Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Le politiche del lavoro: aumenta la spesa, diminuiscono i soggetti beneficiari

La pubblicazione del Ministero del Lavoro  è recente (luglio 2015);  i dati statistici riassumono  l’andamento della  spesa per  le politiche occupazionali e del lavoro nell’arco di tempo compreso tra il 2009 e il 2013, sia per quanto riguarda le politiche attive (definite misure), sia quelle passive (definite supporto).

 

Il 2013 si è caratterizzato come l’anno della riduzione più drastica dell’occupazione dall’inizio della crisi. Infatti, fino alla seconda metà del 2012  la flessione dell’occupazione era stata contenuta dalla riduzione delle ore lavorate e dal ricorso alla Cassa integrazione. Nel 2013, in corrispondenza di un forte calo del Pil (-1,9%),  il mercato del lavoro fece registrare una flessione di 478mila unità (-2,1% rispetto all’anno precedente).  Il peggioramento degli indicatori ha coinvolto, in particolare, i giovani, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il 2009 e il 2013 il tasso di occupazione dei 15-29enni è risultato pari al 33% con una diminuzione di poco più di 7 punti percentuali di cui 3 punti nel 2012-2013. La spesa complessiva, sostenuta per le politiche del lavoro nel 2013, ha raggiunto i 29,7 miliardi di euro, quasi il 2% del Pil  (29,4 miliardi nel 2012). La crescita ha riguardato esclusivamente le politiche passive (+1,6%) che rappresentavano  – con 24,3 miliardi – la quota più consistente della spesa complessiva, mentre si è attestata a 5,5 miliardi quella per le politiche attive (al suo interno si sono rincorse – alternativamente come vedremo –  la spesa per gli incentivi alle assunzioni  e quella per l’apprendistato e la formazione professionale).

 

In termini di composizione percentuale la componente attiva delle politiche del lavoro è stata il 18,5% del totale, mentre si è consolidata quella per le politiche passive (81,5%). Vanno notate, tuttavia, le modifiche intervenute nella composizione della spesa rispetto al 2009, quando la quota riservata alle politiche attive (misure) era pari al 22,7% e quella rivolta alle politiche passive (supporto) al 77,3%.  Passando all’esame strutturale della spesa per le politiche attive si osserva un andamento altalenante, con una prevalenza, con oltre il 40%, di quella per le assunzioni incentivate di tipo contributivo, economico o fiscale che nel biennio 2011-2012, ha evidenziato un crescita fino al 46%  (2,6 miliardi) di quella complessiva a cui  è seguito  un decremento nel 2013. Per quanto riguarda, invece, i contratti a causa mista, rivolti ai più giovani e rappresentati sostanzialmente dall’apprendistato, il loro peso, nel 2012, è diminuito in percentuale – nonostante l’incremento della spesa in valore assoluto – in conseguenza del rilevo assunto dagli incentivi.

 

Nel 2013, si è verificato il fenomeno inverso (passando dal 30,75 al 32,4% del totale delle politiche attive) proprio come effetto della diminuzione degli incentivi. Interessante è notare gli effetti di talune misure incentivanti ‘’politicamente corrette’’ come quelle destinate all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità. Il numero delle iniziative ammesse è rimasto sostanzialmente stabile (2.940) con preponderanza nelle regioni meridionali (908 in Campania e 530 in Puglia). Sono uomini i titolari del 58,3% delle imprese finanziate. Il 9,4 della spese per le politiche attive sono dedicate alla formazione professionale (che per oltre il 90% è cofinanziata dal FSE). Per quanto concerne le politiche passive, dopo un aumento di quasi 4 miliardi nel 2012, la spesa è aumentata anche nel 2013, sia pure in misura più contenuta, passando da 23,9 a 24,3 miliardi.

 

Interessante è osservare gli effetti dell’introduzione dell’AspI a partire dall’inizio del 2013. Sommando i 3,3 miliardi per la disoccupazione ordinaria (non agricola) ai circa 6 miliardi per l’AspI, è risultata una spesa inferiore ai 9,5 miliardi dell’anno precedente, in presenza della sola disoccupazione ordinaria. Analogamente per quanto riguarda la disoccupazione con requisiti ridotti (anch’essa sostituita dalla Mini-AspI) si è passati dai 2,5 miliardi del 2012 a 1,8 miliardi l’anno successivo.  La spesa per la Cassa integrazione è salita  da 6,1 miliardi nel 2012 a 6,8 miliardi nel 2013. Nel documento del Ministero (Quaderno di studi e statistiche sul mercato del lavoro n.7) è allegata una tabella, di fonte Inps, sul numero media annuo dei beneficiari. Il fatto è che nel periodo considerato è aumentata la spesa mentre è diminuito il numero dei soggetti beneficiari, nel complesso di più di  200mila unità (da 1,2 milioni nel 2009 a 1 milione nel 2013).

 

Significativo è il decremento dei soggetti titolari di contratti a causa mista che passano da 634mila beneficiari del 2009 a 464mila nel 2013. Da segnalare anche la diminuzione dei beneficiari di incentivi all’occupazione a tempo determinato (da 94mila a 72mila) e di quelli che si sono avvalsi degli incentivi per assunzioni a tempo indeterminato (da 380mila a 319mila). Il gruppo più consistente è stato quello dei disoccupati o dei beneficiari di Cigs da almeno 24 mesi o di giovani impegnati in borse del lavoro (da 344mila a 294mila).

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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