Pregi e difetti del Jobs Act renziano

“Alla fine la riforma del lavoro avrà una forma più liberale che sindacale. Per questo penso che per ora stia vincendo Renzi (che è riuscito a prendersi pure i complimenti europei su un testo che ancora non esisteva), ma il confronto con la sua minoranza alla Camera (più che sulle piazze) sarà duro”. Giunge a questa conclusione Emmanuele Massagli, presidente del think tank Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. Massagli è stato anche coordinatore della segreteria tecnica del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. 
 
Ecco la conversazione con Formiche.net.
 
Massagli, sbaglio o il testo approvato dal Senato non cita l’articolo 18?
 
In nessuna delle versioni circolate prima e dopo l’approvazione al Senato è citato l’articolo 18! L’intenzione del governo non è infatti quella di intervenire direttamente sulla disciplina del licenziamento, quanto sulle regole del contratto a tempo indeterminato.
 
E le novità quali sarebbero?
 
Le novità interverebbero, inevitabilmente, solo per i nuovi contratti, che nei casi di licenziamento economico avrebbero la tutela della reintegra sostituita sempre dall’indennizzo economico crescente in proporzione all’anzianità aziendale (questa è la “tutela crescente”); nei casi di licenziamento disciplinare la tutela sarebbe o economica o reale (reintegra) secondo la tipizzazione che dovrebbe essere contenuta nei decreti attuativi; nei casi di licenziamento discriminatorio la tutela è solo reale, ma questo non è mai stato messo in dubbio, né potrebbe causa contrasto con le normativa internazionali e la Costituzione.
 
Però Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in Senato ha detto che il governo interverrà sull’articolo 18.
 
Qualora coi decreti il governo intervenisse direttamente sull’articolo 18 vi sarebbe forse un superamento dei principi di delega. La dottrina si sta esprimendo in questo senso, ma non credo che il governo procederà così.
 
L’articolo 18 non è citato, eppure la Cgil denuncia i “soprusi” insiti nel Jobs act. Non riesco a capire… Mi aiuta?
 
La Cgil denuncia preventivamente soprusi ogni volta che è in discussione una legge in materia di lavoro… Ciò detto è vero che questo “aggiramento” dell’articolo 18 mira allo svuotamento progressivo della norma, non foss’altro che per esaurimento dei garantiti, visto che i nuovi contratti dovrebbero essere stipulati secondo la nuova disciplina. Si tratterebbe della caduta di una “bandiera” sindacale.
 
Allora qual è la reale portata riformatrice del Jobs Act?
 
Rimango convinto che questa battaglia sull’articolo 18 sia molto significativa dal punto di vista politico e simbolico. Può avere anche rilievo economico qualora Renzi grazie a una normetta così riuscisse a convincere gli imprenditori che qualcosa sta cambiando e quindi a re-incoraggiarli a investire. Da un punto di vista “tecnico” e della copertura quantitativa (quante persone interessate) però la norma stravolge ben poco. I contenuti più riformatori del Jobs Act sono altri, in primis la possibilità di demansionamento, i nuovi ammortizzatori sociali, la regia unificata delle politiche attive.
 
Il contratto a tempo indeterminato, che sarà agevolato, diventerà dunque il pilastro del mercato del lavoro. Condivide l’impostazione del governo?
 
No. E non mi piace l’espressione “contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro” contenuta nel nuovo articolo 4 lettera b) come maxiemendato dal Governo. Forse è una concessione solo terminologica alla minoranza Pd, ma è una definizione anacronistica. La Fornero definiva il contratto a tempo indeterminato come “prevalente”. Ora è “privilegiato”, forse addirittura più forte come espressione. Ma sono entrambe ipocrite. Il 70% dei nuovi contratti di lavoro è a termine. E sempre di meno pesa nel mercato del lavoro la subordinazione tradizionale, quella caratterizzata da mansioni rigide, declaratorie datate, orari di lavoro, direttive, turni etc… Il nuovo contratto a tempo indeterminato non avrà l’articolo 18, ma sempre questo è l’impianto. Ed è superato.
 
Non mi è chiaro il quadro sul demansionamento dopo gli ultimi interventi. Lo spiega?
 
Siamo nel campo dell’interpretazione… Comunque il comma originario è stato emendato. Ora si prevede comunque una (necessaria) revisione della disciplina delle mansioni, permessa però in caso di riorganizzazioni, ristrutturazioni o conversioni aziendali provate da parametri oggettivi. Saranno previsti limiti alla modifica dell’inquadramento (quindi permesso) e saranno da tutelare le condizioni economiche del lavoratore (questa espressione mi pare lasci spazio anche alla possibilità di decontribuzione). E’ una materia che sarà molto condizionata dal taglio del decreto delegato. Può essere una notevole novità come può essere un nulla di fatto.
 
Si dice più tutele e sussidi per i disoccupati. Ma in che forme e quanti miliardi servono? E come si intrecciano queste innovazioni rispetto all’Aspi prevista dalla Fornero?
 
Si dice anche che dall’attuazione delle deleghe non devono derivare i classici “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Per realizzare i piani anticipati dai più convinti sostenitori renziani del Jobs Act potrebbero servire circa cinque miliardi. L’esito realistico potrebbe essere solo qualcosina in più di una “correzione evolutiva” della riforma Fornero pagata dai nuovi contributi per la Cassa Integrazione richiesti alle imprese che ora non li pagano (ma negli anni hanno sfruttato la Cassa in deroga, destinata a scomparire).
 
Alla fine “vincerà” la componente più coraggiosa o quello più conservativa?
 
In questa delega teoricamente può starci tanto una riforma in senso anglosassone del nostro diritto del lavoro, quanto una ulteriore restrizione della legge Biagi. Osservo che i senatori Sacconi e Ichino si complimentano per il testo e lo difendono strenuamente, mentre Damiano e Cgil protestano e attaccano. Da questo deduco che entrambe le parti sappiano che se il testo viene approvato così i decreti delegati, per volontà di Renzi, avranno una forma più liberale che sindacale. Per questo penso che per ora stia vincendo Renzi (che è riuscito a prendersi pure i complimenti europei su un testo che ancora non esisteva), ma il confronto con la sua minoranza alla Camera (più che sulle piazze) sarà duro.
 

Emmanuele Massagli

Presidente di ADAPT

@EMassagli

 


* Pubblicato anche su Formiche.net, 10 ottobre 2014.
Pregi e difetti del Jobs Act renziano
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