Politically(in)correct – Il lavoro prima del diluvio

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 Con le consuete e incomprensibili concessioni al luogo comune corrente secondo il quale il mercato del lavoro nostrano sarebbe dominato dalla precarietà, l’Inps continua a definire “Osservatorio sul Precariato” (la P maiuscola non è una nostra licenza) il report periodico recante i dati sui nuovi rapporti di lavoro. Si tratta comunque di un’iniziativa lodevole e di un documento utile che compie un monitoraggio puntuale e ravvicinato sui flussi nella loro dinamica. Riteniamo opportuno soffermarci sui dati complessivi dei primi sette mesi dell’anno (gennaio-luglio), per essere così in grado di chiudere una sorta di bilancio degli effetti delle politiche del lavoro della XVII legislatura in attesa di aprirne un altro, nei prossimi mesi, con riferimento alle politiche adottate, nell’attuale, dalla nuova maggioranza.

 

Ovviamente, i trend dell’occupazione sono influenzati da un complesso di circostanze molto più ampie e variegate di quelle riconducibili agli interventi del legislatore, i quali, se possono aiutare il lavoro in taluni casi, sono certamente in grado di determinare in tanti altri, e in misura maggiore, veri e propri danni ed ostacoli. Marco Biagi ci ha insegnato che, sul terreno dell’occupazione, non esiste un incentivo economico che sia in grado di compensare gli effetti di un disincentivo normativo.

 

I primi sette mesi dell’anno si chiudono prima dell’entrata in vigore del c.d. decreto dignità (legge n.96/2018: il biglietto da visita del governo giallo-verde in materia di lavoro); quindi i dati sui flussi costituiscono una specie di consegna tra due diverse fasi politiche contraddistinte da profonde differenze: tra ciò che è stato fatto in una logica di migliore flessibilità e quanto si farà tornando ad ingessare le regole. Quello che raccoglie i dati da gennaio a luglio non è certo un bollettino della vittoria (e non è firmato da Armando Diaz), ma è pur sempre un risultato importante da non sottovalutare e, soprattutto, da non invertire con politiche sbagliate. Riportiamo di seguito la dinamica dei flussi.

 

Complessivamente le assunzioni, riferite ai soli datori di lavoro privati, nel periodo gennaio-luglio 2018 sono state 4.597.000: sono aumentate del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2017. In crescita risultano tutte le componenti: contratti a tempo indeterminato +1,8%, contratti a tempo determinato +6,0%, contratti di apprendistato +11,8%, contratti stagionali +3,3%, contratti in somministrazione +13,5% e contratti intermittenti +6,8%. Nei primi sette mesi dell’anno – continua il Report – si conferma l’aumento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato (+101.000), che registrano infatti un fortissimo incremento rispetto al periodo gennaio-luglio 2017 (+59,0%). In contrazione nel periodo gennaio-luglio 2018 i rapporti di apprendistato confermati alla conclusione del periodo formativo (-18,2%). Le cessazioni nel complesso sono state 3.560.000, in aumento rispetto all’anno precedente (+10,7%): a crescere sono le cessazioni di tutte le tipologie di rapporti a termine, soprattutto contratti intermittenti e in somministrazione, mentre diminuiscono quelle dei rapporti a tempo indeterminato (-4,5%). Nei primi sette mesi del 2018 sono stati incentivati 70.297 rapporti di lavoro con i benefici previsti dall’esonero triennale strutturale per le attivazioni di contratti a tempo indeterminato di giovani (Legge n. 202 del 27/12/2017): 38.508 riferiti ad assunzioni e 31.789 relativi a trasformazioni a tempo indeterminato. Il numero dei rapporti incentivati è pari al 6,9% del totale dei rapporti a tempo indeterminato attivati.

 

Quest’ultimo dato è molto significativo perché dimostra che gli incentivi alle assunzioni non sono di per sé la soluzione del problema. Le aziende assumono generalmente il personale di cui hanno bisogno, anche prescindendo dai bonus fiscali e contributivi loro riconosciuti; è assai improbabile, invece, che procedono ad assunzioni unicamente per incassare lo sconto sul costo del lavoro. Anzi, si potrebbe pensare che molte assunzioni incentivate (non così le trasformazioni) sarebbero state compiute ugualmente per rispondere a reali esigenze produttive.

 

Per quanto riguarda il lavoro occasionale la nuova disciplina anti-voucher ha ottenuto il suo scopo, riducendolo ad un ruolo assolutamente marginale di qualche migliaio di unità.

 

Come se ci fosse un testamento da consegnare ai posteri, anche la Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione del secondo trimestre dell’anno in corso (redatto e pubblicato in sinergia dal Ministero del lavoro, Istat, Inps, Inail ed Anpal) ha voluto tracciare – in data 18 settembre – un resoconto compiuto sull’andamento del mercato del lavoro. Come se fosse un canto del cigno.

 

Nel secondo trimestre 2018 si osserva – stando alla descrizione del quadro di insieme – una importante crescita dell’occupazione sia rispetto al primo trimestre sia a livello tendenziale, in leggera accelerazione rispetto al trimestre precedente. Le dinamiche del mercato del lavoro si sono sviluppate – l’osservazione merita di essere sottolineata – in un contesto di lieve rallentamento della crescita del Pil (+0,2% in termini congiunturali e +1,2% su base annua) rispetto al ritmo registrato nei due trimestri precedenti; l’input di lavoro misurato in termini di Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) registra una dinamica più rapida di quella del Pil a livello congiunturale (+0,4%) e più lenta su base tendenziale (+0,9%). Il tasso di occupazione destagionalizzato è risultato pari al 58,7%, in notevole crescita (+0,5 punti percentuali) rispetto al trimestre precedente. L’aumento interessa tutte le classi di età (anche a livello tendenziale). L’indicatore supera di oltre tre punti il valore minimo del terzo trimestre 2013 (55,4%), tornando ai valori pre-crisi e sfiorando il livello massimo del secondo trimestre del 2008 (58,8%).

 

Vi è riportato poi qualche chiarimento politically(in)correct per quanto riguarda il lavoro dei giovani. Al netto della componente demografica (trascurata solitamente nelle analisi), l’aumento dell’occupazione – secondo la Nota trimestrale – sarebbe più accentuato per i giovani, meno forte per gli over50 e avrebbe riguardato anche i 35-49enni. Riguardo alla disoccupazione, sarebbe stato leggermente meno intenso sia il calo per gli under 49 che l’aumento degli ultracinquantenni. Sempre al netto della componente demografica, l’inattività sarebbe diminuita di meno sia per i 15-34enni sia per i 35-49enni, e di più per i 50-64enni. La simulazione tuttavia – precisa il documento – non include gli altri possibili effetti sottostanti alla diversa composizione per età della popolazione: dal numero di individui che concorrono a una posizione lavorativa, al diverso capitale umano impiegabile nel processo produttivo, alle differenti opportunità di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

 

In ogni caso, occorrerebbe parafrasare il principe Amleto quando dice all’amico Orazio che ci sono più cose tra il cielo e la terra che in tutta la sua filosofia. La considerazione vale anche per gli andamenti del mercato del lavoro rispetto alla loro solita, ripetitiva e stantia rappresentazione di una notte in cui tutte le vacche sono nere.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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