Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Che cosa insegna la Germania

Dalla Germania sono in arrivo importanti novità in materia di pensioni. C’è da presumere che queste novità apriranno – magari con un bel po’ di malafede – un dibattito anche in Italia, magari al servizio di quel movimento bipartisan che punta a cambiare i capisaldi della riforma Fornero.
Nei giorni scorsi, su proposta del governo Cdu-Spd di Angela Merkel, il Bundestag ha approvato una legge (che entrerà in vigore dal prossimo primo luglio) in cui sono contenute due modifiche significative del sistema per quanto riguarda il parametro fondamentale dell’età pensionabile.
 
I giornali, in proposito, hanno fornito un’interpretazione non corretta della nuova norma. Non è vero infatti che l’età pensionabile è stata ridotta da 67 a 63 anni. In pratica viene introdotta, in Germania, una forma di pensionamento di vecchiaia anticipato, senza penalizzazioni economiche, purché il soggetto interessato sia in grado di far valere 63 anni di età e 45 di anzianità contributiva. Un ulteriore beneficio (che passa da uno a tre anni) verrà applicato alle lavoratrici in rapporto ai figli avuti prima del 1992: anche loro potranno accedere ad un pensionamento anticipato avvalendosi del bonus previsto.
 
Come si può notare, la prima di tali misure si muove nella medesima logica del pensionamento anticipato previsto, da noi, nel 2011 nel decreto Salva Italia. E lo fa con criteri più severi: da noi sono sufficienti circa 42 anni di contributi effettivi e figurativi e 62 anni di età. Ad un’età inferiore opera, nel nostro sistema, una penalizzazione economica pari a un punto percentuale all’anno per i primi due anni e a due punti per quelli successivi. Poi, il requisito contributivo si sposta in avanti adeguandosi all’attesa di vita. Ricordiamo altresì che, per un periodo transitorio fino al 2018, chi potrà fare valere un’anzianità contributiva effettiva, pari a quella richiesta (comprendendovi pure taluni periodi di natura figurativa), potrà accedere al trattamento senza penalizzazioni prima dei 62 anni. In sostanza, anche quando “addolciscono” i requisiti pensionistici i tedeschi si fanno sempre riconoscere sul versante del rigore. Accumulare 45 anni di anzianità contributivo non è certo facile (ovviamente – immaginiamo – considerando pure la contribuzione figurativa). È interessante ed innovativo, invece, il riconoscimento di un bonus anagrafico/contributivo per le maternità ante 1992. In sostanza, però, si tratta di provvedimenti che tutelano i lavoratori e le lavoratrici anziani. Alla base della legge sta, dunque, una precisa scelta politica a favore dei “pensionandi”, in ragione del loro peso elettorale crescente. Sia la Spd che la Cdu-Csu si sono intestati il provvedimento: il primo partito ha la paternità del pensionamento anticipato mentre il secondo ha insistito per lo sconto a favore delle madri.
 
In Germania, la riforma ha sollevato un dibattito che in Italia potrebbe sembrare anomalo. Da noi, delle norme che addolciscono i requisiti pensionistici sarebbero salutate come un ritorno all’equità (chissà poi perché?) o con altri peana di lodi. In quel Paese invece l’iter della riforma è stato accompagnato da commenti preoccupati perché il provvedimento non produrrà risparmi ma costi, calcolati cumulativamente in 60 miliardi nel 2020 e in 130 miliardi dieci anni dopo, su di una platea di 900 mila soggetti. Praticamente, in quegli stessi anni in Italia risparmieremo – grazie agli ultimi interventi in materia di pensioni – importi superiori a quelli che, invece, i tedeschi spenderanno.
 
Sempre che non sia manomessa la riforma Fornero. Ma che cosa succederà nel nostro BelPaese, innamorato delle pensioni, quando si scoprirà, con raccapriccio, di essere più virtuosi – anche se solo apparentemente – dei perfidi tedeschi? Ammesso e non concesso che quelle approvate dal Bundestag siano norme poco severe (comunque i maggiori costi sono previsti), nessuno in Italia si darà premura di spiegare che tali misure (al pari dell’elevazione del salario minimo a 8,5 euro l’ora) sono possibili in un Paese come la Germania che in questi anni si è preoccupato, innanzi tutto, di tenere in ordine i conti pubblici. Siamo appena usciti da una campagna elettorale per l’elezione del Parlamento europeo in cui tutti i partiti – chi più chi meno – hanno promesso di alzare la voce (e magari anche di battere i pugni sul tavolo) nei consessi europei, al cospetto della Cancelliera di ferro. Insomma, ci facciamo sempre riconoscere.
 
Giuliano Cazzola
Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 
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Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Che cosa insegna la Germania
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