Politically (in)correct – “Ero forestiero e mi avete ospitato” (MT 25,40)

Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45

 

Il X Rapporto sugli stranieri nel mercato del lavoro mette subito le cose in chiaro. Le tendenze riportate sono basate su dati al 2019 e non riflettono l’impatto dei cambiamenti correlati al Covid-19 sui flussi e sugli esiti occupazionali. Il decennio corrente – rammenta il Rapporto del Ministero del Lavoro – è iniziato con una pandemia che ha posto ostacoli generalizzati alla mobilità all’interno e verso i Paesi OCSE. Le restrizioni per gli ingressi imposte nei Paesi OCSE all’inizio del 2020 hanno avuto un forte – sebbene non quantificato – effetto sui flussi migratori. L’impatto sull’occupazione – con un netto incremento della disoccupazione – è stato sentito in molti settori nei quali sono impiegati i migranti. Tali cambiamenti sono al di fuori dell’indagine del Rapporto – precisa il Ministero – ma condizioneranno sicuramente l’analisi delle migrazioni e dell’integrazione del prossimo decennio. La vicenda del Covid-19 –a parere di chi scrive – è un evento che rompe –in tutti i settori – la continuità con il passato. Così le statistiche finiscono per partire da una sorta di anno zero, il 2020, dopo il quale, per un lungo arco temporale, gli anni saranno contrassegnati da un ‘’prima’’ o da un ‘’dopo’’ la pandemia da Covid-19.

 

Tutto ciò premesso non ci rimane che esporre le considerazioni più rilevanti del Rapporto integrandole con i dati (2019) dell’Osservatorio presso l’INPS. Sappiamo che la materia è delicata, sottoposta a polemiche e a strumentalizzazioni sul versante politico; ed è per questi motivi che è opportuno diffondere il più possibile la documentazione ufficiale, per smentire le valutazioni ricavate dalla ‘’percezione’’ che solitamente deformano la realtà (il Mito della Caverna di Platone ha attraversato i secoli ed è arrivato sino a noi).

 

I migranti rappresentano circa il 13,1% della popolazione OCSE; questa percentuale è aumentata di oltre un punto nel corso del decennio 2008-2018. Tuttavia, non tutti i Paesi hanno visto aumentare la propria percentuale di popolazione nata all’estero allo stesso modo. Nella maggior parte dei Paesi europei si è assistito a un grande incremento, soprattutto nei Paesi nordici, in Germania, Austria e Belgio. In Italia, i grandi afflussi registrati nel primo decennio del 2000 sono diminuiti in quello successivo, e la percentuale di migranti nella popolazione residente non è aumentata tanto quanto in altri Paesi membri dell’OCSE. La migrazione di tipo permanente verso i Paesi dell’OCSE – ovvero, i flussi di migranti di categorie che garantiscono loro la residenza permanente o potenzialmente rinnovabile a tempo indeterminato – ammontava a circa 5,2 milioni di persone nel 2017. Questo dato risultava essere in calo rispetto all’anno precedente, che vantava un record di 5,5 milioni di persone, seppur tuttavia superiore alla media del decennio precedente, quando si contavano tra i 4 e i 5 milioni di migranti all’anno. La migrazione permanente in Italia – conferma il Rapporto – non riflette le tendenze generali dell’OCSE. Nell’ultimo decennio si è assistito a un costante declino dei flussi di lavoro, in particolar modo negli ultimi anni. In Italia, la migrazione umanitaria ha registrato un aumento – ma non un forte picco – durante la c.d. primavera araba nel 2011; l’incremento del 2016 è stato meno marcato rispetto a quello dell’OCSE nel suo insieme. La migrazione per motivi familiari – questa sottolineatura è importante – è stata la principale motivazione di ingresso nel Paese durante tutto il decennio, a differenza dei grandi flussi migratori per lavoro del decennio precedente. Una delle principali tendenze di questo decennio è l’aumento della mobilità internazionale per motivi di studio. Gli afflussi di nuovi studenti internazionali sono aumentati del 40% nei Paesi dell’OCSE dal 2008 al 2017. La maggior parte di questi studenti ha avuto, come destinazione, Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Tuttavia, nei Paesi dell’Unione Europea, si è registrato un aumento di oltre il 30%. L’Italia è stata una delle poche Nazioni in cui c’è stata una diminuzione della migrazione per studio.

