativamente alti del tasso di disoccupazione strutturale (l’anglosassone NAIRU – Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment), pari al 9% circa.

 

Alla luce di tali dati di contesto, la domanda alla quale si è tentato di dare una risposta e che fa da fil rouge dell’intero dibattito è dunque la seguente: tale rallentamento della produttività in Francia rappresenta un unicum nel panorama europeo? Anticipando la risposta, al fine di un’esegesi delle argomentazioni avanzate, ciò che emerge dagli interventi di tutti gli relatori[1] è che il fenomeno, in realtà, accomuna la maggioranza degli Stati Membri e che anzi, se è vero che esiste una particolarità francese all’interno del quadro comune, essa ha invero note positive: la Francia, difatti, insieme a Germania e Stati Uniti, risulta tra i Paesi aventi una produttività oraria tra le più elevate su scala globale. L’enigma di cui si fa cenno nel titolo della Conferenza, dunque, è di carattere collettivo. Interessanti, a parere di chi scrive, le tre chiavi di lettura della problematica fornite nel corso dell’incontro.

 

La prima, affrontando la questione dal punto di vista della new economy e della digitalizzazione, ricollega il problema della lenta crescita economica a probabili errori nella misurazione della stessa; errori dovuti proprio agli stravolgimenti apportati da quella che i francesi chiamano l’“économie numérique”. In un precedente studio attinente all’economia americana, la Banca di Francia ha mostrato come le principali fonti di errore si sono rivelate essere da una parte la stima dei prezzi delle nuove tecnologie e dall’altra la difficoltà di tracciare e contabilizzare l’ingresso e l’uscita dei nuovi beni nel mercato. Ronan Mahieu, dell’Istituto Nazionale di Statistica e degli Studi Economici (INSEE), cita proprio fenomeni come Leboncoin (piattaforma di vendita di beni di seconda mano tra privati), Blablacar e Airbnb, o anche il modello Wikipedia – che pur non incidendo direttamente sul PIL, ha senza dubbio un forte impatto indiretto sulla produttività, consentendo un accesso facile ed immediato alla cultura, con tutti i benefici che ne conseguono – per rendere esemplificativa la questione della difficoltà della contabilizzazione, ma anche della allocazione di questi beni e/o servizi. In realtà, sono come sempre due le facce della medaglia: se da una parte internet è suscettibile di favorire lo sviluppo del lavoro clandestino, infatti, è anche vero che esso è in grado di fornire metodi di tracciabilità nuovi, oltre che lo sviluppo di attività sul territorio, nel caso di specie francese, da parte di società domiciliate fiscalmente all’estero.

 

La crescita del cd. capitale immateriale, dunque, fa del come e dove misurare la produttività la sfida del futuro, così come brillantemente evidenziato da Philppe Alghion, professore presso il Collegio di Francia, il quale, citando l’opera “Teoria dello sviluppo economico” del 1911 di J.A. Shumpeter, asserisce che «la rivoluzione tecnologica non ha solo cambiato la tecnologia di produzione di beni e servizi, ma ha cambiato anche e soprattutto la tecnologia di produzione delle idee». La celebre teoria della creative distruction (distruzione creativa o creatrice) di Shumpeter, dunque, è esplicativa anche del fenomeno contemporaneo per cui, con l’avvento e il costante sviluppo delle nuove tecnologie, conosciamo la sola crescita monetaria, ma non anche quella reale.

 

Dibattuto, in realtà, anche quanto, ad oggi, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione contribuiscano realmente alla crescita economica del Paese e quanto il verosimile rallentamento strutturale del contributo del progresso tecnologico sia esplicativo anche del rallentamento della crescita della produttività. A fronte di chi ritiene che nel futuro l’apporto sarà sempre minore, il Governatore Villeroy sostiene la tesi per cui in Francia ci sia ancora ampio margine di progresso in materia di diffusione delle ICT (Information and Communication Technology) e che la sfida sia raggiungere i livelli di USA e UK per poter constatare aumenti sostanziali di crescita.

La seconda chiave di lettura, invece, analizza il tema dal punto di vista degli investimenti. Più precisamente, indaga l’an e il quantum degli investimenti pubblici e privati per l’innovazione e la formazione, iniziale e continua. Philippe Askenazy, del Centro per la Ricerca Economica e Sue Applicazioni (CEPREMAP), parla di «investimenti intangibili» in riferimento a quelli finalizzati alla formazione delle risorse umane e/o della futura forza lavoro, soprattutto in considerazione del nuovo e costante bisogno delle imprese di assumere lavoratori aventi competenze nel campo delle nuove tecnologie. L’equazione che ne desume è degna di mezione: domanda aciclica crescente di diplômés (soggetti qualificati, a qualunque titolo) = produttività pro-ciclica, per cui, constatato un aumento della domanda di forza lavoro specializzata, non dipendente dal ciclo economico, il risultato che si ottiene è una produttività pro-ciclica, cioè positivamente correlata col PIL.

 

Eppure, secondo Giuseppe Nicoletti, Responsabile della Divisione di Analisi delle Politiche Strutturali dell’OCSE, il problema del rallentamento della produttività in Francia è strettamente connesso ad un problema di riallocazione efficiente delle risorse verso le imprese più produttive, entrambi dipesi da un’incapacità delle istituzioni ad adattarsi velocemente al cambiamento tecnologico. Proprio uno studio dell’OCSE dimostra come la Francia sia assolutamente in grado di formare lavoratori qualificati e specializzati, ma non di collocarli nel mondo del lavoro coerentemente al loro background formativo, generando un problema non di sottoqualificazione, come spesso si riscontra in altri Paesi europei, bensì l’esatto contrario.

