Previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa: alcune prime considerazioni sull’VIII Report Itinerari Previdenziali

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Bollettino ADAPT 13 settembre 2021, n. 31

 

È stato presentato settimana scorsa, con un doppio appuntamento a Milano e Roma, l’VIII Report su “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2020” a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Lo studio, come di consueto, fornisce una panoramica sui principali investitori istituzionali del nostro Paese, ricomprendendo all’interno di tale campo un ampio insieme di soggetti, tra cui anche i fondi pensione negoziali e i fondi di assistenza sanitaria integrativa. Pertanto, alcune delle principali evidenze presentate nel Rapporto chiamano in causa le parti sociali – le quali attraverso la contrattazione collettiva si fanno promotrici di questi fondi – e permettono di portare avanti alcune prime considerazioni sullo sviluppo futuro delle politiche di welfare contrattuale.

 

In primo luogo, sul piano della previdenza integrativa, i fondi pensione negoziali mostrano, sulla base dei dati, un buono stato di salute in termini di adesioni complessive, con 100.000 iscritti in più nel 2020 rispetto al 2019, che confermano anche in un anno così complesso un trend di crescita già in atto da diverso tempo. Tuttavia, osservando con attenzione la crescita negli anni delle adesioni, si nota come un notevole contributo all’aumento degli iscritti sia dovuto a due specifiche novità: da un lato, l’introduzione nel 2007 del meccanismo di iscrizione tramite conferimento per silenzio assenso del trattamento di fine rapporto, secondo il quale, qualora entro 6 mesi dall’assunzione il lavoratore non esprima alcuna indicazione relativa alla sua destinazione, il datore di lavoro trasferirà il TFR maturando alla forma pensionistica prevista dalla contrattazione collettiva. Dall’altro lato, un ulteriore aumento degli iscritti si è registrato a partire dal 2015, anno in cui alcuni CCNL e accordi territoriali hanno iniziato a introdurre meccanismi di adesione contrattuale, in cui è stabilito il versamento automatico da parte delle aziende del contributo datoriale per tutti i dipendenti a cui si applica il contratto.

 

Questi strumenti, se da una parte hanno permesso di passare dagli 1,2 milioni circa di iscritti del 2006 agli oltre 3,2 milioni attuali, dall’altra parte hanno contribuito ad ampliare il problema – sottolineato nella relazione del presidente COVIP Padula durante l’incontro di presentazione a Roma – dei versamenti bassi o assenti da parte degli iscritti ai fondi. Secondo quanto riportato nel Report, tra i quasi 1,2 milioni di iscritti “contrattuali” ai fondi negoziali del 2020, il 36% non ha alimentato nel corso dell’anno la propria posizione contributiva e, in via generale, la contribuzione media per iscritto si attesta a “soli” 120 euro annui. È pur vero che, come segnalato dal Centro Studi e Ricerche, oltre alle generali campagne di sensibilizzazione in materia di previdenza complementare vi sono state specifiche iniziative da parte dei fondi pensione per incentivare la contribuzione degli aderenti contrattuali. Tuttavia, questi dati mostrano come la strategia delle parti sociali in materia previdenza complementare, nel lungo periodo, non possa basarsi in buona parte su meccanismi automatici, che non tengono sufficientemente conto di una reale consapevolezza dei lavoratori sulle opportunità offerte e portano ad un numero di adesioni complessivo rilevante solo sulla carta. La strada di introdurre meccanismi contrattuali incentivanti, che prestino particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione lavorativa e implichino una reale scelta (e impegno) da parte dei lavoratori, appare quindi maggiormente funzionale a valorizzare i fondi negoziali nel lungo periodo.

 

Sul piano dell’assistenza sanitaria integrativa, invece, le stime di Itinerari Previdenziali attestano per il 2020 circa 13,7 milioni di iscritti a fondi, casse e società di mutuo soccorso. Si tratta di una quota molto importante, ripartita tra lavoratori dipendenti, autonomi familiari a carico e pensionati e trainata dalle nuove adesioni ai fondi di categoria istituiti dai contratti collettivi nazionali. Non a caso, tra i principali 50 soggetti che si occupano di assistenza sanitaria, secondo le stesse stime del Report, spiccano i nomi dei fondi sanitari contrattuali dei settori più rilevanti del mercato del lavoro italiano, dal mondo della manifattura a quello del terziario. Numerosi rinnovi nazionali, del resto, hanno potenziato notevolmente in questi anni il capitolo dedicato all’assistenza sanitaria, con politiche contrattuali tese a spostare il baricentro dalle forme di assistenza sanitaria integrativa aziendali ai fondi di settore e un progressivo ampliamento dei potenziali iscritti ai fondi, aprendo la strada in numerosi casi all’iscrizione dei familiari dei lavoratori e dei pensionati.