 

La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2019 assommava a circa 5,2 milioni di persone, pari all’8,7% della popolazione residente. La popolazione straniera residente è cresciuta lentamente tra l’inizio del 2015 e quello del 2017, mentre una crescita più robusta è avvenuta tra il 2017 e il 2018, con un dato all’inizio del 2019 superiore di circa 111 mila unità rispetto al livello dell’anno precedente. Al 1° gennaio 2019 erano regolarmente soggiornanti in Italia (secondo la relativa ’indagine ISTAT realizzata su dati ministeriali) 3,7 milioni di cittadini di Stati non appartenenti alla UE (“non comunitari”), quasi lo stesso valore di 12 mesi prima. Con riferimento al genere, la maggior incidenza della componente femminile, con valori oltre il 70%, si registra per i cittadini della Georgia, della Russia, dell’Ucraina, di Cuba e del Brasile; di contro, la più bassa, con un’incidenza inferiore al 30%, si registra per i cittadini di Pakistan, Somalia, Bangladesh, Senegal, Guinea, Afghanistan, Mali e Gambia. L’immigrazione complessivamente più giovane è quella africana, con una quota di under 35enni del 56,2%; nelle comunità asiatiche tale quota si attesta sul 52,2%; tra gli Europei è del 46,7% e tra gli Americani del 43,3%. Tra le aree geografiche più rappresentate, la maggiore incidenza della popolazione anziana si registra nel caso degli Europei (13,3%).

 

La popolazione straniera in età da lavoro (15-64 anni), nel 2019, era pari a più di 4 milioni e 33 mila individui. Gli occupati di 15 anni e oltre erano 2.505.186, le persone in cerca di lavoro 401.960 e gli inattivi tra i 15 e i 64 anni 1.175.059. Con riferimento alle variazioni registrate nel biennio 2018-2019 si osservava un aumento del numero di occupati italiani di quasi 95 mila unità nell’arco di dodici mesi (in termini percentuali +0,5%), contestualmente ad un incremento del numero di occupati stranieri UE (+14.450 unità, pari a +1,8%) ed Extra UE (+35.734 unità, equivalente a +2,2%), per complessivi +144.917 lavoratori.

 

A questo punto è utile ‘’dare la parola’’ all’INPS. Nell’anno 2019 il numero di stranieri conosciuti dall’Istituto, era di 3.816.354, di cui 3.304.583 lavoratori (86,6%), 252.276 pensionati (6,6%) e 259.495 percettori di prestazioni a sostegno del reddito (6,8%).

 

 

Se si confronta il numero degli stranieri rispetto alla loro distribuzione per area di provenienza e ripartizione geografica, si vede che al nord e al centro la presenza degli stranieri provenienti da Paesi extra UE era fortemente prevalente rispetto agli stranieri provenienti dai Paesi UE (rispettivamente 70,8% e 65,6%), al sud il divario tra le due aree di provenienza era meno marcato con gli stranieri extra UE regolari sotto il 60% (58,6%). Se si analizza inoltre la presenza degli stranieri regolari rispetto alla popolazione residente, si vede che al nord l’incidenza di stranieri era tre volte superiore che al sud: 8,7 stranieri su 100 residenti in Italia settentrionale, 7,7 in Italia centrale e 2,8 in Italia meridionale e Isole.

 

Nell’anno 2019, il numero di stranieri che svolgeva un lavoro dipendente era pari a 2.836.998, con una retribuzione media annua di €13.770,93. All’interno delle diverse tipologie di lavoratori dipendenti stranieri vi erano però notevoli differenze. Secondo l’INPS, i lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo erano 2.002.034, e ricevevano una retribuzione media annua pari a €16.182,19 (€17.874,51 per gli uomini e €13.179,01 per le donne). Nel settore privato agricolo lavoravano in totale 300.555 stranieri, con netta prevalenza di genere maschile (tasso di mascolinità 73,8) e con una retribuzione media annua di €7.304,25 (€7.664,33 gli uomini e €6.289,88 le donne). I lavoratori domestici stranieri (ovviamente regolari) erano 534.409 e si caratterizzavano per una netta prevalenza di genere femminile (tasso di mascolinità 11,6) con una retribuzione pari a €8.374,63 (ad €8.703,45 per gli uomini e €8.331,34 per le donne).