 

Infine, la terza ed ultima chiave di lettura parte dall’assunto per cui il costo nominale dei fondi propri in Francia sia da considerarsi eccessivo, pari all’8-9% circa per le grandi imprese, causa – anche questa – di un deficit di investimento che comporta altresì una riduzione del tasso interno di rendimento. [Per una definizione di fondi propri si rimanda al Reg. UE n. 575/2013 del 26 giugno 2013]. Auspicabili e necessari, al contrario, sono maggiori investimenti nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, oltre che nella Ricerca e Sviluppo, al fine di incorporare le innovazioni nel processo di produzione contemporaneo. Di conseguenza, ciò a cui il Paese ha l’onere di porre rimedio è la natura eccessivamente rischiosa di questi investimenti rispetto ad altre tipologie, dal momento che essi combinano un valeur de revente (lett. valore di rivendita) debole, se non addirittura inesistente, ed entrate future incerte.

 

Tre, in sostanza, appaiono essere le criticità del sistema socio-economico francese su cui urge intervenire:

  1. penuria di investimenti pubblici e privati in nuove tecnologie, ricerca e sviluppo;
  2. assenza di un sistema strutturato ed efficiente di formazione iniziale e continua;
  3. mercato del lavoro e politiche attive: come combinare sostegno alla produttività e sostegno al lavoro?

 

Altrettante le considerazioni emerse da uno studio della Commissione Europea:

  1. rigidità del mercato del lavoro e lentezza nella riallocazione delle risorse nonché nell’adozione delle nuove tecnologie;
  2. mancanza di adeguatezza della mano d’opera e della capacità d’innovazione dell’economia interna, caratterizzata da minor dinamicità rispetto ad altri Paesi concorrenti;
  3. numero eccessivo di piccole imprese e ostacoli alla concorrenza nei servizi.

 

Unanime è la convinzione per cui lo sviluppo economico e la crescita della produttività siano strettamente connesse con il mondo dell’istruzione e della formazione. Risulta, dunque, strategico rafforzare il legame tra sistema educativo e mondo del lavoro, in primis attraverso una riforma dell’apprendistato e della formazione professionale, rivolta soprattutto ai soggetti senza occupazione e/o scarsamente preparati. In questa prospettiva, l’obiettivo non è necessariamente quello di ottenere una manodopera altamente qualificata, quanto piuttosto garantire competenze specifiche a tutti i livelli. Vari, d’altronde, i margini di recupero ancora esistenti per il Paese, riscontrabili, in particolare, nei settori dell’avanzamento tecnologico, del divario di produttività tra le imprese, del mercato dei beni e servizi, nonché della riallocazione della manodopera.

L’agenda fiscale, invece, contempla innanzitutto la necessità di ridurre il costo del lavoro e delle imposte sulla produzione, insieme anche al tasso nominale dell’imposta sul reddito delle società.

Le previsioni per il periodo 2015-2060, d’altro canto, sono assolutamente positive: in ipotesi di una nuova ondata tecnologica, abbinata a riforme strutturali, è previsto, difatti, un aumento della crescita del PIL pari al 3%. La Francia, peraltro, «non può accontentarsi di previsioni di flebile ripresa, ma deve ambire a meglio», afferma il Governatore Villeroy, ciò riconducendo al bisogno di riforme che vertano su quelle che egli chiama «le quattro e»: Entreprise, Education, Emploi, État (i.e. Impresa, Educazione, Lavoro, Stato).

 

L’esempio dei Paesi del Nord Europa, difatti, dimostra ampiamente che riforme di questo tipo sono compatibili con il modello sociale europeo condiviso (caratterizzato da efficienza del servizio pubblico e riduzione delle ineguaglianze), per cui riformare non equivale a rinunciarvi.

Tutto quanto sopra detto, mentre per l’Italia il Fondo Monetario Internazionale ha da pochi giorni pubblicato il Country Report 2017, in cui, parlando di dati incoraggianti per il primo trimestre dell’anno, riporta «proiezioni di crescita pari all’1,3% circa», sebbene «una debole produttività ed un basso livello totale di investimenti restano la sfida principale per una crescita più rapida, ostacolata da debolezze strutturali, un elevato debito pubblico e da debolezze nei bilanci delle banche».

 

Silvia Scocca

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@Silvia Scocca

 

[1] Hanno partecipato alla Conferenza: François Villeroy de Galhau, Governatore della Banca di Francia; Fabrice Lenglart, Commissario Generale Aggiunto per France Stratégie; Fabrice Lenglart, France Stratégie; Philippe Askenazy, CMH-CNRS-ENS e Cepremap; Rémy Lecat, Banca di Francia; Ronan Mahieu, INSEE; Giuseppe Nicoletti, OCDE ; Claire Waysand, Ispettorato delle Finanze; Philippe Aghion, Professore presso il Collège de France; Gilbert Cette, Banca di Francia; Vincent Aussilloux, France Stratégie; David Hemous, Università di Zurigo; Michel Houdebine, Direzione Genrale del Tesoro (Ministero dell’Economia); Francis Kramarz, CREST – ENSA; Xavier Ragot, OFCE; Emmanuelle Maincent, Capo Unità ECFIN (Commissione Europea); Jean-Luc Tavernier, INSEE.

 

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