 

Una tale crescita nei numeri degli utenti, accompagnata da un progressivo ampliamento delle prestazioni offerte ai lavoratori – come si è potuto osservare con i pacchetti ad hoc introdotti nelle fasi più acute dell’emergenza sanitaria (si veda S. Spattini, M. Dalla Sega, Ruolo della contrattazione collettiva nel ricorso al welfare aziendale per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza Covid-192020) – pone inevitabilmente un tema di sostenibilità delle spese sanitarie da parte dei fondi, i quali sono tenuti a garantire prestazioni articolate per una platea sempre più numerosa e diversificata di soggetti. Pertanto, tale scenario porta innanzitutto a tenere sotto attenta osservazione, nei prossimi anni, quei casi di settore (si veda ad esempio l’ultimo rinnovo del CCNL dell’industria metalmeccanica) in cui l’assistenza sanitaria è stata estesa anche ai pensionati, al fine valutare l’impatto di tale novità sui fondi contrattuali di riferimento. In secondo luogo, appare chiaro che per offrire un range di servizi sempre più ampio occorrano fondi di grandi dimensioni: l’impressione è che, nell’attuale panorama contrattuale nazionale, a differenza di quanto avviene sul piano della previdenza complementare, permangano tuttora all’interno della stessa macro-area settoriale troppi fondi di piccole dimensioni, i quali nel lungo periodo rischiano di non avere strutture e dimensioni patrimoniali in grado di reggere sforzi economici sempre più importanti. La sfida futura per le parti sociali consisterà nel mettere da parte alcune istanze di categoria – che negli anni hanno permesso di mantenere in piedi piccoli fondi legati a specifiche aree contrattuali – e andare nella direzione di un progressivo accorpamento verso i principali fondi.

 

Sullo sfondo rimane infine un’ultima questione, sempre nel campo dell’assistenza sanitaria integrativa. Come anticipato, i dati sul 2020 presentati in merito a fondi, casse e società di mutuo soccorso consistono in stime a cura di Itinerari Previdenziali, dato che gli ultimi dati ufficiali (parziali) sul settore sono quelli forniti dall’Anagrafe del Ministero della Salute, comunicati nel 2017 e relativi al 2016. Già questo elemento rappresenta un primo segnale della difficoltà di compiere puntuali analisi quantitative e qualitative sui fondi di assistenza sanitaria nel nostro Paese, considerando peraltro che – come segnala lo stesso Centro Studi e Ricerche – rispetto ai fondi viene semplicemente attestata la semplice esistenza in vita, in base a una serie di documenti, senza ulteriori controlli.

Occorre poi tenere presente che, da un lato, nel settore mancano tuttora una normativa-quadro di riferimento entro la quale possano operare i fondi, nonché un’autorità di vigilanza con compiti di controllo e monitoraggio. Dall’altro lato, in assenza di obblighi specifici sul punto, permane una generale mancanza di trasparenza, da parte di buona parte degli stessi fondi, in termini di pubblicazione dei bilanci e dei dati sugli iscritti. Richiedere regole più chiare e un monitoraggio costante sul tema, garantendo allo stesso tempo una maggiore trasparenza da parte dei propri fondi di riferimento, dovrebbe rappresentare in questo senso una priorità per le parti sociali. In questo modo, i principali fondi contrattuali potrebbero uscirne ulteriormente valorizzati e si sgombrerebbe il campo da possibili fenomeni di dumping contrattuale, in cui prestazioni di assistenza sanitaria integrativa erogate da soggetti bilaterali di dubbia legittimità rientrano nel trattamento complessivo contrattuale dei lavoratori.

 

Michele Dalla Sega

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@Michele_ds95

 

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