 

A testimonianza di periodi di residenza e di lavoro nel nostro Paese, comincia ormai a delinearsi un numero significativo di pensionati stranieri. Nel 2019 tale numero ammontava a 252.276, con un importo medio annuo di €10.278,02. La quota più alta dei pensionati la troviamo tra i percettori di sole pensioni assistenziali: 25.820 soggetti (49,9%), ripartiti tra 89.271 (71,0%).

 

Percepiscono una pensione di tipo previdenziale (Invalidità, Vecchiaia o Superstiti o IVS) 89.306 soggetti, pari al 35,4% del totale dei pensionati stranieri. L’importo di queste ultime prestazioni, che è legato alla contribuzione, è molto diverso tra i Paesi extra UE e i Paesi esteri UE. I percettori di pensioni IVS provenienti da Paesi extra UE sono 25.256 (28,3%), con un importo medio annuo delle prestazioni pari a €8.685,40, i percettori dello stesso trattamento pensionistico provenienti dai Paesi UE sono 64.050 (71,7%) e il loro reddito pensionistico annuo è di €17.786,99. Marginale è la quota dei percettori di sole pensioni indennitarie (15.471 soggetti, 6,1%), mentre a percepire più di una prestazione pensionistica sono 21.679 individui, l’8,6%, con un reddito pensionistico annuo di €17.098,17 (€12.590,29 gli extra UE e €19.927,10 i provenienti dai Paesi UE).

 

Nel 2019, l’Istat stimava in 1,674 milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 6,4%, per un numero complessivo di 4,593 milioni di individui (7,7% del totale), in significativo calo rispetto al 2018. Gli stranieri in povertà assoluta erano 1,376 milioni – con una incidenza sul totale pari al 26,9% (tra gli italiani è il 5,9%).  Considerando le famiglie, l’incidenza della povertà assoluta era pari al 27,0% per i nuclei con almeno uno straniero (31,2% per quelli composti esclusivamente da stranieri) e al 6,3% per le famiglie di soli italiani.

 

Che gli stranieri siano una componente importante del mercato del lavoro è dimostrato anche dal loro livello di sindacalizzazione. Il sindacato italiano è diventato un po’ più straniero.  E’ quanto rileva il IX rapporto Cgil-Fondazione Di Vittorio su “Migrazioni e sindacato”. Nel 2019 i migranti iscritti a Cgil, Cisl e Uil risultano 1.092.628 pari al 9,3% del totale, un dato che cresce al 14,7% se si considerano solo i lavoratori attivi.

 

In pratica, è straniero quasi un iscritto su dieci alle tre confederazioni.
Il numero degli stranieri sindacalizzati è in costante aumento. Negli ultimi quattro anni, dal 2016 al 2019, erano, infatti, aumentati di 164mila unità (+ 1,4%). Nel primo dei quattro anni considerati (2016) gli iscritti stranieri ai sindacati erano 928.620 (7,9% del totale); 974.770 nel 2017 (8,5%); e 1.016.095 nel 2018 (9%). In alcune categorie e nelle fasce d’età più giovani la percentuale degli iscritti attivi stranieri è più consistente, oscillando tra il 20% e il 30%. Lo scorso anno gli iscritti stranieri rappresentavano quasi il 50% dei lavoratori dipendenti migranti nello stesso periodo, vale a dire uno su due. La manodopera immigrata è maggiormente impiegata nelle famiglie, nelle campagne, in piccole e piccolissime imprese artigiane o commerciali, in migliaia di micro cantieri, ma anche nella gig economy (i rider ne sono un esempio): luoghi dove il sindacato – osserva la FDV – fa più fatica a entrare e dove la partecipazione alle attività sindacali è limitata. Sono impiegati sempre negli stessi settori dove non c’è crescita professionale e questo vale in particolare per le donne. Oltre il 30% dei lavoratori stranieri ha, infatti, un lavoro non qualificato, mentre oltre il 60% è confinato in sole 10 professioni. In quelle stesse dove si concentra solo il 20% degli occupati italiani e circa il 45% dei “naturalizzati”.

 

Questo ovviamente si ripercuote anche sulle retribuzioni. I migranti guadagnano circa un quarto in meno dei colleghi italiani e anche in questo caso per le donne la differenza è maggiore.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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