Politically (in)correct – Lavorare stanca

Lo ammetto. Non me ne ero accorto nonostante che mi venga attribuita – con parecchia esagerazione – una grande competenza in materia di pensioni. Non avevo notato la trappola più insidiosa contenuta nel c.d. verbale di sintesi siglato il 28 settembre dal Governo e dalle Confederazioni sindacali.  La fervida immaginazione dei leader sindacali ha inventato un altro tipo di lavoro: quello gravoso, del quale non esiste alcuna definizione scientifica né alcun precedente normativo. Probabilmente qualcuno di loro – immagino che si tratti del segretario della Uil Carmelo Barbagallo, persona di buone letture – durante le vacanze estive si è trovato tra le mani il libro di Cesare Pavese ‘’Lavorare stanca’’; e così ha avuto la brillante idea di avvalersene al tavolo del confronto con il Governo. Pertanto, se il verbale avrà applicazione, in Italia sarà tutelato – mediante sconti sui requisiti per accedere al trattamento pensionistico –   non solo il lavoro usurante, ma anche quello gravoso. Vediamo i connotati delle due tipologie.

 

Il lavoro usurante – nelle fattispecie delle mansioni particolarmente disagiate (già individuate dal dlgs n. 374/1993 nel lavoro notturno continuativo, alle linee di montaggio, con ritmi vincolati, in cave, galleria, serra, spazi ristretti, ecc.), del lavoro notturno e alla guida di mezzi di trasporto pubblici con almeno 9 passeggeri – rimane quello regolato dal dlgs n.67/2011, alla cui disciplina vengono apportate significative modifiche: a) l’abolizione della c.d. finestra mobile, anticipando così la quiescenza di 12 o di 18 mesi a seconda se si tratta di lavoro dipendente o autonomo;  b) la possibilità di accedere al beneficio, a partire dal 2017, avendo svolto una o più attività lavorative usuranti, sia per un periodo di tempo almeno, pari a sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa, senza il vincolo (ora vigente) di impiego in attività usurante nell’anno di raggiungimento del requisito, sia avendo effettuato l’attività particolarmente usurante per un numero di anni almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa; c) l’eliminazione dell’adeguamento dei requisiti alla speranza di vita a decorrere dal 2019; d) la fattibilità amministrativa di semplificazioni relative alla documentazione necessaria per la certificazione del diritto di accesso al beneficio.

 

In sostanza, vengono stabiliti requisiti d’accesso più favorevoli ed eliminati i principali ostacoli (l’assegnazione a mansioni usuranti anche nell’anno del raggiungimento del requisito quale condizione necessaria per essere considerati usurati e la complessità della documentazione richiesta per dimostrare la sussistenza dei requisiti) riscontrati nell’esperienza del riconoscimento della tutela. E il lavoro gravoso? Se ne parla al punto 4 del verbale nei seguenti termini: “Le categorie di lavoro gravoso saranno individuate dopo un confronto tra governo e OO.SS. utilizzando tre criteri di massima: (i) l’attuale normativa che individua le attività usuranti e in particolare il decreto legislativo 67 del 201l; (ii) l’analisi delle mansioni per le quali, sulla base della normativa italiana e delle analisi scientifiche internazionali, si sono rivelati più alti i rischi di “stress lavoro correlato” (istituto previsto a livello europeo e recepito in Italia nel 2008); (iii) nei limiti della disponibilità dei dati, una verifica degli indici infortunistici e di malattie professionali in funzione del crescere dell’età anagrafica”. E va da sé che “la convergenza tra Governo e OO.SS. su questo punto resta ovviamente condizionata all’esito positivo di questo confronto”.

 

Si direbbe, allora, che il lavoro usurante è parte di una categoria più ampia che costituisce il lavoro gravoso. I relativi ambiti individuati riguardano i seguenti settori e condizioni professionali: edilizia, marittimi, alcune categorie di infermieri (in sala operatoria), scavatori, facchini, macchinisti, autisti di mezzi pesanti, maestri scuole dell’infanzia. Quali saranno i benefici previsti per il lavoro gravoso? I lavoratori precoci (quelli che hanno iniziato a versare contributi almeno 12 mesi prima di aver compiuto 19 anni) potranno avvalersi del solo requisito dei 41 anni di anzianità (senza ulteriori condizioni) se occupati in alcune attività particolarmente gravose che saranno individuate dal provvedimento definitivo. A queste condizioni, i precoci potranno beneficiare dell’annullamento delle attuali penalizzazioni in caso di pensione anticipata, ovvero di uscita dal mondo del lavoro prima di aver compiuto i 62 anni di età. I lavoratori sottoposti a mansioni usuranti e gravose potranno poi avvalersi dell’Ape sociale, a fronte, tuttavia (lo ha inserito il Governo per ridurre la platea e …. i costi dell’operazione) di 36 anni di versamenti contributivi.

 

Non è necessaria una particolare lungimiranza ad immaginare che la frontiera del lavoro gravoso è fragile come la Linea Maginot e si presta ad essere sfondata dall’azione potente delle corporazioni. Ci ricordiamo ancora della brutta pagina della tutela previdenziale dei lavoratori esposti ad amianto. Alle forti pressioni sindacali e politiche riguardanti i casi non riconosciuti dall’Inail si rispose mediante l’escamotage dell’interpretazione analogica (i c.d. atti di indirizzo del Governo) allo scopo di far rientrare anche i casi non adeguatamente documentati. Del resto, immaginiamo già gli argomenti.

Un’insegnate di scuola d’infanzia dovrà certamente mettere a dura prova la spina dorsale a sollevare i bambini che le sono affidati; ma un docente di scuola secondaria farà ben presto valere il logoramento del sistema nervoso provocato da scolaresche di adolescenti indisciplinati e spalleggiati da genitori ex sessantottini. Lo stesso ragionamento si può fare per gli infermieri. Perché solo quelli che prestano servizio in sala operatoria e non in altri reparti come la geriatria, ad esempio? E i chirurghi che usano il bisturi per ore proprio in quella sala operatoria dove gli infermieri e le infermiere, che li assistono, si procurano la patente di lavoro gravoso?  Esiste poi un’infermiera che svolge tutta la sua attività professionale dal primo all’ultimo giorno in sala operatoria?   E i facchini? Un conto è scaricare dei pesi, un altro usare delle macchine di trasporto. Come la mettiamo, poi con il rischio infortuni (come parametro del lavoro gravoso), quando la metà di questi eventi si verificano in itinere? Si include anche il rischio-traffico?

 

Il dubbio di muoversi su di un terreno insidioso – con ragionamenti che farebbero la loro figura in un Convegno sull’ergonomia piuttosto che nella definizione di un sistema previdenziale pubblico – diventa ancora più inquietante a leggere quanto sta scritto tra gli impegni della Fase 2, quella che dovrebbe aprirsi dopo l’approvazione della legge di bilancio. Leggiamo insieme: “nell’ambito del necessario rapporto tra demografia e previdenza e mantenendo l’adeguamento alla speranza di vita, valutare la possibilità di differenziare o superare le attuali forme di adeguamento per alcune categorie di lavoratrici e lavoratori in modo da tenere conto delle diversità nelle speranze di vita (si vedano le raccomandazioni del rapporto OCSE, Fragmentation of retirement markets due to differences in life expectancy, 2016). Un altro bel rompicapo: intendiamo arrivare all’età pensionabile ad personam? A cercare del materiale si trova di tutto. Persino fior di studi e ricerche che rendono testimonianza del fatto che i laureati vantano una maggiore longevità di coloro che hanno soltanto completato la scuola d’obbligo. Chissà? Volendo si potrebbe approfondire quanto vive più a lungo un diplomato del liceo classico rispetto ad uno dello scientifico.  “Il mondo è bello e santo è l’avvenir”. Perché rinunciare in partenza a vivere in un mondo perfetto, con un sistema pensionistico che rende giustizia di tutti i torti subiti durante la vita attiva?

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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